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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Klaus Modick

Sunset

Keller editore, Traduzione di Enrico Paventi, Pag. 186 Euro 15,00
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Amo le coincidenze, specialmente se sono rare e raffinate. Al momento di acquistare il libro lessi che si ispirava alla vita di uno scrittore, sul cui nome non mi soffermai. Lo misi da parte insieme ad altri, ma quando arrivò il suo turno ci fu una sorpresa: lo scrittore protagonista del romanzo era Lion Feuchtwanger, autore de L’ebreo di Roma, da poco recensito in questa rubrica. Lo stesso autore di cui poi ho cercato con difficoltà e con zelo La fine di Gerusalemme, primo romanzo della trilogia di Giuseppe, che ho divorato con gusto. Per completezza di informazione aggiungo che a lui è dovuto anche il più noto Süss l'ebreo. Nella sua vasta produzione figurano inoltre diverse opere teatrali, alcune scritte in collaborazione con Bertold Brecht.
   Sunset, che prende in considerazione gli ultimi anni di vita dello scrittore, è opera di quello che è considerato il suo maggiore esperto. Ci si può dunque fidare sia dei dati biografici che della ricostruzione psicologica, tessuta con grande sensibilità. Se non fosse scritto in terza persona lo si scambierebbe per un diario.
   Diversi sono i motivi di interesse per il lettore. Uno di questi è la possibilità di affacciarsi su un momento storico vessato dal maccartismo che agli scrittori tedeschi, rifugiatisi negli USA durante il periodo nazista, riproponeva un clima inquisitorio, certo più morbido nei metodi ma inflessibile nell’applicazione. Un altro elemento sono i gustosi ritratti e i pettegolezzi relativi all’ambiente letterario dell’epoca. A Brecht, grande amico del protagonista, si riferiscono molte testimonianze curiose e ben documentate. Il rapporto fra i due era variegato, fatto di affetto paterno e filiale (con Brecht nel ruolo di figlio) e di collaborazione letteraria, ma anche di invidie, permalosità, accaniti diverbi, impuntature e piccoli screzi.  Come quando Brecht si era offeso riconoscendosi nel personaggio di un suo romanzo, descritto in un modo non abbastanza lusinghiero.  Ancora più interessante è l’episodio del loro primo incontro, nell’inverno del 1918.
Entrò un giovanotto che si portò al seguito, come un’invisibile stella cadente, una lunga scia di freddo. Era magro e gracile, aveva sulle guance e sul mento qualche sudicia traccia di una barba ispida, sembrava trascurato, stanco e sciatto. (…) Il bavero della sua giacca di pelle, troppo ampia e logora, era rialzato e quando, riluttante, si tolse il berretto a visiera, gocciolarono sulle tavole del pavimento alcuni resti di neve sciolta. (…) Ballò da un piede all’altro, era palese che intendesse dire qualcosa, ma non articolò una sola parola. (…) “Ho scritto un dramma!” se ne uscì di colpo come se avesse confessato un delitto.
  Centrale e pervasiva è l’attenzione a tutto ciò che riguarda il lavoro di scrittura: le opinioni, i metodi, i vissuti di quello che, più che una professione, è un modus vivendi. A cominciare dallo scontro con il padre, ebreo osservante e imprenditore, che non vedeva di buon occhio la sua attività letteraria e avrebbe preferito farne collaboratore ed erede della sua fabbrica di burro. Da qui l’appassionata perorazione.
…Se sapessi cosa è costretto a impiegare uno scrittore nel suo lavoro! Se sapessi quanto costa scrivere! Non parlo di soldi, parlo di nervi e sangue, perché per scrivere si utilizza anche il proprio corpo. E poi ci va di mezzo la vita intera!
   Essere scrittore significa essere sempre reperibili come soldati al fronte. Non c’è attimo in cui ci si possa distrarre dal compito incessante di osservare, annotare, cogliere dalla realtà esterna e interna ogni elemento utile, ogni suono o immagine o sensazione che possa tradursi in parola.
   Significa anche affrontare questioni dolorose come l’eterno e insoluto problema della traduzione in altra lingua.
…Nelle lingue straniere, il proprio idioma vive la condizione dell’esilio. Ecco che si è lottato per una frase, per una parola, e dopo lunga ricerca si è trovata la frase, la parola, la svolta felice che come un guanto ben tagliato aderisce ai pensieri e ai sentimenti. E poi arriva la parola tradotta, la frase tradotta. È esatta, è giusta, manca però qualcosa di decisivo.
   Modick segue il protagonista passo per passo nella sua quotidianità di uomo anziano e pieno di problemi sanitari che lo stanno avviando verso la fine. Sunset è il nome del Boulevard in cui sorge la sua villa californiana, ma è anche il tramonto della vita. Un momento sospeso fra passato e futuro, perché la memoria della vita trascorsa si intreccia con l’attività creativa e con l’interminabile battaglia per ottenere la cittadinanza americana.  
   Un ulteriore motivo di interesse, per me e per chi ha apprezzato i libri di Feuchtwanger, è la possibilità di individuare gli aspetti autobiografici da cui si originano certi temi. Si comprende per esempio quanto ci sia di personale nella sofferenza di Flavio Giuseppe, ebreo per nascita ed educazione, cosmopolita per vocazione e necessità, colpevole di essere sopravvissuto allo sterminio dei propri connazionali, straniero in patria e in ogni altra parte del mondo, talvolta perfino straniero a se stesso.

di Giovanna Repetto


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