ATTUALITA'
Marco Lanzòl
Topi pittori, tipi lettori
Libri per l'infanzia, o libri per bambini? E i bambini (lettori) di adesso, quanti anni hanno? Un'indagine su (quasi) tutti i tipi di tipi di "topoi", compiuta su due (non) pìcciol libri.
Goethe da cìnno sognava su Omero, oggi destinato nella sua interezza a venir letto all'età di discrezione. Non so dove ho appreso 'sta cosa, che forse non è nemmeno vera - essendo relativa a un diverso grand'uomo, intendo. Però è vero che ogni tanto gli uomini scoprono (o inventano) una nuova condizione umana. Nell'ultimo mezzo millennio, è venuta alla ribalta l'infanzia. Non che i bambini non esistessero già prima: erano lì, belli e pronti - ma solo per diventare adulti. E divenivano tali intorno ai sette anni (1) - come ancor oggi accade nella gran parte di mondo legata alla tradizione o alla miseria.
Cioè: anche nell'Egitto romanizzato d'un paio di mila anni fa c'era spazio per i capricci, come testimonia la lettera del ragazzino Theon al padre Theonás: "Hai fatto proprio una bella cosa a non avermi portato con te in città. Se non vuoi portarmi con te ad Alessandria, non ti scriverò più alcuna lettera e non ti parlerò più e neanche più ti auguro di star bene. (...) Mi hai mandato dei regali, gran cosa, dei bruscolini! Ci hanno proprio preso in giro, quel giorno (...) quando ti imbarcasti per mare". (2) Sorridiamo noi, come dove' sorridere il papà dell'impipirizzìto Theon, alla letteraccia che ci giunge dalla profondità del tempo, nemmeno l'avessero affidata alle poste italiane: e però credo di poter affermare che, laddove Theonás scorgeva un carattere "dei bambini", noi scorgiamo una caratteristica "dell'infanzia". Ad una moltitudine di individui accumunati da qualità specifiche ma non identitarie, s'è sostituito un tipo generico al quale i singoli bambini trovano "naturale" adattarsi o si sforzano di realizzare, e gli adulti si sorprendono o trattano come eccezionale se non ritrovano nel bambino reale. Per chiarire il concetto, non voglio ricorrere ad un marxismo da un bajocco tra cacio e foglia: tuttavia rimarco che, se un tempo uno voleva una sedia, andava da un artigiano che gliela modellava in maniera anche estrosa, fermo restando che la sedia si cercava per sedercisi, e differiva da un tavolo perciò. Attualmente si va da Ikea o similari, ti dànno la sedia e tu ci adatti le chiappe.
Questa distinzione può perdere d'importanza sui grandi numeri, se la si considera un inconveniente di ogni generalizzazione, e d'ogni opera nell'epoca della sua riproducibilità: nel mentre invece avviene il confronto proprio con "quel" testo (o con "quel" bambino), essa riprende a contare. Non è lo stesso, infatti, se il libro cerca il bambino Lettore, o se lo presume: (3) se l'Autore, adulto tranne eccezioni, si sveste dei suoi panni, e lì finisce, o ne riveste il bambino.
