RECENSIONI
Rachid Djaidani
Ritratto di un ragazzo da buttare alle ortiche
Perrone editore, Pag. 101 Euro 10.00
Un cento pagine come nei migliori tempi einaudiani sotto la direzione di Calvino?
Seeeee...
Un libretto svelto e smaliziato eppure irriverente?
Seeeee...
Cosa allora?
Vorrei iniziare da una citazione: A parte due o tre battute di Totò non sono tanto divertente e purtroppo non ho il fisico di uno stallone. Per una principessa come quella, potrei tingermi di biondo se me lo chiedesse, diventare l'ombra della sua mano, l'ombra del suo cane...
Così, nonostante la traduttrice Ilaria Vitali, sia brava e secondo me abbia pure avuto qualche incubo con l'argot, non si fa buon servizio ad un libro straniero. Perché? Perché uno scrittore francese di origini algerino-sudanesi non può citare Totò (a meno che non abbia frequentazioni italiche... e non mi risulta), al massimo chessò Louis De Funes e in più una diligente traduttrice avrebbe dovuto virgolettare o mettere in corsivo l'ultima frase che è tratta da una strofa della strafamosa 'Ne me quitte pas', sorta di inno nazionale francese e che pure la Patty Pravo citava para para nella sua versione degli anni d'oro RCA.
Qualcuno obietterà: ma che stai a fare il puntiglioso? Perché no?
Dal momento che l'editoria nostrana lancia i libri come se fossero sempre dei capolavori (sul precedente Djaidani Viscerale avevamo scritto: non ha colpa se il suo romanzo non conquista: lui il mestiere lo fa, al meglio, ma cade nel luogo comune del terzomondismo, dell'emarginazione divenuta copertina patinata di giornali inutili. Non conquista nemmeno il linguaggio usato, portato all'eccesso perché in una situazione d'emergenza può essere più consono. L'iperbole della necessità e per contraltare la volontà comparitiva di 'grandeur'.) quando il lavoro è indice di pressapochismo... beh, bisogna pure svelarlo.
La storia di Mounir, poco più che ventenne, che divide il suo tempo tra un lavoretto di barbiere (ma non può tagliare i capelli perché gli manca un dito) e le sedute dallo psicanalista ('spy' come lo definisce lui) ha la consistenza della carta velina. Tutto caruccio e inessenziale.
Chiaro pure che Ritratto di un ragazzo da buttare alle ortiche non è successivo a Viscerale, ma precedente, perché nonostante quest'ultimo romanzo non fosse un capolavoro, mostrava però una rappresentazione delle banlieuses più matura e circostanziata.
Qui si 'vivacchia' intendendo con ciò una irrisolutezza di fondo, soprattutto a livello stilistico, nonostante, crediamo, il ricorso all'argot. Allo slang. Insomma al coattume post-moderno. Tutto dire.
di Alfredo Ronci
Seeeee...
Un libretto svelto e smaliziato eppure irriverente?
Seeeee...
Cosa allora?
Vorrei iniziare da una citazione: A parte due o tre battute di Totò non sono tanto divertente e purtroppo non ho il fisico di uno stallone. Per una principessa come quella, potrei tingermi di biondo se me lo chiedesse, diventare l'ombra della sua mano, l'ombra del suo cane...
Così, nonostante la traduttrice Ilaria Vitali, sia brava e secondo me abbia pure avuto qualche incubo con l'argot, non si fa buon servizio ad un libro straniero. Perché? Perché uno scrittore francese di origini algerino-sudanesi non può citare Totò (a meno che non abbia frequentazioni italiche... e non mi risulta), al massimo chessò Louis De Funes e in più una diligente traduttrice avrebbe dovuto virgolettare o mettere in corsivo l'ultima frase che è tratta da una strofa della strafamosa 'Ne me quitte pas', sorta di inno nazionale francese e che pure la Patty Pravo citava para para nella sua versione degli anni d'oro RCA.
Qualcuno obietterà: ma che stai a fare il puntiglioso? Perché no?
Dal momento che l'editoria nostrana lancia i libri come se fossero sempre dei capolavori (sul precedente Djaidani Viscerale avevamo scritto: non ha colpa se il suo romanzo non conquista: lui il mestiere lo fa, al meglio, ma cade nel luogo comune del terzomondismo, dell'emarginazione divenuta copertina patinata di giornali inutili. Non conquista nemmeno il linguaggio usato, portato all'eccesso perché in una situazione d'emergenza può essere più consono. L'iperbole della necessità e per contraltare la volontà comparitiva di 'grandeur'.) quando il lavoro è indice di pressapochismo... beh, bisogna pure svelarlo.
La storia di Mounir, poco più che ventenne, che divide il suo tempo tra un lavoretto di barbiere (ma non può tagliare i capelli perché gli manca un dito) e le sedute dallo psicanalista ('spy' come lo definisce lui) ha la consistenza della carta velina. Tutto caruccio e inessenziale.
Chiaro pure che Ritratto di un ragazzo da buttare alle ortiche non è successivo a Viscerale, ma precedente, perché nonostante quest'ultimo romanzo non fosse un capolavoro, mostrava però una rappresentazione delle banlieuses più matura e circostanziata.
Qui si 'vivacchia' intendendo con ciò una irrisolutezza di fondo, soprattutto a livello stilistico, nonostante, crediamo, il ricorso all'argot. Allo slang. Insomma al coattume post-moderno. Tutto dire.
di Alfredo Ronci
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Rachid Djaïdani
Viscerale
Giulio Perrone editore, Pag. 160 Euro 10,00Tutto un po' troppo scontato.
Il pugile bello e atletico che è mal visto, pur se sfruttato in un mondo di sfruttati; che può tentare il riscatto nel cinema e che si trova al centro dell'invidia e delle incomprensioni degli altri. E che parla un po' come Gianni Minà: Ammirate – conferma – è questa la nobile arte, tutto è nello sguardo e nella rapidità dell'esecuzione, l'energia è così pura che potrebbe far girare una centrale nucleare per mille anni. Vedete, quei pugili erano ragazzi come voi e come me... venivano dal ghetto. Lasciati in disparte in un paese in cui i neri non valevano più dei cani. La boxe li ha sublimati e trasformati in profeti.
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