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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

L'oralità, le malattie innominabili e la nipote del carnefice.

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Seguii, a suo tempo, su La Repubblica, la polemica che oppose lo storico ebreo Eric J. Hobsbawn ad altri colleghi a proposito del processo per diffamazione che David Irving, altro storico e famoso per le sue posizioni "tenere" nei confronti del nazismo, intentò contro Deborah Lipstadt per averlo definito "negazionista della Shoah".

I termini della disputa? Senza appoggiare le discutibili posizioni di Irving, Hobsbawn riteneva che non esistesse effettivamente un documento che attestasse che Hitler avesse ordinato l'eliminazione fisica degli Ebrei. Diceva: Irving non nega che milioni di ebrei perirono tra il '41 e il '45. Non nega nemmeno che un vasto numero di ebrei fu deliberatamente sterminato, e non solo ucciso dalla fatica, dalla fame o dalle malattie. Piuttosto, egli si concentra nel sollevare il dubbio su molte delle "idees recues" circa l'Olocausto – ciò che potremmo chiamare la retorica pubblica o la versione hollywoodiana dell'Olocausto, la gran parte della quale non proviene dagli storici seri che hanno indagato questo terribile soggetto. E anzi alcuni di loro, come ogni specialista del campo sa, hanno un atteggiamento di apertura verso le critiche. (da La Repubblica del 28 Marzo 2000).

Apriti cielo! Giù contumelie ed improperi. Che fai? Ti permetti d'inquinare la storiografia paludata e mummificata?

Altro risultato del contendere: Irving perse la causa, nonostante i giudici gli avessero riconosciuto una competenza "inarrivabile" nella storia militare della Seconda Guerra Mondiale e che talvolta è impossibile accusarlo di falso (sic!). A questo s'aggiunga la reputazione che la Lipstadt vantava (e vanta) tra i colleghi: praticamente, come avrebbe detto la Magnani 'na sciacquetta.

Curiosamente, sempre nel 2000, per i tipi Bollati Boringhieri uscì il volume di Kurt Pätzold ed Erika Schwarz Ordine del giorno: sterminio degli ebrei. E cadde a cecio. I due storici, scardinando con intelligenza e prove irrefutabili l'assunto secondo cui la Conferenza di Wannsee del 20 gennaio del 1942 fu ritenuta dai più (e a torto) l'atto conclusivo della politica nazista nei confronti degli Ebrei, arrivarono allo stesso risultato di Hobsbawn: Hitler non ordinò mai per iscritto il massacro. Oggi gli storici, pur adottando metodi e approcci di ricerca molto diversi tra loro, sono concordi nell'affermare che l'apparato omicida è stato creato, messo in funzione e mantenuto in moto a seguito di direttive e di autorizzazioni emesse verbalmente. Hitler impartì le sue disposizioni ad almeno due persone del suo più stretto entourage, Hermann Göring e Heinrich Himmler. (pag.24).

Il 16 dicembre 2007 l'inserto domenicale de Il sole 24 ore riporta la polemica (1), che per certi versi può essere assimilabile all'argomento fin qui trattato, sulla opportunità di cambiare denominazioni a patologie date da medici e scienziati nazisti che le avevano scoperte, ma che in seguito si erano macchiati di delitti atroci. Scriveva l'estensore dell'articolo Gilbero Corbellino: Il problema degli eponimi nazisti si discute da circa un decennio. Nel 1998 la questione fu sollevata sulla rivista «Lancet» in relazione ai casi di Julius Hallervorden e Hugo Spatz, neuropatologo il primo e psichiatra il secondo, che insieme danno il nome a una rara sindrome neurovegetativa; ma che avevano spiantato e studiato i cervelli di centinaia di bambini, adolescenti e malati di mente uccisi nell'ambito del progetto nazista che dal 1939 prescriveva l'eutanasia per i soggetti ritenuti non degni di vivere.

Polemica vecchia come il cucco (e non crucco!). La questione del contendere semmai è un'altra: è possibile salvare qualcosa nella gestione politico-amministrativa di regimi dittatoriali che in seguito hanno portato i propri paesi alla rovina (e non solo i propri)? Anni fa la stessa domanda il Costanzo la fece, durante il suo omonimo show, a Denis Mack Smith a proposito del fascismo. Lo storico rispose, a mio modesto avviso molto discutibilmente, che non c'era nulla da salvare.

Nel 2004 il professore di Storia della Scienza alla Pennsylvania State University Robert N. Proctor pubblicò un bellissimo saggio sulla campagna anticancro del Terzo Reich (2). La tesi dello studioso era che il regime nazista si rivelò pioniere nelle misure salutistiche ed "ecologiche", dal bando delle sostanze inquinanti, fino alla campagna contro il cancro, che oggi sono il vanto di non poche democrazie avanzate.

