ATTUALITA'
Stefano Torossi
Minuette e pennelli
Bibì e Bibò in Sala Stampa
Chi non conosce Bibì e Bibò può passare direttamente al prossimo capoverso.
Chi invece se li ricorda, sa che si tratta di due monelli che da più di un secolo abitano in un fumetto con la loro mamma, la Tordella, il Capitan Cocoricò (che potrebbe essere il di lei fidanzato, ma nessuno lo sa con precisione) e l’ispettore, un piccolo signore pieno di autorità che dice sempre la sua.
Sala Stampa Estera, martedì 24, presentazione del “Galateo della Corrispondenza”. I due autori, Laura Pranzetti Lombadini e Michele D’Andrea, sono Bibì e Bibò. L’Ispettore è invece il moderatore, Claudio Ligas. Per questa volta la Tordella e il Capitano rimangono fuori della storia.
Naturalmente il libro è, al contrario dei due ruspanti ragazzini, il massimo del garbo, con punte di elevata raffinatezza se non di snobismo (la sottolineata superiorità, ora e sempre, della penna stilografica, possibilmente di marca e obbligatoriamente d’annata, rispetto a tutti gli altri arnesi da scrittura). Ovvio, in un manuale che insegna a corrispondere con l’idraulico o con il Presidente della Camera (o la Presidente, forse la Presidentessa, o magari la Presidenta). Comunque la si giri emerge il fatto che, essendo la lingua un organismo ben vivo e agitato, è impossibile tenerla ferma. Magari si accovaccia un momento sulla tua scrivania ma si sa che prima o poi scappa.
Il parallelo con i fratellini terribili prende vita quando i due autori, pungolati e a volte rimessi in riga, sempre garbatamente s’intende, dall’Ispettore – moderatore, nel corso della presentazione cominciano a battibeccare, si danno sulla voce per gioco, mettono finti bronci dopo aver sparato sberleffi e ripetono a pappagallo uno le frasi dell’altra.
Un minuetto elegante, simpatico, un po’ narciso e a momenti a rischio leziosità. Ma divertente perché ben condotto, neanche i due fossero attorcomici professionisti. Non abbiamo ancora letto il Galateo, ma siamo certi che, arrivati all’ultima pagina, avremo imparato qualcosa che farà di noi dei cicisbei migliori.
Merisi è in città!
Venerdì 27 nel piccolo teatro dell’Associazione ERA DEA, dalle parti del Panteon, cioè precisamente nel quartiere in cui venne ad abitare poco più di quattrocento anni fa, sceso dal nord, il pittore Michelangelo Merisi, è andata in scena la seconda serata del ciclo “Il sotterraneo di Caravaggio”. Rosa Di Brigida: idea e narrazione, Francesco D’Ascenzo: regia e recitazione, Rosa Balivo: egregia presenza in scena. Scene e costumi, strepitosi, del Laboratorio Era Dea Studio.
All’epoca (come fino a pochi anni fa, prima che esplodessero le ridicole quotazioni di milioni di dollari per squali in formalina o statue iperrealiste di Jeff Koons e Cicciolina) gli artisti erano dei poveracci che dipendevano dalla nobiltà per commissioni, vitto e alloggio. E protezione, che per il
nostro, dato il suo carattere rissoso, era fondamentale.
Come latitante per un presunto omicidio, fa una capatina alla metropoli più vicina, Venezia, dove, già che c’è (e ci pare con un certo profitto) studia i grandi pittori del momento.
Eccolo a Roma; qui si piazza a casa di Monsignor Pucci di Recanati. Per l’alloggio va bene, per il vitto un po’ meno, tanto è vero che il pittore soprannomina il prelato “Monsignor insalata”.
Dopo non molto cresce di livello e passa al Cardinal Del Monte, ma trova il modo di bruciarsi le amicizie anche qui, prendendo a bastonate un nobiluomo, come lui ospite del Cardinale. E’ chiaro che Caravaggio era uno che con il galateo non aveva molta dimestichezza, neanche quando gli sarebbe convenuto. E infatti gli va male perché un artista dell’epoca, per quanto famoso, proprio non si poteva permettere di bastonare un nobile.
Altre risse, altri arresti. Tira un piatto di carciofi in faccia a un garzone di osteria, che lo querela. Nel 1605 ferisce un notaio. I suoi nobili protettori riescono a insabbiare tutto, finché, nel 1606 uccide Ranuccio Tomassoni, con cui aveva già litigato varie volte, pare per i favori di una delle prostitute che frequentavano.
Evidentemente questa è l’ultima goccia, perché lo condannano, fin troppo severamente, alla decapitazione. Curiosamente, dopo questo fatto, nei suoi quadri i vari Oloferne e Golia cominciano ad avere i suoi stessi lineamenti.
Trova ancora la famiglia Colonna che lo protegge nella sua fuga a Napoli, a Malta, in Sicilia; una peregrinazione segnata da altre risse e duelli. Poi sappiamo come va a finire. Un vero spreco di un talento così miracoloso, solo perché il suo proprietario non riusciva a tenere a mente le semplici e utili regole del galateo.
Torniamo alla rappresentazione di venerdì. L’Associazione ERA DEA lavora ad alto livello, con lo stesso sprezzo del pericolo di Caravaggio, scegliendo come lui di rimanere fuori delle regole, pur non ricorrendo alla spada o al pugnale, e sì che ce ne sarebbero i motivi: la costante mancanza di attenzione delle istituzioni, e in più una città che pare abbia perso il nobile spirito giocoso che aveva tirato fuori all’epoca delle indimenticabili estati romane, l’effimero al potere. E chi ne risente di più sono naturalmente i piccoli.
