CLASSICI
Alfredo Ronci
Tutto tranne la scatologia: “Donna Folgore” di Giovanni Faldella.
Non me ne vogliano i lettori, ma il titolo del pezzo è ovviamente dissacrante, ma forse non troppo date le escursioni non proprio moraliste del Faldella più inopinatamente espressivo.
Le vicende di vita del Faldella sono assai movimentate, perché l’uomo non si limitò a fare quello per cui aveva studiato, è cioè l’avvocato, ma anche e soprattutto a sperimentare la vita e le opere di personaggi più in alto di lui (fu fondatore de Il Velocipide, rivista politico-letteraria che però cessò le pubblicazioni solo dopo un anno), tanto da attirare l’attenzione di Giosuè Carducci, che per un certo periodo di tempo fu anche un suo rispettoso ammiratore. Faldella fu anche chiamato nella magistratura torinese quale sostituto procuratore e infine, per suggellare questa sua esistenza attiva e influente, alla fine del secolo diciannovesimo, fu eletto sindaco, come esponente dell’allora sinistra italiana.
Per quanto prestigiosa, la sua esistenza fu però anche contrassegnata da un amore assai determinato per la letteratura. Letteratura che il Faldella frequentò sin dall’età giovanile, per arrivare poi a pubblicare opere anche di un certo rilievo.
Nel nostro paese c’è stato Gianfranco Contini che lo ha recentemente riproposto all’attenzione della critica letteraria ritenendolo di un notevole sperimentalismo linguistico e considerandolo un esponente di quella linea plurilinguistica che da Carlo Dossi arriverebbe persino a Gadda.
Ora, tralasciando le odi di personaggi di un certo prestigio, vediamo un po’ come la mettiamo su l’operato letterario di Faldella, soprattutto l’ultimo periodo che è quello di cui fa parte Donna Folgore, che per la verità è solo il terzo capitolo di una trilogia, chiamata Capricci per pianoforte, dove Tota Nerina apriva la serie (1887), dove La contessa de Ritz (1991) la proseguiva e dove appunto Donna Folgore la concludeva.
Scritto tra il 1906 e il 1909, non si sa esattamente per quali motivi, rimase inedito per settant’anni, per trovare infine pubblicazione (e in parte fortuna) negli anni settanta.
Narra (l’intera trilogia però) le vicissitudini di uno stesso personaggio, l’affascinante avventuriera Nerina, e delle sue lestofanti vicende a sfondo erotico, vicende che in alcuni casi, rasentano, almeno per l’epoca, un vero e proprio sussulto pornografico.
In realtà l’intero libro è una dissacrante analisi dei luoghi comuni delle ideologie del tempo, dalla religione alla politica alla famiglia, per designare un ambiente e un’epoca. L’opera è, secondo una chiave di lettura più tecnica e letteraria, una messa in crisi, e perciò, anche da questo punto di vista, una parodia del romanzo di consumo tradizionale.
Come classificare o semplicemente giudicare una persona così scomoda come Nerina? Ad un certo punto del romanzo l’autore, nelle spoglie di un moralista dell’epoca, ce lo spiega: Per liberare la società di una malafemmina, che aveva ridotto il legittimo marito a deputato in congedo perpetuo per malattia, ed aveva ricacciato il principe drudo, già luminare della letteratura europea, alla scurità selvaggia del borgo natio, e minacciava complicazioni internazionali, turbando la rotta strategica di un ammiraglio inglese, e produceva infinità di guai nell’economia morale della nazione, cagionando anzitutto chi sa quali stati vertiginosi dell’anima a un padre, pietra di rettitudine, il Questore pensò anzitutto al manicomio, come arca di salvezza per la sua politica interna.
In realtà, a definire la situazione di Nerina non sarà il Questore, ma suo padre che, in un attimo di presa di coscienza, le sparerà contro uccidendola. Come dice lo stesso Faldella: Nerina fu l’esponente di un momento politico sociale. Senza risparmiarle l’abbominazione, che si meritò, essa è preferibilmente maravigliosa per avere spinta la logica del vizio alle ultime conseguenze.
Dunque il Faldella in parte condanna Nerina. Solo in parte, il resto lo lascia agli altri, non disgiunta questa sua posizione da una rappresentazione abbrutita di tutta la società.
