CINEMA E MUSICA
marco minicangeli
The Shrouds

"Shrouds", sudario. Forse dobbiamo partire da qui, dal titolo del film di David Cronenberg che in un’intervista ha messo in evidenza come questa parola significhi anche “celare”, “nascondere”.
In uscita il 3 aprile nelle sale italiane, The Shrouds ha sollevato giudizi contrastanti. La situazione di partenza potrebbe far pensare a Ubik, ma non è così. Niente a che vedere con i moratorium di Phillip Dick: lo shroud è infatti un particolare sudario, che avvolto il morto funge da telecamera. Serve a rimandare il lento corrompersi del corpo, che i suoi parenti possono vedere dall’esterno su uno schermo affisso sulla lapide. Ad inventare questo artificio è stato Karsh, un uomo d’affari, alla morte di sua moglie. Niente sospensione o cremazione dunque, solo la natura che fa il suo corso, perché nella cultura ebraica il corpo deve lentamente corrompersi e permettere all’anima di staccarsi da lui senza groppi traumi. Una mattina però Karsh scopre che molte tombe del cimitero che ha fondato sono state profanate, tra qui anche quella della moglie. È da questo momento che lui si mette alla ricerca dei colpevoli, scoprendo una sorta di complotto.
Tecnologia, corpo e mente: questi sono gli ambiti nei quali si muove Cronenberg e questo da sempre, fin dai tempi di Videodrome (1983) ed ExistenZ (1999). Intervistato prima dell’uscita del film gli è stato chiesto se si consideri un visionario. A sentire lui no, solo un attento osservatore della condizione umana. Elaborazione del lutto nell’epoca della IA, ha detto, riconoscendo che nel film c’è molto materiale biografico (Cronenberg ha perso la moglie da non molto) e che quello è un campo ancora tutto da scoprire. Non a caso ha citato alcuni sviluppi tecnologici che hanno portato alla sintetizzazione di avatar che parlano con la stessa voce del caro estinto.
Per quanto ci riguarda abbiamo trovato il film interessante, nonostante una certa “lentezza” di fondo.
Comunque da vedere. In sala.
In uscita il 3 aprile nelle sale italiane, The Shrouds ha sollevato giudizi contrastanti. La situazione di partenza potrebbe far pensare a Ubik, ma non è così. Niente a che vedere con i moratorium di Phillip Dick: lo shroud è infatti un particolare sudario, che avvolto il morto funge da telecamera. Serve a rimandare il lento corrompersi del corpo, che i suoi parenti possono vedere dall’esterno su uno schermo affisso sulla lapide. Ad inventare questo artificio è stato Karsh, un uomo d’affari, alla morte di sua moglie. Niente sospensione o cremazione dunque, solo la natura che fa il suo corso, perché nella cultura ebraica il corpo deve lentamente corrompersi e permettere all’anima di staccarsi da lui senza groppi traumi. Una mattina però Karsh scopre che molte tombe del cimitero che ha fondato sono state profanate, tra qui anche quella della moglie. È da questo momento che lui si mette alla ricerca dei colpevoli, scoprendo una sorta di complotto.
Tecnologia, corpo e mente: questi sono gli ambiti nei quali si muove Cronenberg e questo da sempre, fin dai tempi di Videodrome (1983) ed ExistenZ (1999). Intervistato prima dell’uscita del film gli è stato chiesto se si consideri un visionario. A sentire lui no, solo un attento osservatore della condizione umana. Elaborazione del lutto nell’epoca della IA, ha detto, riconoscendo che nel film c’è molto materiale biografico (Cronenberg ha perso la moglie da non molto) e che quello è un campo ancora tutto da scoprire. Non a caso ha citato alcuni sviluppi tecnologici che hanno portato alla sintetizzazione di avatar che parlano con la stessa voce del caro estinto.
Per quanto ci riguarda abbiamo trovato il film interessante, nonostante una certa “lentezza” di fondo.
Comunque da vedere. In sala.
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