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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Marco Lanzòl

UN' ISTANZA TUTTA PER SE'. Piccole considerazioni sull'ultimo libro-panflè della Ballestra (1)

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Un Paul Julius Moebius scrisse (inizio '900, se non erro) un libretto nominato L'inferiorità mentale della donna (ora per i tipi di Castelvecchi in Roma). Il titolo è tutt'un programma: e il testo s'allinea ad esso, e alla lunga serie di scritti misogini nei quali si dettaglierebbe l'idea della sostanziale cretineria del genere femminile. Scemenza che Otto Weininger, in Sesso e carattere (Ed. Mediterranee), così esplicava: (...)il maschio pensa per concetti, invece i processi mentali della donna sarebbero dominati dalle "ènidi" - essendo questi degli schemi sensoriali derivati dagli impulsi originati dai plèssi nervosi della vagina. Detto diverso, l'uomo penserebbe con la càpa (tanta), la donna con la fregna (dàlla). E persino un testo deliziosamente matematico come Flatlandia (Adelphi) di Abbott rappresenta un mondo bidimensionale ove gli esseri maschili sono figure piane (triangoli, quadrati, pentagoni, e via), e quelli femminili delle semplici linee, o dei triangoli isoscele dalla base strettissima - figure entrambe la cui unica qualità è d'essere puntute e acuminate. Dunque, nell'Anello forte (Einaudi) di Nuto Revelli, una delle più anziane tra le piemontesi che narravano, donne, la propria storia, ricordava che alla nascita d'un maschietto, il padre andava a festeggiare con gli amici all'osteria; se invece la moglie faceva femmina, e' si chiudeva in casa. E se sortendo qualcuno, putacaso incontrandolo, gli diceva "t'è nata una bambina, eh?", rispondeva "che fai, sfotti?" - per non ricordare il classico "cazzo e cazzotti" dei bar Sport.

Ho citato i primi esempi che mi sono venuti alla mente: ma per garantire il sostanziale disprezzo che l'uomo nutriva (e in parte nutre) per la donna, si potrebbero affastellare titoli a migliaia, spaziando per contenuto e forma in ogni piega della letterarietà. Però, ad un certo punto il gentil sesso s'è comprensibilmente rotto le ovaie d'essere gentile, cornuto e mazziato. Dopodiché, e almeno per un secolo, in Europa soprattutto - e in generale ovunque - s'è dato da fare. I risultati si vedono. O no?

A stare a Silvia Ballestra, mica tanto. Sì: l'uomo citrullo ha finalmente alzato gli occhi dalla contemplazione (e dalla misura) del manico della panza, e s'è dovuto render ragione del semplice fatto che se uno è cretino, ciò dipende da quel che ha tra le orecchie, e non dal panorama tra le gambe. Tuttavia, restano ferme delle sostanziali differenze tra i sessi: quello debole è sfavorito sul lavoro, (p. 90) nell'esercizio del potere - la bocciatura delle "quote rosa" lo testimonia -, nella vita quotidiana (p. 79) - dove lui, anche se magari è pieno di buona volontà, al massimo lava i piatti, e lei, pure se travaglia, deve occuparsi dell'organizzazione della casa, dei figli, financo delle cose spicciole come pagare le bollette. Per non menzionare il lato che, pur se sotto gli occhi di tutti, rimane buio: la violenza esercitata sulle donne, da quella oscena dello stupro, all'estrema dell'assassinio e della mutilazione, alla comune, pubblica, delle botte, alla cialtrona dei galletti e pappagalli e tronisti e intronati vari. E del peggio n'è teste l'Autrice: "ogni giorno si massacra una donna, e se ne parla. Ma del fatto che ogni giorno si massacrano le donne non parla nessuno". (p. 45)

Ho reso questo passaggio perché, come un "clic" spitzeriano, chiarisce la dinamica del libro, e risponde a chi obietta che queste son cose risapute: certo, ma la questione è proprio che non "fanno massa", sono alberi che impediscono di vedere la foresta. Manca l'"ubi consistam". E una ragione c'è: perché ci si sconvolgesse sui bambini violentati, fu necessario attendere che coagulasse una figura, "il Pedofilo", che personificasse il Male Fatto Ai Bambini, rendendolo non solo visibile, ma pensabile - che lo rendesse un problema con una fisionomia solidamente intagliata, ben riconoscibile, una parola parlabile nel discorso sociale, una storia raccontabile. Non sto dicendo che la storia sia vera, la parola sensata, la fisionomia precisa - anzi sono convinto del contrario: né asserisco che concentrarsi sull'aspetto erotico dell'abuso non abbia posto in ombra, o declassato nel pubblico interesse, violenze d'altro genere e ben più diffuse. Affermo però che la vita è un palcoscenico, e perché vi recitasse il Bambino Maltrattato bisognava che ci fosse "il Pedofilo" a fare da spalla. Non esiste fabula senza antagonisti dell'Eroe - di che narrerebbe, uomini, la vostra storia? - e senza di loro non si va in scena. Ma scrive Lei: "sulle botte alle donne nessuno parla di giro di vite, di tolleranza zero, di inflessibilità". (p. 49) E ti credo: "la prima causa di morte e invalidità delle donne, nel mondo (...), è la mano di partner, fratelli e padri violenti". (p. 51) La scrittrice non fa il marchiano errore delle femministe all'arrabbiata come la Dworkin, e non sostiene che, essendoci uomini violenti, allora gli uomini sono in blocco violenti: è che quelli che lo sono e la loro identità - usando le parole di Lea Melandri, la "maschera di virilità", (p. 50) - sono dominanti. Se "il Pedofilo" è l'Altro Assoluto - nella disumanizzazione che se ne fa: carnefice, "predatore per natura", cannibale - mettere in discussione loro ed essa significa discutere l'impalcatura del patriarcato. E allora zitti. E la donna "o accetta o soccombe". (p. 53)

