ATTUALITA'
Marco Lanzòl
TELECAMERA CON VISTA. TROPPA.Società di controllo e impegno letterario. A margine di "Nemici dello Stato" (1)
Ogni società è innanzitutto una struttura discorsiva, cioè un insieme di atti linguistici (dal mito al codice penale) dotati di senso determinato. La flagranza di parole come "ebreo","frocio","negro", chiarisce più di mille dissertazioni quel che intendo - come pure, a senso inverso, l'impiego di aborti linguistici quali "guerra preventiva", o "missione di pace", non indegni dell' Orwell di 1984.
Occupandosi di parole (e sensi), il mestiere dello scrittore ha dunque un'imposta funzione sociale - oltre a quella di recuperare sciroccati, tossici e devianti, come avviene nei mondi arcaici, dove il pazzo lo fanno sciamano perché non si butta niente. Funzione che Aldo Busi, quel diavolo d'uomo, descrive così: "ogni opera letteraria pertiene innanzitutto alla lingua di Stato, e o accumula o erode senso dello Stato" - (2) che forse si erode da solo, se lo stato in questione è cipollàro, (3) e dunque non dà fiducia al cittadino. Lo sfaldarsi avverrebbe quindi per motivi a sé inerenti, che con la letteratura non hanno a che fare, se non perché essa rivela le magagne e gli inciuci e gli sporchi segreti dello stato: a questo punto però lo "stato" il "senso" non se lo merita, e la letteratura pertiene affatto - e per fortuna - alla sua lingua (biforcuta). Ma significativo è il ricorso a una frase quale "senso dello Stato", che evoca contesti di nobile servizio alla comunità e - per converso - bolla i non aderenti, i dissenzienti, i disubbidienti (anche solo a parole, perché è di parole che parliamo e da esse veniamo parlati) come potenziali o attuali nemici. Dello Stato.
Tu guarda le coincidenze! Esce (uscì: 1999) un libro che tratta del controllo sociale, e come te lo intitolano? Proprio Nemici dello Stato: critica "efferrata" all'insieme di tecniche linguistiche - dalla legislazione emergenziale, alla creazione del panico mediatico e conseguenti capri espiatori, fino ad accentuare sempre più la rilevanza etica e dunque privata di responsabilità e colpa - atte a rendere possibile il "controllo molecolare", ovvero l'indebita intrusione del Palazzo in ogni aspetto, per quanto intimo o irrilevante, dell'esistenza. E chi si oppone non solo non è figlio di Maria e non è figlio di Gesù, ma fa come minimo apologia di reato, se non proprio il "gioco del nemico". Dello Stato.
Insomma: "ci vuole un fisico bestiale, per fare l'intellettuale" in un mondo come questo, dov'è sempre più d'attualità il dialoghetto che segue:"Bisogna vedere" disse Alice, "se Lei può dare tanti significati diversi alle parole". "Bisogna vedere" disse Humpty Dumpty, "chi è che comanda". Dove cioè lo scrittore, artigiano delle parole e dei significati, ogni giorno di più si ritrova suo malgrado - lui, potendo, sarebbe col Fanciullino, o tutt'un pastore, un gregge, una zampogna - ad avere a che fare con chi comanda. Come spero mostreranno i seguenti ragionari, incentrati sul rapporto pratico fra controllo e parole.
Supponiamo che qualcuno dica "per prevenire i crimini, mettiamo tutti in galera!". Ho idea che, agorafobici a parte, tale proposta non attirerebbe consensi, perché incongrua: essere colpevole è il contrario dell'essere innocente. Una cosa esclude l'altra. Dunque il trattamento dell'uno dev'essere opposto, rispetto alla pena - che è ciò nei riguardi del quale sono irriducibili - a quello dell'altro: se il reo va in galera, è escluso che l'innocente ci debba andare. Detto altrimenti: la prevenzione dev'essere diversa dalla pena. Se no, è pena. E comminare una pena a un innocente è un'ingiustizia - peggio, una contraddizione.
Ebbene: ogni tanto si ha notizia d'un ennesimo luogo pubblico che viene soggetto a videosorveglianza, per motivi di sicurezza. E di solito si zittiscono le proteste contestando che, chi non ha nulla da nascondere, nulla deve temere. Ma sono i delinquenti che si tengono sotto controllo. Io non sono un delinquente, quindi non mi si deve controllare come lui. Se lo si fa, significa che mi si tratta come un colpevole: cioè mi si affibbia una pena. E la pena non è prevenzione: quindi, se la pena implica un controllo totale, la prevenzione dovrà essere altro.