Ma quando il talento c’è, anche se procura solo l’insalata, non bisogna mollare, ecco tutto.
Chi non conosce Bibì e Bibò può passare direttamente al prossimo capoverso.
Chi invece se li ricorda, sa che si tratta di due monelli che da più di un secolo abitano in un fumetto con la loro mamma, la Tordella, il Capitan Cocoricò (che potrebbe essere il di lei fidanzato, ma nessuno lo sa con precisione) e l’ispettore, un piccolo signore pieno di autorità che dice sempre la sua.
Sala Stampa Estera, martedì 24, presentazione del “Galateo della Corrispondenza”. I due autori, Laura Pranzetti Lombadini e Michele D’Andrea, sono Bibì e Bibò. L’Ispettore è invece il moderatore, Claudio Ligas. Per questa volta la Tordella e il Capitano rimangono fuori della storia.
Naturalmente il libro è, al contrario dei due ruspanti ragazzini, il massimo del garbo, con punte di elevata raffinatezza se non di snobismo (la sottolineata superiorità, ora e sempre, della penna stilografica, possibilmente di marca e obbligatoriamente d’annata, rispetto a tutti gli altri arnesi da scrittura). Ovvio, in un manuale che insegna a corrispondere con l’idraulico o con il Presidente della Camera (o la Presidente, forse la Presidentessa, o magari la Presidenta). Comunque la si giri emerge il fatto che, essendo la lingua un organismo ben vivo e agitato, è impossibile tenerla ferma. Magari si accovaccia un momento sulla tua scrivania ma si sa che prima o poi scappa.
Il parallelo con i fratellini terribili prende vita quando i due autori, pungolati e a volte rimessi in riga, sempre garbatamente s’intende, dall’Ispettore – moderatore, nel corso della presentazione cominciano a battibeccare, si danno sulla voce per gioco, mettono finti bronci dopo aver sparato sberleffi e ripetono a pappagallo uno le frasi dell’altra.
Un minuetto elegante, simpatico, un po’ narciso e a momenti a rischio leziosità. Ma divertente perché ben condotto, neanche i due fossero attorcomici professionisti. Non abbiamo ancora letto il Galateo, ma siamo certi che, arrivati all’ultima pagina, avremo imparato qualcosa che farà di noi dei cicisbei migliori.
Merisi è in città!
Venerdì 27 nel piccolo teatro dell’Associazione ERA DEA, dalle parti del Panteon, cioè precisamente nel quartiere in cui venne ad abitare poco più di quattrocento anni fa, sceso dal nord, il pittore Michelangelo Merisi, è andata in scena la seconda serata del ciclo “Il sotterraneo di Caravaggio”. Rosa Di Brigida: idea e narrazione, Francesco D’Ascenzo: regia e recitazione, Rosa Balivo: egregia presenza in scena. Scene e costumi, strepitosi, del Laboratorio Era Dea Studio.
All’epoca (come fino a pochi anni fa, prima che esplodessero le ridicole quotazioni di milioni di dollari per squali in formalina o statue iperrealiste di Jeff Koons e Cicciolina) gli artisti erano dei poveracci che dipendevano dalla nobiltà per commissioni, vitto e alloggio. E protezione, che per il
nostro, dato il suo carattere rissoso, era fondamentale.
Come latitante per un presunto omicidio, fa una capatina alla metropoli più vicina, Venezia, dove, già che c’è (e ci pare con un certo profitto) studia i grandi pittori del momento.
Eccolo a Roma; qui si piazza a casa di Monsignor Pucci di Recanati. Per l’alloggio va bene, per il vitto un po’ meno, tanto è vero che il pittore soprannomina il prelato “Monsignor insalata”.
Dopo non molto cresce di livello e passa al Cardinal Del Monte, ma trova il modo di bruciarsi le amicizie anche qui, prendendo a bastonate un nobiluomo, come lui ospite del Cardinale. E’ chiaro che Caravaggio era uno che con il galateo non aveva molta dimestichezza, neanche quando gli sarebbe convenuto. E infatti gli va male perché un artista dell’epoca, per quanto famoso, proprio non si poteva permettere di bastonare un nobile.
Altre risse, altri arresti. Tira un piatto di carciofi in faccia a un garzone di osteria, che lo querela. Nel 1605 ferisce un notaio. I suoi nobili protettori riescono a insabbiare tutto, finché, nel 1606 uccide Ranuccio Tomassoni, con cui aveva già litigato varie volte, pare per i favori di una delle prostitute che frequentavano.
Evidentemente questa è l’ultima goccia, perché lo condannano, fin troppo severamente, alla decapitazione. Curiosamente, dopo questo fatto, nei suoi quadri i vari Oloferne e Golia cominciano ad avere i suoi stessi lineamenti.
Trova ancora la famiglia Colonna che lo protegge nella sua fuga a Napoli, a Malta, in Sicilia; una peregrinazione segnata da altre risse e duelli. Poi sappiamo come va a finire. Un vero spreco di un talento così miracoloso, solo perché il suo proprietario non riusciva a tenere a mente le semplici e utili regole del galateo.
Torniamo alla rappresentazione di venerdì. L’Associazione ERA DEA lavora ad alto livello, con lo stesso sprezzo del pericolo di Caravaggio, scegliendo come lui di rimanere fuori delle regole, pur non ricorrendo alla spada o al pugnale, e sì che ce ne sarebbero i motivi: la costante mancanza di attenzione delle istituzioni, e in più una città che pare abbia perso il nobile spirito giocoso che aveva tirato fuori all’epoca delle indimenticabili estati romane, l’effimero al potere. E chi ne risente di più sono naturalmente i piccoli.
Ma quando il talento c’è, anche se procura solo l’insalata, non bisogna mollare, ecco tutto.
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