ATTUALITA'
Alfredo Ronci
La militanza del critico. Considerazioni su ciò che è e non è il recensore di libri.
Spesso mi sono chiesto: in che cosa consiste il lavoro di recensore? Con una battuta mi verrebbe da dire: scansare le sirene ammaliatrici degli Uffici stampa delle case editrici che, chissà perché, hanno tutti dei capolavori assoluti da proporre e promuovere.
In realtà vedo nel recensore una forma più progredita e genuina rispetto a quella del "segnalatore". Il "segnalatore" è quella figura, non del tutto identificabile, astratta quel poco da non risultare inesistente, che avvisa i lettori dei quotidiani o delle riviste che vanno per la maggiore che è uscito un libro (la cui lettura è sapientemente evitata) e sul cui valore non si può prescindere. E' l'alter ego (fatte le debite, e mica tante, differenze e fatti i debiti scongiuri) degli "strilli" di copertina, fascettati, con mirata sapienza , dagli editori accorti. Il segnalatore, quando s'incarna in un individuo, e non, è solo una proiezione virtuale della carta stampata; spesso indossa abiti accattivanti e si presenta con modi faceti e incantatori.
Il recensore, che invece è persona più prepotente e scontrosa (si dice che guardi anche in cagnesco), materialmente riconoscibile persino quando si nasconde dietro il linguaggio di una pagina stampata, è dunque un paio di gradini sopra un'immaginaria scala di valori la cui bassezza assoluta è costituita da coloro i quali non sanno nemmeno cos'è un libro.
Il sospetto che oltre ci fosse un'entità più corposa ed altissima, che potesse competere anche col divino, mi è venuta leggendo due agili volumetti stampati rispettivamente dall'editore Gaffi e dall'editore Castelvecchi.
Il primo, più corposo, ad opera di Andrea Carraro, scrittore (è suo il romanzo Il branco, da cui Risi trasse il film), giornalista (ha lavorato per "L'Unità", "La Repubblica", attualmente scrive per "Max") si presenta con un titolo agguerrito e battagliero: Botte agli amici(1).
Ci dice l'autore: Non sono un critico, non sono un accademico, non sono neppure uno specialista, ma sono uno che i romanzi li scrive, che cioè vive dall'interno tutte le difficoltà e o problemi tecnici legati alla realizzazione di un'opera letteraria. Sono un accanito lettore di romanzi che detesta non la complessità, ma l'inutile complicazione, la fumosa retorica. Aggiungo che la semplicità, in arte come nell'esercizio della critica, è la cosa più bella e difficile da ottenere. Mi piace la letteratura che non si veste, che si mostra per quello che è, nella sostanza per quello che ha da dire.
Onesti intendimenti davvero che poi fanno a cazzotti con l'inusitata smania dell'autore di classificare i libri – che certo semplicità non è - (e sono tanti anche perché coprono un arco che va dal 1990 al 2004) secondo categorie che lui stesso definisce schemi mentali. Qui Carraro si sbizzarrisce nelle definizioni: si va dal gruppo "Ti scandalizzo io" (Mazzucato, Santacroce, Vinci, le regine!) al "postmoderno italiano" (che dio salvi, o stramaledica, a secondo dei gusti personali, il Pier Vittorio Tondelli nazionale e si citano, tra gli altri, Baricco, Veronesi e Pincio), dai "Comici stralunati e grotteschi" (Benni, ovvio, Cavazzoni e Nori) al "Racconto dunque sono" (non cito tutti i gruppi, ma questo è il preferito dall'autore, e la definizione già ne da un acconto e che, fra l'altro, riporta Ammaniti, Covacich, Nata, Malerba, Onofri ecc.).
Che interesse può avere un'operazione del genere? Al di là del disquisire sul concetto di critica (che pare sia proprio diversa da quello di recensione, come il critico sembri nozione più significativa di quello del recensore) su cui l'autore indugia e chiarisce: Il primo requisito che ricerco in un critico è la libertà di giudizio, ovvero l'integrità morale, poi viene l'idea di letteratura che propone, infine ma non da ultimo la sua scrittura, ci pare giusto indicarlo come strumento efficace di consultazione, per gli addetti ai lavori, ma anche per quei lettori muniti di buon senso e buon cervello, protetti dalle urla delle sirene del mercato.
L'altro librino (qui davvero ino ino) è Apologia del critico militante (2) di Giorgio Manacorda. Qui l'assunto è che militante è la parola giusta, perché il critico che agisce allo scoperto, privo di garanzie, il critico laico, in effetti combatte, milita, si schiera, e lo fa per il dio che è in lui, lo fa per la poesia.