Alla fioca luce di queste considerazioni, passerei a discutere due bei libretti rilassati malgrado la copertina rigida - e sono editi per giunta da una Casa Editrice che ha il coraggio d'intitolarsi Topipittori. Il primo, Filastrocca acqua e sapone per bambini coi piedi sporchi, (4) ha un impianto grafico più classico del successivo di cui referterò, e si situa appena oltre la linea tra "infanzia" e "bambino", sebbene tratti un argomento, la pulizia, che è uno dei fondamentali luoghi comuni che costruiscono la puerizia all'occhio dell'adulto: il suo monumento, lo Scugnizzo-Gavroche, il gamin sudamericano, il bambino di strada il cui esser sudicio è categoria magistralmente reinventata dal "Pig-pen" di Schultz, si può dire sia il Compendio della Kindheit. Il piede, poi, agisce da segno moltiplicatore e della sporcizia (essendo a contatto col suolo, è la parte del corpo di più facile lordura), e del bambino medesimo: "Edipo" vuol dir "Piedoni", e, assieme ai genitali, non v'è parte del corpo infantile che i genitori investano più di coccole e d'attenzioni, esattamente come fanno con la creatura nella sua interezza. E vorrei, senza pretese di scienza, ricordare che nell'acuto film Piso pisello, i bambini protagonisti sono appunto sovranominati come da titolo, ma vengono identificati visivamente da segni grafici blu e gialli, grandi e piccoli, che iconizzano i piedi. (5)
Ci sarebbero dunque evidenze per attribuire il testo della coppia Zoboli & Celija alla comunicazione rivolta al Tipo-bambino (e non al bimbo quale persona) come si dà in una rivista che del giovanilismo melenso usa e abusa anche parlando di zélla. (6) Ma la finezza delle illustrazioni - i personaggi raffigurati hanno lineamenti per i quali oserei richiamare il nome di Donghi, posture dai ritmi manieristici -, e, nei testi, la nessuna concessione all'ammicco o all'esibita dimestichezza, (7) introducono appoggi per una comunicazione più personale, ed intima nel senso più gioioso del termine.
Elementi, questi, che il secondo libriccino, Di notte sulla strada di casa, evidenzia e potenzia. (8) E chiedo subito scusa al Lettore, per la mia partigianeria: questo raccontino tratta d'un bimbo che si sveglia, in macchina, quando la mamma lo sta riportando a casa da una visita parenti, una festa di compleanno d'un' amica/o protrattasi sino a tardi, o un caso umano del genere. Una situazione che per me, che chiedevo, quattrenne, d'essere portato a vedere "com'era la notte", e più volte trovatosi in circostanze simili e deliziose, agisce da poderosa "maddalena": e il giudizio se n'inficia.
Il ragazzino si sveglia, dicevo: e, dinanzi allo spettacolo meraviglioso del "luogo d'ogni luce muto", che trasforma il reale nel reale magico, infila una serie di domande, stimolate da quel che compare al di là del finestrino. Che è un panorama urbano, periferico, slabbrato: ma suggestivo, e al quale il piccolo protagonista - che non si vede in volto - dedica un'attenzione che non è mai "tipica". Le domande non sono "le domande di un bambino": si avverte con forza la presenza d'una speciale personalità, di quello che negli adulti si chiamerebbe "stile". Non ci si abbassa, dunque, alla soglia oltre la quale un personaggio diviene emblema: e si rimane nella fascia in cui i quesiti del bimbo hanno una struttura che li rende non "universali" ma passibili d'una "messa a comune", requisito principe della comunicazione - un diverso bambino ne avrebbe forse chiesti altri, ma non avrebbe trovato estranei questi. Tali due caratteristiche, individualità e condivisione, si fondono allora nella condivisione attraverso l'individualità, nel riconoscimento di tratti in comune - ma non di tutti! - fra chi interpreta nella storia (il bambino dell'auto) e chi interpreta la storia (il bambino che legge). A questo càpita stare sul sedile posteriore a fianco del protagonista, non a confondersi con lui - termine narcisistico di ogni rapporto -: il principe della favola diceva al suo primo ministro "contraddicimi, così saremo in due!"
Il processo che avviene tramite il testo è dunque analogo a quello che avviene nella realtà: e il piccolo Lettore, nell'attimo in cui si specchia nella storia, da quella si distanzia. Difatti, nell'ultima pagina s'inquadrano le gambe del bambino, sulle quali spicca una copertina. Più sopra, biancheggia una domanda: "Quando arriviamo, mi leggi una storia?" Inutile dire che l'immagine che si vede è quella della copertina del libro: l'interprete bambino viene invitato a penetrare nell'universo narrativo, e ad adattarvisi. E assieme, a figurare la storia come elemento della storia stessa - come storia infine - e perciò a distanziarsene. Operazione pronominale, detto per inciso, che il bimbo autistico non può eseguire: il terapeuta gli chiede "chi sei tu?", e lui indica il medico - siccome "tu" è l'altro da sé, colui al quale ci si riferisce con quella parola. E alla simmetrica domanda "chi sono io?", il malatino punta il dito su di sé, giacché "io" è il suono che lo indica.