L’edizione da noi considerata è:
Giovanni Faldella
Donna Folgore
Adelphi
Le vicende di vita del Faldella sono assai movimentate, perché l’uomo non si limitò a fare quello per cui aveva studiato, è cioè l’avvocato, ma anche e soprattutto a sperimentare la vita e le opere di personaggi più in alto di lui (fu fondatore de Il Velocipide, rivista politico-letteraria che però cessò le pubblicazioni solo dopo un anno), tanto da attirare l’attenzione di Giosuè Carducci, che per un certo periodo di tempo fu anche un suo rispettoso ammiratore. Faldella fu anche chiamato nella magistratura torinese quale sostituto procuratore e infine, per suggellare questa sua esistenza attiva e influente, alla fine del secolo diciannovesimo, fu eletto sindaco, come esponente dell’allora sinistra italiana.
Per quanto prestigiosa, la sua esistenza fu però anche contrassegnata da un amore assai determinato per la letteratura. Letteratura che il Faldella frequentò sin dall’età giovanile, per arrivare poi a pubblicare opere anche di un certo rilievo.
Nel nostro paese c’è stato Gianfranco Contini che lo ha recentemente riproposto all’attenzione della critica letteraria ritenendolo di un notevole sperimentalismo linguistico e considerandolo un esponente di quella linea plurilinguistica che da Carlo Dossi arriverebbe persino a Gadda.
Ora, tralasciando le odi di personaggi di un certo prestigio, vediamo un po’ come la mettiamo su l’operato letterario di Faldella, soprattutto l’ultimo periodo che è quello di cui fa parte Donna Folgore, che per la verità è solo il terzo capitolo di una trilogia, chiamata Capricci per pianoforte, dove Tota Nerina apriva la serie (1887), dove La contessa de Ritz (1991) la proseguiva e dove appunto Donna Folgore la concludeva.
Scritto tra il 1906 e il 1909, non si sa esattamente per quali motivi, rimase inedito per settant’anni, per trovare infine pubblicazione (e in parte fortuna) negli anni settanta.
Narra (l’intera trilogia però) le vicissitudini di uno stesso personaggio, l’affascinante avventuriera Nerina, e delle sue lestofanti vicende a sfondo erotico, vicende che in alcuni casi, rasentano, almeno per l’epoca, un vero e proprio sussulto pornografico.
In realtà l’intero libro è una dissacrante analisi dei luoghi comuni delle ideologie del tempo, dalla religione alla politica alla famiglia, per designare un ambiente e un’epoca. L’opera è, secondo una chiave di lettura più tecnica e letteraria, una messa in crisi, e perciò, anche da questo punto di vista, una parodia del romanzo di consumo tradizionale.
Come classificare o semplicemente giudicare una persona così scomoda come Nerina? Ad un certo punto del romanzo l’autore, nelle spoglie di un moralista dell’epoca, ce lo spiega: Per liberare la società di una malafemmina, che aveva ridotto il legittimo marito a deputato in congedo perpetuo per malattia, ed aveva ricacciato il principe drudo, già luminare della letteratura europea, alla scurità selvaggia del borgo natio, e minacciava complicazioni internazionali, turbando la rotta strategica di un ammiraglio inglese, e produceva infinità di guai nell’economia morale della nazione, cagionando anzitutto chi sa quali stati vertiginosi dell’anima a un padre, pietra di rettitudine, il Questore pensò anzitutto al manicomio, come arca di salvezza per la sua politica interna.
In realtà, a definire la situazione di Nerina non sarà il Questore, ma suo padre che, in un attimo di presa di coscienza, le sparerà contro uccidendola. Come dice lo stesso Faldella: Nerina fu l’esponente di un momento politico sociale. Senza risparmiarle l’abbominazione, che si meritò, essa è preferibilmente maravigliosa per avere spinta la logica del vizio alle ultime conseguenze.
Dunque il Faldella in parte condanna Nerina. Solo in parte, il resto lo lascia agli altri, non disgiunta questa sua posizione da una rappresentazione abbrutita di tutta la società.
L’edizione da noi considerata è:
Giovanni Faldella
Donna Folgore
Adelphi
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