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CLASSICI

Alfredo Ronci

Le “mollezze” di un misogino: “La desinenza in A” di Carlo Dossi.

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Certo la vita del Dossi fu quanto meno intensa, tanto che, al di là dei suoi innumerevoli meriti letterari (forse meglio dire linguistici), alla fine ci si chiede se non sia stata maggiormente rappresentativa la sua attività politica che non quella letteraria.
Tanto per dire: nel 1872 (cioè a 23 anni) si trasferì a Roma per intraprendervi la carriera ministeriale e nel 1879 diventò segretario privato di Crispi e nel 1892 fu nominato console a Bogotà. Una carriera potremmo dire inusuale e sbrigativa. Ma forse in lui, già da subito (figlio di ricchi proprietari terrieri), si fecero avanti le propensioni letterarie tanto che, nel 1881, s’interessò alla pubblicazione di L’Altrieri (sorta di romanzo giovanile autobiografico) che in realtà era stato scritto nel 1868.
Al centro del movimento scapigliato, Dossi lo si può considerare, alla stregua dei fatti, un romanziere della Scapigliature? Lo scrittore della sua attività narrativa aveva un’idea del tutto particolare. A proposito di La desinenza in A affermò: Una bricconeria fatta da un galantuomo. Che potrebbe voler dire che è una sorta di presa in giro o invece, più in generale, capriole letterarie che gli scapigliati (ancora!) si premuravano di fornire garanzie rassicuranti ai lettori.
Al di là di tutte le considerazioni più o meno critiche l’opera del Dossi, meglio ancora, il linguaggio di cui è fatto il romanzo, è una sorta di complesso ricchissimo di calembours, di bisticci, di scambi di sensi di anfibologie innestati gli uni sugli altri in un incessante spettacolo di fuochi d’artificio. Per questo si diceva poc’anzi che ridurre il Dossi ad un semplice scrittore scapigliato ci sembra una forzatura bella e buona.
Non solo: a partire dalle sue opere si è cercato poi di creare una sorta di albero genealogico che comprendesse autori e opere (per lo più romanzi) che in qualche modo rappresentassero il seguito della sua attività narrativa. Primo fra tutti Carlo Emilio Gadda. Attraverso di lui sono devoti al Dossi, magari senza considerarlo in prima persona, autori che aumentano l’espressività della prosa con la miscela di lingua e dialetto, quindi anche lo sperimentalismo di fine anni cinquanta, inizi sessanta e le avanguardie successive. E infine, per non farci mancare nulla in questo elenco rappresentativo, scrittori che trovarono a continuare la ricerca formale di Dossi: Pasolini, D’Arrigo, Testori, Arbasino e infine Manganelli.
Interessante no? Ma vediamo più dettagliatamente cosa racconta questo romanzo o bricconeria fatta da un gentiluomo. E’ la storia di ritratti, per lo più, di donne (ma ci sono anche gli uomini, altroché), oggi potremmo dire vagamente stressate e dei tentativi del maschio di tentare una sorta di approccio sentimentale. I critici lo hanno definito un romanzo decisamente misogino. E non a caso. Ma Dante Isella, suo studioso e profondo conoscitore a tal proposito diceva: … la misoginia della Desinenza, come più in generale la misantropia dei Ritratti umani  di cui fa parte, non è che la maschera dietro cui si nasconde e si difende una sensibilità affilata, inadatta a sostenere la durezza della vita, incapace di accettarne l’assurdo: il rovescio in altri termini, del narcisismo dell’Altrieri, ma pur sempre il medesimo, protratto al di là del suo tempo e ruolo fisiologici.
Pur tuttavia la misoginia c’è, è evidente, e il Dossi non fa nulla per cercare di evitarla, anzi. Come quando parlando di donne dice: … incontrando le quali, l’uomo gentile, che cerca, non tanto una femmina a sé quanto una mamma al suo bimbo, balza di gioja, ed esclama “eccola”.
Oppure… Sulle poppe di lei si sarebbero accomodati agiatamente due gatti; per abbracciarla del tutto bisognava essere in due.
Potremmo dire anzi, quisquilie e pinzillacchere, se il tono così ironico e “magicamente” disponibile, non facesse pensare a qualcos’altro (per dire… tendenze omosessuali), che gli studi successivi e soprattutto le opere successive, non hanno assolutamente confermato i dubbi.
Desinenza in A non è un romanzo autobiografico, ma nei personaggi del romanzo c’è qualcuno che farebbe pensare al contrario: il solitario Nino Fiore. Quello che più di qualche volta nel “costrutto” compare, lui di rarissimo ingegno che un lettore puntuale ed attento non fatica molto a riconoscere nei vari ritratti allo specchio che il Dossi si diverte ad affidare ai suoi libri.
Un romanzo dunque atipico (sì, soprattutto per come è scritto) che però la critica odierna, più che quella di allora, ha cominciato a ritenerlo capolavoro. A tutti gli effetti.




L’edizione da noi considerata è:

Carlo Dossi
La Desinenza in A
Centopagine Einaudi



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