E va bene: siffatta lettura del testo può, lo riconosco, risultare forzata - il gioco degli Autori ha interpretazioni più "economiche" e dunque più probabili della mia. Niente di male: resta però che, consapevolmente o meno, tali volumi s'intuiscono creati dalla volontà dei "grandi" di realizzare una narrativa della quale sia centro quel che pertiene ai bambini, e non il bambinesco. E dunque di guardare il cucciolo d'uomo per quel che è, e non per ciò che dovrebbe essere. Lodevole intento. Lodevole, sempre.
1)cfr. Michel Foucault, Storia della follìa nell'età classica, Rizzoli, Milano 1984(2), p. 179;
2)in AA.VV. Scritture bambine, Laterza, Bari 1995, p. 49;
3)uso questo termine nel senso più banale, escludendo perciò tutto quel che può riguardare la diatriba sul Lettore Modello da Eco ai giorni nostri;
4)di Giovanna Zoboli e Maria Celija, Topipittori, Milano 2004;
5)Italia, 1981. Regia di Peter del Monte. Con Luca Porro, Fabio Peraboni, Alessandro Haber, Piero Mazzarella, Valeria D'Obici;
6)vedi l'articolo E' ufficiale: vi tocca (sott. "lavarvi") di Amelia Beltramini, in Focus Junior n. 33, pp. 74-8;
7)chi non ha presente con fastidio quegli adulti che, parlando ai ragazzi sani, usano lemmi giovani/lesi quali "fico", "sclerava da paura", "ci sto dentro", "bella secco!", o, se diarea artenopea, "pariàmm' a pazz'!"?;
8)di Giovanna Zoboli e Guido Scarabottolo, Topipittori, Milano s.i.d.
Goethe da cìnno sognava su Omero, oggi destinato nella sua interezza a venir letto all'età di discrezione. Non so dove ho appreso 'sta cosa, che forse non è nemmeno vera - essendo relativa a un diverso grand'uomo, intendo. Però è vero che ogni tanto gli uomini scoprono (o inventano) una nuova condizione umana. Nell'ultimo mezzo millennio, è venuta alla ribalta l'infanzia. Non che i bambini non esistessero già prima: erano lì, belli e pronti - ma solo per diventare adulti. E divenivano tali intorno ai sette anni (1) - come ancor oggi accade nella gran parte di mondo legata alla tradizione o alla miseria.
Cioè: anche nell'Egitto romanizzato d'un paio di mila anni fa c'era spazio per i capricci, come testimonia la lettera del ragazzino Theon al padre Theonás: "Hai fatto proprio una bella cosa a non avermi portato con te in città. Se non vuoi portarmi con te ad Alessandria, non ti scriverò più alcuna lettera e non ti parlerò più e neanche più ti auguro di star bene. (...) Mi hai mandato dei regali, gran cosa, dei bruscolini! Ci hanno proprio preso in giro, quel giorno (...) quando ti imbarcasti per mare". (2) Sorridiamo noi, come dove' sorridere il papà dell'impipirizzìto Theon, alla letteraccia che ci giunge dalla profondità del tempo, nemmeno l'avessero affidata alle poste italiane: e però credo di poter affermare che, laddove Theonás scorgeva un carattere "dei bambini", noi scorgiamo una caratteristica "dell'infanzia". Ad una moltitudine di individui accumunati da qualità specifiche ma non identitarie, s'è sostituito un tipo generico al quale i singoli bambini trovano "naturale" adattarsi o si sforzano di realizzare, e gli adulti si sorprendono o trattano come eccezionale se non ritrovano nel bambino reale. Per chiarire il concetto, non voglio ricorrere ad un marxismo da un bajocco tra cacio e foglia: tuttavia rimarco che, se un tempo uno voleva una sedia, andava da un artigiano che gliela modellava in maniera anche estrosa, fermo restando che la sedia si cercava per sedercisi, e differiva da un tavolo perciò. Attualmente si va da Ikea o similari, ti dànno la sedia e tu ci adatti le chiappe.
