CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Quando l'indie incontra la tradizione: 'You are not alone' di Mavis Staples.
Diciamocela tutta: se non sopportate le negrone che si rivolgono in continuazione a Dio e che sembrano sempre illuminate dalla luce divina come lo erano i Blues Brother nel film, beh lasciate stare. Qua di Gesù Cristi, di Signori, di folgorazioni sulla via di damasco ce ne sono a iosa e alla fine mettono alla frusta pure l'ascoltatore più devoto.
Ma lei è Mavis Staples e chi le produce l'album è Jeff Tweady dei Wilco che fa l'unica cosa giusta: non 'lega' l'artista, le lascia lo spazio che le compete e soprattutto mette in risalto la straordinaria voce da contralto che a tratti pare davvero un dono di Dio.
Questo incontro tra la tradizione più sacra e l'indie-rock americano non deve sorprendere (perché mai?). Forse stupisce i figliocci che credono nei compartimenti stagni musicali (come quelle ridicole ragazzine di X-factor che si definiscono 'rock' e disdegnano di eseguire Madonna o chissà cos'altro perché troppo commerciale. Ma via! Tornate all'asilo!).
Jeff Tweady che fra l'altro col suo gruppo, i Wilco appunto, ha di sicuro ridefinito una certa tradizione musicale, non produce frattura, anzi: i brani del disco confermano la sua sensibile predisposizione alla 'memoria'. Basta ascoltare l'inizio, quella 'Don't Knock', che più gospel non si può, o 'Downward road' (bluesaccio graffiante che se la prende con le anime prave ed incredule che non riescono a capire Dio) per avere un quadro preciso di quel che ci aspetta.
Mavis Staples, ora settantunenne, è dagli anni cinquanta che canta ed ha attraversato le varie fasi della black music, finendo tra l'altro anche lei tra le braccia del genietto di Minneapolis, quando nel 1989 pubblicò quel Time waits for no one che Prince appunto le aveva amorevolmente cucito addosso.
Dunque non può essere liquidata come cantante (con una voce inconfondibile) datata e superata (ma questi discorsi possono riguardare noi, non certo gli americani che ancora si entusiasmano, per esempio, per l'ultraottantenne Pete Seeger): anzi, lei stessa dimostra una certa attenzione al nuovo facendosi produrre dal 'capo' dei Wilco e 'pretendendo' di rielaborare classici imprescindibili per una formazione ah hoc: e mettici 'Losin you' di Randy Newman, o il brano più danzereccio del disco, 'Last train' dovuto alla penna di una vera e propria istituzione americana, Allen Toussaint.
E' vero, come si diceva all'inizio, poi bisogna fare i conti non tanto con la tradizione più radicata (gospel , blues e r'n'b) quanto con un certo zelo evangelico che appartiene di fatto a tutti i neri d'America e soprattutto alle cantanti che sin dall'inizio vengono 'allenate' nei cori delle chiese (lo ha fatto pure Beyoncé!). Quindi con le Hallelujah, con Cristi redentori ('In Christ there is no east or west', per altro ballata di bellezza cristallina), coi meravigliosi Salvatori ('Wonderful Savior) o con le strade per il Paradiso ('Too close/On my way to heave').
Dettagli però, su tutti la voce della Staples potente ed emozionale e la direzione di Jeff Tweady che le cuce addosso la title-track che molto probabilmente avrebbe voluto eseguire di persona coi suoi Wilco.
Mavis Staples
You are not alone
Anti - 2010
Ma lei è Mavis Staples e chi le produce l'album è Jeff Tweady dei Wilco che fa l'unica cosa giusta: non 'lega' l'artista, le lascia lo spazio che le compete e soprattutto mette in risalto la straordinaria voce da contralto che a tratti pare davvero un dono di Dio.
Questo incontro tra la tradizione più sacra e l'indie-rock americano non deve sorprendere (perché mai?). Forse stupisce i figliocci che credono nei compartimenti stagni musicali (come quelle ridicole ragazzine di X-factor che si definiscono 'rock' e disdegnano di eseguire Madonna o chissà cos'altro perché troppo commerciale. Ma via! Tornate all'asilo!).
Jeff Tweady che fra l'altro col suo gruppo, i Wilco appunto, ha di sicuro ridefinito una certa tradizione musicale, non produce frattura, anzi: i brani del disco confermano la sua sensibile predisposizione alla 'memoria'. Basta ascoltare l'inizio, quella 'Don't Knock', che più gospel non si può, o 'Downward road' (bluesaccio graffiante che se la prende con le anime prave ed incredule che non riescono a capire Dio) per avere un quadro preciso di quel che ci aspetta.
Mavis Staples, ora settantunenne, è dagli anni cinquanta che canta ed ha attraversato le varie fasi della black music, finendo tra l'altro anche lei tra le braccia del genietto di Minneapolis, quando nel 1989 pubblicò quel Time waits for no one che Prince appunto le aveva amorevolmente cucito addosso.
Dunque non può essere liquidata come cantante (con una voce inconfondibile) datata e superata (ma questi discorsi possono riguardare noi, non certo gli americani che ancora si entusiasmano, per esempio, per l'ultraottantenne Pete Seeger): anzi, lei stessa dimostra una certa attenzione al nuovo facendosi produrre dal 'capo' dei Wilco e 'pretendendo' di rielaborare classici imprescindibili per una formazione ah hoc: e mettici 'Losin you' di Randy Newman, o il brano più danzereccio del disco, 'Last train' dovuto alla penna di una vera e propria istituzione americana, Allen Toussaint.
E' vero, come si diceva all'inizio, poi bisogna fare i conti non tanto con la tradizione più radicata (gospel , blues e r'n'b) quanto con un certo zelo evangelico che appartiene di fatto a tutti i neri d'America e soprattutto alle cantanti che sin dall'inizio vengono 'allenate' nei cori delle chiese (lo ha fatto pure Beyoncé!). Quindi con le Hallelujah, con Cristi redentori ('In Christ there is no east or west', per altro ballata di bellezza cristallina), coi meravigliosi Salvatori ('Wonderful Savior) o con le strade per il Paradiso ('Too close/On my way to heave').
Dettagli però, su tutti la voce della Staples potente ed emozionale e la direzione di Jeff Tweady che le cuce addosso la title-track che molto probabilmente avrebbe voluto eseguire di persona coi suoi Wilco.
Mavis Staples
You are not alone
Anti - 2010
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