Questa accattivante idea, mista di laicismo e deità, del "militare"(verbo) che, dati tempi e le letture, rasenta il motto borrelliano "resistere, resistere, resistere" e che ha significanza demiurgica, ha anche un retroterra segnato nel tempo. Manacorda si rifà agli esempi di Cases (1960) per cui la funzione della critica è essenzialmente quella di stabilire e motivare dei giudizi di valore. O, ancor più dietro, a Benedetto Croce: Solamente col giudizio o critica della poesia, con la vera e propria critica, distinta dalla coscienza immediata del bello e del brutto, si trapassa nella sfera del pensiero e della logica...
Dunque, per una buona critica (si capisce a questo punto che ridurla d'importanza, o definirla diversamente è azione impropria e "impopolare") né l'atteggiamento estetico, né quello logico può essere di supporto ad una classificazione finale. Manacorda offre un sunto ricco e probabilmente conclusivo che a me piace ridurre, non me ne vogliano i puristi, a semplice lista della spesa.
a)Il critico (sempre militante, mi raccomando!) non è un sociologo, perché per lui contano non le dinamiche della società, ma quelle del testo.
b)Il critico, non è e non può essere uno specialista, ma un vero e proprio genio dell'interpretazione.
c)Il critico è un sogno inappagato dell'umanità: è un androgino. Come tale un essere inquietante.
d)Il critico è divino perché è laico.
e)Il critico è una figura angelica, è un mediatore tra il cielo e la terra, tra il cielo della poesia e la terra di tutti i giorni, la sua è una continua annunciazione.
f)Il critico pensa come i poeti e questa è la ragione per cui li sa riconoscere, e li può giudicare.
Mi pare a questo punto che lo scopo di un critico militante, oltre che di autorigenerazione, è salvifico: salvare in primis sé stessi e poi i lettori (l'ho sempre detto che leggere Baricco fa male alla salute).
La domanda iniziale allora sulla "consistenza" del lavoro del recens... (ops!) del critico militante può compiersi con un'operazione creativa: sovrapporsi all'opera che intende valutare. Come a dire che nel buon regno della critica un'opera distinta ne produce due. La stessa, e la sua speculare analisi.
Come a dire che Il Paradiso degli Orchi è doppio. Chi vuole intendere intenda.
(1)Andrea Carraro – Botte agli amici – Alberto Gaffi editore - 2005
(2)Giorgio Manacorda – Apologia del critico militante – Castelvecchi editore - 2006
In realtà vedo nel recensore una forma più progredita e genuina rispetto a quella del "segnalatore". Il "segnalatore" è quella figura, non del tutto identificabile, astratta quel poco da non risultare inesistente, che avvisa i lettori dei quotidiani o delle riviste che vanno per la maggiore che è uscito un libro (la cui lettura è sapientemente evitata) e sul cui valore non si può prescindere. E' l'alter ego (fatte le debite, e mica tante, differenze e fatti i debiti scongiuri) degli "strilli" di copertina, fascettati, con mirata sapienza , dagli editori accorti. Il segnalatore, quando s'incarna in un individuo, e non, è solo una proiezione virtuale della carta stampata; spesso indossa abiti accattivanti e si presenta con modi faceti e incantatori.
Il recensore, che invece è persona più prepotente e scontrosa (si dice che guardi anche in cagnesco), materialmente riconoscibile persino quando si nasconde dietro il linguaggio di una pagina stampata, è dunque un paio di gradini sopra un'immaginaria scala di valori la cui bassezza assoluta è costituita da coloro i quali non sanno nemmeno cos'è un libro.
Il sospetto che oltre ci fosse un'entità più corposa ed altissima, che potesse competere anche col divino, mi è venuta leggendo due agili volumetti stampati rispettivamente dall'editore Gaffi e dall'editore Castelvecchi.
Il primo, più corposo, ad opera di Andrea Carraro, scrittore (è suo il romanzo Il branco, da cui Risi trasse il film), giornalista (ha lavorato per "L'Unità", "La Repubblica", attualmente scrive per "Max") si presenta con un titolo agguerrito e battagliero: Botte agli amici(1).
Ci dice l'autore: Non sono un critico, non sono un accademico, non sono neppure uno specialista, ma sono uno che i romanzi li scrive, che cioè vive dall'interno tutte le difficoltà e o problemi tecnici legati alla realizzazione di un'opera letteraria. Sono un accanito lettore di romanzi che detesta non la complessità, ma l'inutile complicazione, la fumosa retorica. Aggiungo che la semplicità, in arte come nell'esercizio della critica, è la cosa più bella e difficile da ottenere. Mi piace la letteratura che non si veste, che si mostra per quello che è, nella sostanza per quello che ha da dire.
