RECENSIONI
José Luis Peixoto
Questa terra ora crudele
La Nuova frontiera, Pag. 61 Euro 8,50
Perché si compra un libro? Quale sono le motivazioni? A volte per uno stato d'animo, a volte per cercare distrazione, a volte per interessi legati agli studi, a volte per curiosità, a volte (lo hanno fatto tutti) per la copertina. A volte per segrete corrispondenze.
Credo che siano state proprio delle occulte corrispondenze a farmi avvicinare a questo "libriccino".
Non conoscevo Peixoto, se non per le scarne informazioni dei lanci degli uffici stampa o per le terze di copertina che, in questo caso specifico, ci mostrano un giovane autore portoghese, bello e alle prime armi.
Cos'altro dunque poteva spingermi a leggerlo se non una dinamica che spesso risulta dissimulata e sconosciuta? Ma tra le righe della presentazione avvertivo un climax adatto, una sporgenza cui attaccarmi.
Credo che tutti voi sappiate cos'è un haiku. Una breve composizione che nell'arco di tre, quattro strofe, tratteggia un mondo e nel migliore dei modi un'anima. Ecco, Questa terra ora crudele è un haiku, consentitemi il termine, esponenziale. Dove l'inusitata lunghezza (inusitata per un haiku ovvio, perché il testo, con le sue sessantuno pagine, si legge in pochissimo tempo) dilata la percezione straziata della realtà che vive l'autore.
E la realtà è quella di un uomo che perde improvvisamente il padre. Non una perdita messa in conto (lo so, non si mette mai in conto la morte, ma si può parzialmente venire ai patti con essa quando diventa ancor più prevedibile), ma uno squarcio inatteso che lascia una ferita sanguinante e non rimarginabile.
L'ossessiva ripetizione del termine "padre" da parte del poeta (ops... ecco sì, era inevitabile che succedesse, ho trasformato l'autore di una breve storia, in un poeta, segno dunque di un'intercambiabilità delle emozioni che solo gli sprovveduti possono distanziare) è l'elemento coagulante: Padre, innocente (...). Padre, mai ti ho visto così vulnerabile, sguardo di bambino spaventato perduto a chiedere aiuto. Padre, mio piccolo figlio.
Passaggio delle consegne si direbbe. Di più: un'identificazione al limite del plagio, dove anche la presa in custodia della macchina del defunto non è solo un'inevitabile successione, ma un anello di congiunzione carnale, due personalità scisse, ma improvvisamente ritornate all'origine, alla ricerca di un'unicità essenziale.
Peixoto non si preoccupa di apparire tedioso nella maniacale riproposizione delle angosce (ma si è davvero sicuri che siamo di fronte ad un evidente stato di angoscia se non invece ad un cristallino sentimento universale di fronte alla morte? Ovidio diceva militat omnis amans - ogni amante- qualsiasi aggiungo io – è un soldato), vuole solo incidere con forza, come se invece di lavorare su foglio, volesse scolpire nel legno. Ed il trapasso del genitore, che diventa per identificazione nostra , mai così improvviso, rimane l'unica sequenza avvertibile.
Questa terra ora crudele è la testimonianza di un avvenimento ridotto a brandelli. Per strada si raccolgono i pezzi, ed il nuovo mosaico che ne esce brilla non di una luce sinistra, ma chissà perché, di una luce vivificatoria, anche di fronte alla scomparsa di un caro.
di Alfredo Ronci
Credo che siano state proprio delle occulte corrispondenze a farmi avvicinare a questo "libriccino".
Non conoscevo Peixoto, se non per le scarne informazioni dei lanci degli uffici stampa o per le terze di copertina che, in questo caso specifico, ci mostrano un giovane autore portoghese, bello e alle prime armi.
Cos'altro dunque poteva spingermi a leggerlo se non una dinamica che spesso risulta dissimulata e sconosciuta? Ma tra le righe della presentazione avvertivo un climax adatto, una sporgenza cui attaccarmi.
Credo che tutti voi sappiate cos'è un haiku. Una breve composizione che nell'arco di tre, quattro strofe, tratteggia un mondo e nel migliore dei modi un'anima. Ecco, Questa terra ora crudele è un haiku, consentitemi il termine, esponenziale. Dove l'inusitata lunghezza (inusitata per un haiku ovvio, perché il testo, con le sue sessantuno pagine, si legge in pochissimo tempo) dilata la percezione straziata della realtà che vive l'autore.
E la realtà è quella di un uomo che perde improvvisamente il padre. Non una perdita messa in conto (lo so, non si mette mai in conto la morte, ma si può parzialmente venire ai patti con essa quando diventa ancor più prevedibile), ma uno squarcio inatteso che lascia una ferita sanguinante e non rimarginabile.
L'ossessiva ripetizione del termine "padre" da parte del poeta (ops... ecco sì, era inevitabile che succedesse, ho trasformato l'autore di una breve storia, in un poeta, segno dunque di un'intercambiabilità delle emozioni che solo gli sprovveduti possono distanziare) è l'elemento coagulante: Padre, innocente (...). Padre, mai ti ho visto così vulnerabile, sguardo di bambino spaventato perduto a chiedere aiuto. Padre, mio piccolo figlio.
Passaggio delle consegne si direbbe. Di più: un'identificazione al limite del plagio, dove anche la presa in custodia della macchina del defunto non è solo un'inevitabile successione, ma un anello di congiunzione carnale, due personalità scisse, ma improvvisamente ritornate all'origine, alla ricerca di un'unicità essenziale.
Peixoto non si preoccupa di apparire tedioso nella maniacale riproposizione delle angosce (ma si è davvero sicuri che siamo di fronte ad un evidente stato di angoscia se non invece ad un cristallino sentimento universale di fronte alla morte? Ovidio diceva militat omnis amans - ogni amante- qualsiasi aggiungo io – è un soldato), vuole solo incidere con forza, come se invece di lavorare su foglio, volesse scolpire nel legno. Ed il trapasso del genitore, che diventa per identificazione nostra , mai così improvviso, rimane l'unica sequenza avvertibile.
Questa terra ora crudele è la testimonianza di un avvenimento ridotto a brandelli. Per strada si raccolgono i pezzi, ed il nuovo mosaico che ne esce brilla non di una luce sinistra, ma chissà perché, di una luce vivificatoria, anche di fronte alla scomparsa di un caro.
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