Il principio non è dunque "controllo sempre, tranne eccezioni", bensì: "controllo mai, tranne eccezioni" - così da rendere la società differente da un carcere, dove si applica la prima regola (di quel controllo continuo e aspecifico difatti si parla). E, perché queste eccezioni rimangano eccezionali, bisogna che siano poche (ovvero non statisticamente significative), e abbiano a che vedere con luoghi già per loro natura ristretti (dunque per quest'aspetto simili alle prigioni): luoghi di custodia come banche e musei, luoghi il cui funzionamento richieda e implichi forme di condotta particolari - aeroporti, stazioni, uffici pubblici -, luoghi infine di coazione vera e propria - commissariati, stazioni di polizia. E qui si dà una stranezza: almeno a saper mio, gli zelatori dell'adozione dei mezzi di controllo in qualsiasi numero, genere e caso ne caldeggiano la diffusione in ogni sito conosciuto, tranne dove operano impiegati dello Stato, in borghese e soprattutto in divisa. E dire che, se violenti, cotesti rischierebbero ben poco: qualche tempo fa per la strada due carabinieri hanno picchiato un extracomunitario - esiste una ripresa video dell'atto. Ma i telegiornali si sono affrettati a mandare in onda dichiarazioni raccolte "tra la gggente", per farci sapere com'essa era tutt'una con quello che nell'italiano funzionariale vien detto "l'operato delle forze dell'ordine" - mio nonno l'avrebbe chiamato diversamente, ma come non mi sovviene.
Ultimo: il controllo generalizzato implica che si sia tutti colpevoli, in atto o in potenza. Implicatura che porta il principio ad autodistruggersi: difatti, se tutti sono colpevoli, allora lo è anche il magistrato che giudica. Dunque il reo e lui sarebbero identici: e allora cosa pretende il giudice dal colpevole? Che eviti quel che nemmeno lui può evitare? E peggio: se tutti sono colpevoli, significa che la colpevolezza non si può evitare. E allora, perché preoccuparsi tanto di evitarla? Sarebbe come voler evitare di respirare. Tant'è: tutti colpevoli, nessun colpevole - "la solita entropia borghese". (Pasolini)
Essì! Perché l'essenza del Potere è quella di negarsi alle regole che impone: il sovrano è "legibus solutus", il fascista adora la vendetta a meno che non ne sia soggetto (allorché invoca le leggi e i decreti che ha svuotato), il membro del Partito Interno può spegnere lo schermo televisiovo che occupa la parete alle sue spalle. E lo Scrittore di Stato è invitato dalla Lingua di Stato a essere scrittore di denuncia - finché la denuncia è relativa ai colleghi, e raggiunge la scrivania delVyinskij di turno.
Ma la contraddizione, non è sintomo di malattia del linguaggio? E motivo di arresto del sistema?
Solo nei computer, temo.
_________________________________________________________________________
1) Luther Blissett Project, Nemici dello Stato, DeriveApprodi, Roma 1999;
2) in Babilonia n.196, p. 24;
3) si dice dei malfermi sulle gambe, dei càduchi per incapacità o vizio, in specie riguardo animali da soma.
Occupandosi di parole (e sensi), il mestiere dello scrittore ha dunque un'imposta funzione sociale - oltre a quella di recuperare sciroccati, tossici e devianti, come avviene nei mondi arcaici, dove il pazzo lo fanno sciamano perché non si butta niente. Funzione che Aldo Busi, quel diavolo d'uomo, descrive così: "ogni opera letteraria pertiene innanzitutto alla lingua di Stato, e o accumula o erode senso dello Stato" - (2) che forse si erode da solo, se lo stato in questione è cipollàro, (3) e dunque non dà fiducia al cittadino. Lo sfaldarsi avverrebbe quindi per motivi a sé inerenti, che con la letteratura non hanno a che fare, se non perché essa rivela le magagne e gli inciuci e gli sporchi segreti dello stato: a questo punto però lo "stato" il "senso" non se lo merita, e la letteratura pertiene affatto - e per fortuna - alla sua lingua (biforcuta). Ma significativo è il ricorso a una frase quale "senso dello Stato", che evoca contesti di nobile servizio alla comunità e - per converso - bolla i non aderenti, i dissenzienti, i disubbidienti (anche solo a parole, perché è di parole che parliamo e da esse veniamo parlati) come potenziali o attuali nemici. Dello Stato.
Tu guarda le coincidenze! Esce (uscì: 1999) un libro che tratta del controllo sociale, e come te lo intitolano? Proprio Nemici dello Stato: critica "efferrata" all'insieme di tecniche linguistiche - dalla legislazione emergenziale, alla creazione del panico mediatico e conseguenti capri espiatori, fino ad accentuare sempre più la rilevanza etica e dunque privata di responsabilità e colpa - atte a rendere possibile il "controllo molecolare", ovvero l'indebita intrusione del Palazzo in ogni aspetto, per quanto intimo o irrilevante, dell'esistenza. E chi si oppone non solo non è figlio di Maria e non è figlio di Gesù, ma fa come minimo apologia di reato, se non proprio il "gioco del nemico". Dello Stato.
