RECENSIONI
William S. Burroughs
Il gatto che è in noi
Adelphi, Traduzione di Giuseppe Bernardi, Pag. 107 Euro 12.00
Ormai da tempo la premiata ditta Adelphi (ma è vero quel che si dice, che rischieremmo di non vederla mai più?) sta pubblicando con una certa regolarità la produzione letteraria di Burroughs (ormai è arrivata a tredici volumi). Certo, un’impresa che pesa anche un po', perché c’è chi dice che lo scrittore americano sia una delle cose più stimolanti del novecento e chi (come me) pensa che si sia un po’ esagerato sulla sua vena artistica (e non solo).
Vediamo dunque questo piccolo volume che, secondo chi scrive, è stato pubblicato anche grazie al diluvio letterario che si è scatenato intorno ai gatti. Ma Burroughs dice: Molto dopo avrei capito che mi spetta il ruolo del Guardiano, per dar vita e nutrimento a una creatura che è in parte gatto, in parte uomo, e in parte qualcosa di ancora inimmaginabile, che potrebbe essere il risultato di un’unione non consumata per milioni di anni.
Della serie: non aspettatevi la gattara (o il gattaro) che va dietro all’animale e non è contenta/o finché non riesce a dargli da mangiare se non addirittura a curarlo. No, Burroughs è uno che s’interessa del gatto solo quando gli si para di fronte (negli anni ’80, abitando fuori città, spesso incontrava gatti randagi e anche malati) e che poi, dall’alto delle sue geniali condizioni letterarie, ne fa una specie di metafora esistenziale.
Ma coglie anche aspetti non del tutto astrusi. Esempio: Ho osservato che nelle lotte tra gatti quasi sempre vince l’aggressore. Quando in battaglia il gatto si accorge di aver la peggio non esita a scappare, laddove il cane combatte fino alla sua stupida morte. Come mi disse il mio vecchio maestro di lotta giapponese: “Se il tuo gioco non funziona, meglio che te la batti”.
E a proposito di cani: Io non sono un odiatore di cani. Odio in realtà ciò che l’uomo ha fatto del suo migliore amico. Il ringhio di una pantera è certamente più pericoloso di quello di un cane, solo che non è turpe. La rabbia di un gatto è bella, brucia di pura fiamma gattifera…
Dunque Burroughs, come già detto, non è un animalista di quelli che si aggirano pericolosamente in mezzo a noi. Ha avuto i suoi limiti (parla ogni tanto anche di altri animali, ma sono i gatti a prenderlo nell’anima), ma anche le sue distanze. Da questo punto di vita è veramente apprezzabile.
Noi siamo il gatto che è in noi. Siamo i gatti che non possono camminare da soli, e per noi c’è un posto soltanto.
di Eleonora del Poggio
Vediamo dunque questo piccolo volume che, secondo chi scrive, è stato pubblicato anche grazie al diluvio letterario che si è scatenato intorno ai gatti. Ma Burroughs dice: Molto dopo avrei capito che mi spetta il ruolo del Guardiano, per dar vita e nutrimento a una creatura che è in parte gatto, in parte uomo, e in parte qualcosa di ancora inimmaginabile, che potrebbe essere il risultato di un’unione non consumata per milioni di anni.
Della serie: non aspettatevi la gattara (o il gattaro) che va dietro all’animale e non è contenta/o finché non riesce a dargli da mangiare se non addirittura a curarlo. No, Burroughs è uno che s’interessa del gatto solo quando gli si para di fronte (negli anni ’80, abitando fuori città, spesso incontrava gatti randagi e anche malati) e che poi, dall’alto delle sue geniali condizioni letterarie, ne fa una specie di metafora esistenziale.
Ma coglie anche aspetti non del tutto astrusi. Esempio: Ho osservato che nelle lotte tra gatti quasi sempre vince l’aggressore. Quando in battaglia il gatto si accorge di aver la peggio non esita a scappare, laddove il cane combatte fino alla sua stupida morte. Come mi disse il mio vecchio maestro di lotta giapponese: “Se il tuo gioco non funziona, meglio che te la batti”.
E a proposito di cani: Io non sono un odiatore di cani. Odio in realtà ciò che l’uomo ha fatto del suo migliore amico. Il ringhio di una pantera è certamente più pericoloso di quello di un cane, solo che non è turpe. La rabbia di un gatto è bella, brucia di pura fiamma gattifera…
Dunque Burroughs, come già detto, non è un animalista di quelli che si aggirano pericolosamente in mezzo a noi. Ha avuto i suoi limiti (parla ogni tanto anche di altri animali, ma sono i gatti a prenderlo nell’anima), ma anche le sue distanze. Da questo punto di vita è veramente apprezzabile.
Noi siamo il gatto che è in noi. Siamo i gatti che non possono camminare da soli, e per noi c’è un posto soltanto.
di Eleonora del Poggio
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