L'aspetto, che assumeva comunque carattere ideologico, coinvolgeva soprattutto la questione alimentare. I filosofi e i politici nazisti contrapposero questo concetto di "salute come dovere" (adottato ufficialmente quale slogan nazionale nel 1939) al cosiddetto concetto "marxista" della salute come "diritto di ciascuno di fare ciò che vuole del proprio corpo".

Una tematica comune della retorica nazista del cibo era l'esigenza di tornare a un'alimentazione più naturale, priva di coloranti e conservanti artificiali. Gli alimenti dovevano avere un basso contenuto di grassi e un alto contenuto di fibre, mentre andavano evitati o usati con moderazione stimolanti come caffè, alcool e tabacco. Si doveva ridurre al minimo il consumo di carne e preferire i cibi freschi a quelli in scatola.
(3)

Sulle teorie della carcinogenesi i nazisti erano, ahimè e non è una bestemmia, più all'avanguardia del nostro Veronesi, perché erano basate soprattutto sullo "stile di vita". Anche se poi il determinismo biologico dei filosofi mischiò razza, genetica, ereditarietà e portò all'immane tragedia che tutti conosciamo.

Però la domanda che ci eravamo posti sulla possibilità di salvare qualcosa in un contesto "tragico" rimane, crediamo, senza risposta. Cioè, non crediamo di doverla o poterla dare.

Una ragionevole strage (4) della francese Mireille Horsinga-Renno, tenta di dare anche al problema della "non ufficialità" delle disposizioni hitleriane in tema di sterminio una connotazione personale. Il padre fu uno dei 130.000 francesi originari dell'Alsazia e della Mosella che furono costretti ad arruolarsi nella Wermacht dopo l'annessione della Francia al Terzo Reich. Scopre invece, improvvisamente, che lo zio, un certo"Dr.Renno", fu il responsabile, presso il castello austriaco di Hartheim, del programma nazista di sterminio delle persone portatrici di handicap (detto T4), a causa del quale morirono 18.269 "malati incurabili", la cui vita era ritenuta "inutile ed improduttiva".

Il 27 giugno 1945 la polizia militare americana scopre al castello le «Statistiche di Hartheim»: una relazione di 39 pagine, redatta nel 1942, con le cifre relative ai «risparmi» realizzati grazie all'azione T4. Secondo il documento, le 70.273 «disinfezioni» (di cui 18.269 hanno avuto luogo ad Hartheim) hanno fatto «risparmiare» più di 885 milioni di marchi. Nel business della morte somministrata in massa, l'essere umano rappresenta solamente una variabile di questo «orrore economico». (5)

La Horsing-Renno tenta disperatamente di dare un senso alla sua scoperta, ma lo zio, al di là di esecrabili tentativi di scaricare su altri responsabilità proprie... spostava sempre la conversazione sull'argomento e cercava di giustificarsi, presentandoci come vittima costretta ad eseguire gli ordini per non incappare in sanzioni severe (6) e raccontando che (e qui indirettamente la Renno fornisce una chiave di lettura storicamente simile a quella dello storico Hobsbawn)... Durante la riunione, Brandt e Bouhler illustrano ai medici convocati le direttive per lo sterminio, precisando loro che Hitler non vuole fare una legge ed esige l'assoluto segrteo. Tuttavia garantisce loro che saranno al riparo da qualsiasi condanna penale (7) non recede dal dovere etico di pentirsi.

La sconvolgente vicenda della Renno si chiude con un'altra scoperta: il padre, sotto le armi, per evitare la guerra ed un eccessivo coinvolgimento con le truppe del Terzo Reich, si automutilò. Anche lui, come il Dr Renno, sopravvisse dunque alla carneficina. Quest'ultimo facendone parte. L'altro scansandola. E questo non può non averle portato una misera consolazione.









(1)Gilberto Corbellini - Malattie innominabili da Il sole 24 ore del 16 Dicembre 2007.

(2) Robert N. Proctor – La guerra di Hitler al cancro – Raffaello Cortina editore - 2004

(3) Ibidem ; pag.146

(4) Mireille Horsinga-Renno – Una ragionevole strage – Lindau – 2008

(5) Ibidem; pag. 187

(6) Ibidem, pag.107. Curioso come il Dr Renno, di fronte alle prove schiaccianti, parli del tentativo di evitare sanzioni, mentre Eichmann, al processo di Norimberga, tentò di coinvolgere il concetto di libero arbitrio.

(7) Ibidem; pag.148.







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