Insomma: "ci vuole un fisico bestiale, per fare l'intellettuale" in un mondo come questo, dov'è sempre più d'attualità il dialoghetto che segue:"Bisogna vedere" disse Alice, "se Lei può dare tanti significati diversi alle parole". "Bisogna vedere" disse Humpty Dumpty, "chi è che comanda". Dove cioè lo scrittore, artigiano delle parole e dei significati, ogni giorno di più si ritrova suo malgrado - lui, potendo, sarebbe col Fanciullino, o tutt'un pastore, un gregge, una zampogna - ad avere a che fare con chi comanda. Come spero mostreranno i seguenti ragionari, incentrati sul rapporto pratico fra controllo e parole.
Supponiamo che qualcuno dica "per prevenire i crimini, mettiamo tutti in galera!". Ho idea che, agorafobici a parte, tale proposta non attirerebbe consensi, perché incongrua: essere colpevole è il contrario dell'essere innocente. Una cosa esclude l'altra. Dunque il trattamento dell'uno dev'essere opposto, rispetto alla pena - che è ciò nei riguardi del quale sono irriducibili - a quello dell'altro: se il reo va in galera, è escluso che l'innocente ci debba andare. Detto altrimenti: la prevenzione dev'essere diversa dalla pena. Se no, è pena. E comminare una pena a un innocente è un'ingiustizia - peggio, una contraddizione.
Ebbene: ogni tanto si ha notizia d'un ennesimo luogo pubblico che viene soggetto a videosorveglianza, per motivi di sicurezza. E di solito si zittiscono le proteste contestando che, chi non ha nulla da nascondere, nulla deve temere. Ma sono i delinquenti che si tengono sotto controllo. Io non sono un delinquente, quindi non mi si deve controllare come lui. Se lo si fa, significa che mi si tratta come un colpevole: cioè mi si affibbia una pena. E la pena non è prevenzione: quindi, se la pena implica un controllo totale, la prevenzione dovrà essere altro.
Il principio non è dunque "controllo sempre, tranne eccezioni", bensì: "controllo mai, tranne eccezioni" - così da rendere la società differente da un carcere, dove si applica la prima regola (di quel controllo continuo e aspecifico difatti si parla). E, perché queste eccezioni rimangano eccezionali, bisogna che siano poche (ovvero non statisticamente significative), e abbiano a che vedere con luoghi già per loro natura ristretti (dunque per quest'aspetto simili alle prigioni): luoghi di custodia come banche e musei, luoghi il cui funzionamento richieda e implichi forme di condotta particolari - aeroporti, stazioni, uffici pubblici -, luoghi infine di coazione vera e propria - commissariati, stazioni di polizia. E qui si dà una stranezza: almeno a saper mio, gli zelatori dell'adozione dei mezzi di controllo in qualsiasi numero, genere e caso ne caldeggiano la diffusione in ogni sito conosciuto, tranne dove operano impiegati dello Stato, in borghese e soprattutto in divisa. E dire che, se violenti, cotesti rischierebbero ben poco: qualche tempo fa per la strada due carabinieri hanno picchiato un extracomunitario - esiste una ripresa video dell'atto. Ma i telegiornali si sono affrettati a mandare in onda dichiarazioni raccolte "tra la gggente", per farci sapere com'essa era tutt'una con quello che nell'italiano funzionariale vien detto "l'operato delle forze dell'ordine" - mio nonno l'avrebbe chiamato diversamente, ma come non mi sovviene.
Ultimo: il controllo generalizzato implica che si sia tutti colpevoli, in atto o in potenza. Implicatura che porta il principio ad autodistruggersi: difatti, se tutti sono colpevoli, allora lo è anche il magistrato che giudica. Dunque il reo e lui sarebbero identici: e allora cosa pretende il giudice dal colpevole? Che eviti quel che nemmeno lui può evitare? E peggio: se tutti sono colpevoli, significa che la colpevolezza non si può evitare. E allora, perché preoccuparsi tanto di evitarla? Sarebbe come voler evitare di respirare. Tant'è: tutti colpevoli, nessun colpevole - "la solita entropia borghese". (Pasolini)
Essì! Perché l'essenza del Potere è quella di negarsi alle regole che impone: il sovrano è "legibus solutus", il fascista adora la vendetta a meno che non ne sia soggetto (allorché invoca le leggi e i decreti che ha svuotato), il membro del Partito Interno può spegnere lo schermo televisiovo che occupa la parete alle sue spalle. E lo Scrittore di Stato è invitato dalla Lingua di Stato a essere scrittore di denuncia - finché la denuncia è relativa ai colleghi, e raggiunge la scrivania delVyinskij di turno.
Ma la contraddizione, non è sintomo di malattia del linguaggio? E motivo di arresto del sistema?
Solo nei computer, temo.
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1) Luther Blissett Project, Nemici dello Stato, DeriveApprodi, Roma 1999;
2) in Babilonia n.196, p. 24;
3) si dice dei malfermi sulle gambe, dei càduchi per incapacità o vizio, in specie riguardo animali da soma.
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