Questa distinzione può perdere d'importanza sui grandi numeri, se la si considera un inconveniente di ogni generalizzazione, e d'ogni opera nell'epoca della sua riproducibilità: nel mentre invece avviene il confronto proprio con "quel" testo (o con "quel" bambino), essa riprende a contare. Non è lo stesso, infatti, se il libro cerca il bambino Lettore, o se lo presume: (3) se l'Autore, adulto tranne eccezioni, si sveste dei suoi panni, e lì finisce, o ne riveste il bambino.
Alla fioca luce di queste considerazioni, passerei a discutere due bei libretti rilassati malgrado la copertina rigida - e sono editi per giunta da una Casa Editrice che ha il coraggio d'intitolarsi Topipittori. Il primo, Filastrocca acqua e sapone per bambini coi piedi sporchi, (4) ha un impianto grafico più classico del successivo di cui referterò, e si situa appena oltre la linea tra "infanzia" e "bambino", sebbene tratti un argomento, la pulizia, che è uno dei fondamentali luoghi comuni che costruiscono la puerizia all'occhio dell'adulto: il suo monumento, lo Scugnizzo-Gavroche, il gamin sudamericano, il bambino di strada il cui esser sudicio è categoria magistralmente reinventata dal "Pig-pen" di Schultz, si può dire sia il Compendio della Kindheit. Il piede, poi, agisce da segno moltiplicatore e della sporcizia (essendo a contatto col suolo, è la parte del corpo di più facile lordura), e del bambino medesimo: "Edipo" vuol dir "Piedoni", e, assieme ai genitali, non v'è parte del corpo infantile che i genitori investano più di coccole e d'attenzioni, esattamente come fanno con la creatura nella sua interezza. E vorrei, senza pretese di scienza, ricordare che nell'acuto film Piso pisello, i bambini protagonisti sono appunto sovranominati come da titolo, ma vengono identificati visivamente da segni grafici blu e gialli, grandi e piccoli, che iconizzano i piedi. (5)
Ci sarebbero dunque evidenze per attribuire il testo della coppia Zoboli & Celija alla comunicazione rivolta al Tipo-bambino (e non al bimbo quale persona) come si dà in una rivista che del giovanilismo melenso usa e abusa anche parlando di zélla. (6) Ma la finezza delle illustrazioni - i personaggi raffigurati hanno lineamenti per i quali oserei richiamare il nome di Donghi, posture dai ritmi manieristici -, e, nei testi, la nessuna concessione all'ammicco o all'esibita dimestichezza, (7) introducono appoggi per una comunicazione più personale, ed intima nel senso più gioioso del termine.
Elementi, questi, che il secondo libriccino, Di notte sulla strada di casa, evidenzia e potenzia. (8) E chiedo subito scusa al Lettore, per la mia partigianeria: questo raccontino tratta d'un bimbo che si sveglia, in macchina, quando la mamma lo sta riportando a casa da una visita parenti, una festa di compleanno d'un' amica/o protrattasi sino a tardi, o un caso umano del genere. Una situazione che per me, che chiedevo, quattrenne, d'essere portato a vedere "com'era la notte", e più volte trovatosi in circostanze simili e deliziose, agisce da poderosa "maddalena": e il giudizio se n'inficia.