Corollario dell' accettazione è l'immiserirsi dello spazio civile (poco e incerto), che donne e uomini seri avevano conquistato: la legge sulla procreazione assistita (discussa tra le altre alle pp. 29-41) mostra la retromarcia della comunità Italia su temi che subito riguardano il corpo femminile, ma più indirettamente il riproporsi dell'indigesto pastone clericofascista, misto di "neocon, teocon, (e) soprattutto, si direbbe alla francese, con" (p. 36) - di quelli, insomma, del no-e-basta. (p. 31) E mostra anche (p. 33) la debolezza di chi dovrebbe lottare per affermare dei diritti, e invece su troppe cause deve sorvolare e a troppe ragioni deve rinunciare, per paura di giocarsi il risicatissimo consenso elettorale (ivi). Alla luce della sconfitta dello schieramento progressivo nel referendum, considera la Balestra con uno dei colpi d'ala di cui è ricco il suo aureo libretto: "che sia di monito, che tagliare le ali estreme alle idee non le fa volare!" (ibidem).

La sensibilità della polemista avverte questa debolezza pubblica. E tale senso riverbera sul privato, nel capitolo "casa per casa": la Nostra ha già passato in rassegna le donne come vittime, e il mutato paesaggio politico, in cui ogni rivendicazione e "idea di rivolta" (Paolo Pietrangeli) nasce morta. Qui invece rileva come il genio femminile non sia puro e immacolato: l'italiana difatti bene o male si rifa sull'extracomunitaria, con un meccanismo che, se non ha la violenza dell' abito maschile, ne conserva la natura oppressiva: "se prima si dragavano le materie prime, (...) adesso si saccheggiano le risorse emotive, cioè amore e forme di accudimento. (...) Chi mai risarcirà i bambini filippini, peruviani, cingalesi rimasti senza mamme (...)?)". (p. 78) La colf pilipìna, la baby-sitter del Sur, la badante ucraina, l'infermiera keniota, sono tutte mamme, figlie, sorelle che per necessità accettano di riversare il loro alto potenziale affettivo su chi può pagarle (e tale amore "à loisir" mi ricorda qualcosa - ma che?). E le paganti - le nostre madri, figlie, sorelle, spose - ne profittano. Inoltre, una legge (la Bossi-Fini, vedi p. 71 e segg.) che dovrebbe offrire "regole per l'immigrazione", dà "regole per agevolare lo sfruttamento degli immigrati". (p. 76) Qui siamo e qui saltiamo, e ce lo avvertiva la scuola di Barbiana: "Se si prende da sola la mamma di Pierino non è una belva. E' soltanto poco generosa: ha chiuso gli occhi sui figlioli degli altri. (...) Le 31 mamme dei compagni di Pierino o non hanno tempo come lei o non sanno. Hanno lavori che per viverci bisogna lavorare da piccini a vecchi, dall'alba alla notte. (...) In conclusione la mamma di Pierino non è né belva né innocente. Ma sommando migliaia di piccoli egoismi come il suo si fa l'egoismo grande di una classe che vuol per sé la parte del leone". (2)

Siamo dunque al termine: con mano felice e rigorosa insoddisfazione la Ballestra, in poche e succose pagine, ha evocato problemi grandi e di gran fama. E senza, va detto a suo onore, pigliare spunto da temi facili e acclamati - prostituzione, schiavitù e turismo sessuale (vedi p. 77) - sui quali almeno in teoria siamo tutti d'accordo. Dimostrando che esiste la possibilità d'un pensiero forte, che però esuli dalle coordinate intellettuali prevalenti - e d'un pensiero sessuato e non esclusivo. Di più, non si pretende. Di più, non si sa.



1) Silvia Ballestra, Contro le donne nei secoli dei secoli, il Saggiatore, Milano 2006;

2) Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1985, p. 74.





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