Onesti intendimenti davvero che poi fanno a cazzotti con l'inusitata smania dell'autore di classificare i libri – che certo semplicità non è - (e sono tanti anche perché coprono un arco che va dal 1990 al 2004) secondo categorie che lui stesso definisce schemi mentali. Qui Carraro si sbizzarrisce nelle definizioni: si va dal gruppo "Ti scandalizzo io" (Mazzucato, Santacroce, Vinci, le regine!) al "postmoderno italiano" (che dio salvi, o stramaledica, a secondo dei gusti personali, il Pier Vittorio Tondelli nazionale e si citano, tra gli altri, Baricco, Veronesi e Pincio), dai "Comici stralunati e grotteschi" (Benni, ovvio, Cavazzoni e Nori) al "Racconto dunque sono" (non cito tutti i gruppi, ma questo è il preferito dall'autore, e la definizione già ne da un acconto e che, fra l'altro, riporta Ammaniti, Covacich, Nata, Malerba, Onofri ecc.).
Che interesse può avere un'operazione del genere? Al di là del disquisire sul concetto di critica (che pare sia proprio diversa da quello di recensione, come il critico sembri nozione più significativa di quello del recensore) su cui l'autore indugia e chiarisce: Il primo requisito che ricerco in un critico è la libertà di giudizio, ovvero l'integrità morale, poi viene l'idea di letteratura che propone, infine ma non da ultimo la sua scrittura, ci pare giusto indicarlo come strumento efficace di consultazione, per gli addetti ai lavori, ma anche per quei lettori muniti di buon senso e buon cervello, protetti dalle urla delle sirene del mercato.
L'altro librino (qui davvero ino ino) è Apologia del critico militante (2) di Giorgio Manacorda. Qui l'assunto è che militante è la parola giusta, perché il critico che agisce allo scoperto, privo di garanzie, il critico laico, in effetti combatte, milita, si schiera, e lo fa per il dio che è in lui, lo fa per la poesia.
Questa accattivante idea, mista di laicismo e deità, del "militare"(verbo) che, dati tempi e le letture, rasenta il motto borrelliano "resistere, resistere, resistere" e che ha significanza demiurgica, ha anche un retroterra segnato nel tempo. Manacorda si rifà agli esempi di Cases (1960) per cui la funzione della critica è essenzialmente quella di stabilire e motivare dei giudizi di valore. O, ancor più dietro, a Benedetto Croce: Solamente col giudizio o critica della poesia, con la vera e propria critica, distinta dalla coscienza immediata del bello e del brutto, si trapassa nella sfera del pensiero e della logica...
Dunque, per una buona critica (si capisce a questo punto che ridurla d'importanza, o definirla diversamente è azione impropria e "impopolare") né l'atteggiamento estetico, né quello logico può essere di supporto ad una classificazione finale. Manacorda offre un sunto ricco e probabilmente conclusivo che a me piace ridurre, non me ne vogliano i puristi, a semplice lista della spesa.
a)Il critico (sempre militante, mi raccomando!) non è un sociologo, perché per lui contano non le dinamiche della società, ma quelle del testo.
b)Il critico, non è e non può essere uno specialista, ma un vero e proprio genio dell'interpretazione.
c)Il critico è un sogno inappagato dell'umanità: è un androgino. Come tale un essere inquietante.
d)Il critico è divino perché è laico.
e)Il critico è una figura angelica, è un mediatore tra il cielo e la terra, tra il cielo della poesia e la terra di tutti i giorni, la sua è una continua annunciazione.
f)Il critico pensa come i poeti e questa è la ragione per cui li sa riconoscere, e li può giudicare.
Mi pare a questo punto che lo scopo di un critico militante, oltre che di autorigenerazione, è salvifico: salvare in primis sé stessi e poi i lettori (l'ho sempre detto che leggere Baricco fa male alla salute).
La domanda iniziale allora sulla "consistenza" del lavoro del recens... (ops!) del critico militante può compiersi con un'operazione creativa: sovrapporsi all'opera che intende valutare. Come a dire che nel buon regno della critica un'opera distinta ne produce due. La stessa, e la sua speculare analisi.
Come a dire che Il Paradiso degli Orchi è doppio. Chi vuole intendere intenda.
(1)Andrea Carraro – Botte agli amici – Alberto Gaffi editore - 2005
(2)Giorgio Manacorda – Apologia del critico militante – Castelvecchi editore - 2006
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