Il ragazzino si sveglia, dicevo: e, dinanzi allo spettacolo meraviglioso del "luogo d'ogni luce muto", che trasforma il reale nel reale magico, infila una serie di domande, stimolate da quel che compare al di là del finestrino. Che è un panorama urbano, periferico, slabbrato: ma suggestivo, e al quale il piccolo protagonista - che non si vede in volto - dedica un'attenzione che non è mai "tipica". Le domande non sono "le domande di un bambino": si avverte con forza la presenza d'una speciale personalità, di quello che negli adulti si chiamerebbe "stile". Non ci si abbassa, dunque, alla soglia oltre la quale un personaggio diviene emblema: e si rimane nella fascia in cui i quesiti del bimbo hanno una struttura che li rende non "universali" ma passibili d'una "messa a comune", requisito principe della comunicazione - un diverso bambino ne avrebbe forse chiesti altri, ma non avrebbe trovato estranei questi. Tali due caratteristiche, individualità e condivisione, si fondono allora nella condivisione attraverso l'individualità, nel riconoscimento di tratti in comune - ma non di tutti! - fra chi interpreta nella storia (il bambino dell'auto) e chi interpreta la storia (il bambino che legge). A questo càpita stare sul sedile posteriore a fianco del protagonista, non a confondersi con lui - termine narcisistico di ogni rapporto -: il principe della favola diceva al suo primo ministro "contraddicimi, così saremo in due!"
Il processo che avviene tramite il testo è dunque analogo a quello che avviene nella realtà: e il piccolo Lettore, nell'attimo in cui si specchia nella storia, da quella si distanzia. Difatti, nell'ultima pagina s'inquadrano le gambe del bambino, sulle quali spicca una copertina. Più sopra, biancheggia una domanda: "Quando arriviamo, mi leggi una storia?" Inutile dire che l'immagine che si vede è quella della copertina del libro: l'interprete bambino viene invitato a penetrare nell'universo narrativo, e ad adattarvisi. E assieme, a figurare la storia come elemento della storia stessa - come storia infine - e perciò a distanziarsene. Operazione pronominale, detto per inciso, che il bimbo autistico non può eseguire: il terapeuta gli chiede "chi sei tu?", e lui indica il medico - siccome "tu" è l'altro da sé, colui al quale ci si riferisce con quella parola. E alla simmetrica domanda "chi sono io?", il malatino punta il dito su di sé, giacché "io" è il suono che lo indica.
E va bene: siffatta lettura del testo può, lo riconosco, risultare forzata - il gioco degli Autori ha interpretazioni più "economiche" e dunque più probabili della mia. Niente di male: resta però che, consapevolmente o meno, tali volumi s'intuiscono creati dalla volontà dei "grandi" di realizzare una narrativa della quale sia centro quel che pertiene ai bambini, e non il bambinesco. E dunque di guardare il cucciolo d'uomo per quel che è, e non per ciò che dovrebbe essere. Lodevole intento. Lodevole, sempre.
1)cfr. Michel Foucault, Storia della follìa nell'età classica, Rizzoli, Milano 1984(2), p. 179;
2)in AA.VV. Scritture bambine, Laterza, Bari 1995, p. 49;
3)uso questo termine nel senso più banale, escludendo perciò tutto quel che può riguardare la diatriba sul Lettore Modello da Eco ai giorni nostri;
4)di Giovanna Zoboli e Maria Celija, Topipittori, Milano 2004;
5)Italia, 1981. Regia di Peter del Monte. Con Luca Porro, Fabio Peraboni, Alessandro Haber, Piero Mazzarella, Valeria D'Obici;
6)vedi l'articolo E' ufficiale: vi tocca (sott. "lavarvi") di Amelia Beltramini, in Focus Junior n. 33, pp. 74-8;
7)chi non ha presente con fastidio quegli adulti che, parlando ai ragazzi sani, usano lemmi giovani/lesi quali "fico", "sclerava da paura", "ci sto dentro", "bella secco!", o, se diarea artenopea, "pariàmm' a pazz'!"?;
8)di Giovanna Zoboli e Guido Scarabottolo, Topipittori, Milano s.i.d.
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