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ATTUALITA'

Giangiacomo Gandolfi

Valis e la 'dissociazione' nelle opere di Philip K.Dick. (Prima parte)

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Viene spontaneo distinguere due periodi nella produzione letteraria di Dick: il primo va dagli inizi degli anni '50 (a cui risalgono le opere giovanili) fino al 1970, anno della crisi con la droga. Il secondo va dal '72 all'82, anno in cui lo scrittore muore d'infarto.

Cosa giustifica una tale suddivisione? La risposta è semplice: l'atteggiamento con cui Dick si offre al lettore.

Nella prima fase è uno scrittore di fantascienza che segue le convenzioni del genere e produce ad un ritmo forsennato, con alcune inevitabili cadute di stile. Egli maschera le sue personalissime ossessioni filtrandole attraverso l'invenzione fantastica, ma offrendo comunque lavori memorabili, tra cui bisogna ricordare L'occhio nel cielo, Le tre stigmate di Palmer Eldrich, La svastica sul sole, Cacciatore di androidi, Ubik.

Poi tra il '70 e il '71, abbiamo una pausa creativa che segna profondamente Dick. In questo anno fatidico egli ha problemi con la polizia federale, tenta il suicidio e viene ricoverato in una clinica psichiatrica, esperienza che emergerà in quasi ogni scritto della seconda fase. Da questo momento in poi lo scrittore tende verso il romanzo realistico (in senso lato, vista la immutata peculiarità delle sue strutture topologiche) e si espone molto di più in prima persona, narrando direttamente le fasi più drammatiche della sua vita e meditando apertamente sulla propria instabilità psichica.

L'apice di questo percorso narrativo è la Trilogia di Valis (ma si dovrebbe parlare di una quadrilogia, comprendendo il lavoro postumo Radio libera Albemuth). Essa si compone di tre romanzi Valis, Divina invasione e La trasmigrazione di Timothy Archer, che hanno in comune un sincretismo religioso realmente onnivoro, in grado di far convivere dottrina cristiana, gnosticismo, buddhismo e ufologia.

Il problema centrale di questa fase diviene dunque apertamente teologico e culmina nella vicenda del vescovo Archer, che è modellata su quella del reverendo James Pike (un notissimo ecclesiastico della Chiesa Episcopale vicino a Dick nel periodo della crisi con la droga), ma riflette in realtà il travaglio interno dell'autore stesso.

I temi della follia, dell'universo malato e dell'ambiguità di percezione rimangono comunque costanti e profondamente radicati in ogni aspetto ed ogni periodo della narrativa dickiana.

Di più: il mondo in cui si muovono i miseri, impotenti, umanissimi personaggi di Philip Dick non è certo solido e simmetrico, neanche a prima vista. E' un mondo che si può ben definire precario: tende continuamente a disgregarsi, a mostrare una realtà sottostante folle ed instabile, che 'incurva' le vicende come una massa distorce lo spazio nella relatività generale.

Questo è un elemento costante, più o meno mascherato, che è completamente assente solo in una manciata di opere giovanili: Vulcano 3, Redenzione immorale e poche altre. Ad ogni modo, se non è presente una mutazione o distorsione che attira irresistibilmente i personaggi a livello di tessuto spazio-temporale, la rottura di sistema avviene comunque a livello percettivo, spesso indotta da volontarie falsificazioni nell'ambito dei rapporti sociali (La penultima verità).

Ne La trilogia di Valis si può esplicitamente parlare di 'romanzi dell'anamnesi', cioè centrati sul disperato tentativo di ricordare la realtà 'vera', fondamentale, quella con cui abbiamo perso contatto in qualche punto della nostra evoluzione, forse per motivi religiosi. Il dramma dell'uomo che ne va alla ricerca, per dare un senso a un esistenza frantumata, è doppio: da un lato egli non può fare a meno di bramare quella realtà, di cercare di ricostruirla, di abbandonarsi a essa con esiti immancabilmente distruttivi, dall'altro è perseguitato dal dubbio, dall'invincibile razionalità (che tutto sommato alla fine risulta un valore positivo) e dalla lacerante consapevolezza che si tratta certamente di un'illusione soggettiva, di una sterile allucinazione. Paradosso, questo, splendidamente simboleggiato nell'ultimo romanzo di Dick dalla figura del vescovo Timothy Archer, che trova una morte solitaria ed enigmatica nel deserto del mar Morto inseguendo il fungo Anokhi, presunto strumento di assoluta comunione con Dio.

Un'altra simmetria a livello globale è la frattura schizofrenica dell' 'io' narrante che caratterizza parecchi romanzi dell'ultima fase dickiana. In almeno due casi (Scrutare nel buio e Valis) si può affermare con una certa sicurezza che non si tratta di un puro artificio letterario, ma di un'anomalia percettiva in grado di alterare in modo pesante le strutture del reale, che probabilmente corrisponde ad una patologia cerebrale dell'autore stesso. In Valis, in particolare, si hanno due 'binari' interpretativi, quello del narratore Dick e quello del suo alter ego Horselover Fat, che si ricongiungono e si ridividono nel corso del romanzo, con numerosi elementi inconciliabili e contraddittori su cui ritorneremo inseguito.



Chiazze di caos.

Il caos è una proprietà intrinseca dei sistemi complessi e quindi della realtà, oppure deriva dalla nostra incapacità di misurarli, dalla nostra inadeguatezza a rappresentarli formalmente?

Per Dick non esiste una risposta certa, ma il risultato è lo stesso: la struttura del suo mondo narrativo è profondamente aleatoria (basti ricordare che il romanzo La svastica sul sole, ad esempio, è stato composto in larga parte affidandosi ai metodi dell'I Ching che sono notoriamente basati sull'alea) e oscilla tra un pan determinismo e totale insensatezza. Le connessioni causali diventano vaghe, incerte, fluttuanti, l'universo esterno un cumulo di dati contraddittori.

Per questo motivo i personaggi dickiani razionalizzano continuamente, in modo disperato, cercano di dare un ordine a ciò che è informe con tenacia tragica quanto ammirevole. Spesso il risultato è una paralisi decisionale, oppure un'azione del tutto imprevista ed imprevedibile: in ogni caso il lettore viene inghiottito da gorghi logici frustranti e sballottato insieme ai protagonisti da eventi che non hanno nessuna forma di periodicità, di regolarità.

Anche in questo caso Timothy Archer assurge ad umanissimo e umanistico simbolo di individuo che si ribella al 'fato', all'Ananke, ed è inevitabilmente destinato alla sconfitta nel suo tentativo di dare un senso religioso all'universo che lo circonda.

L'atteggiamento di Dick nei confronti del caos è dunque sostanzialmente ambiguo: la sua personalità raziocinante (riconoscibile ad esempio nella figura di Angel Archer) lo accetta passivamente, come un'invincibile, fredda forza di natura e si rifugia nel calore dei rapporti umani (quando ci riesce), il suo alter-ego irrazionale, invece, si ostina a dargli un senso, ad interpretarlo, trovando spesso la morte o la follia alla fine del percorso. L'angoscia dickiana nasce proprio da questo onnipresente meccanismo dialettico e quindi il caos non è altro che l'innegabile forza motrice di ogni intreccio dello scrittore.

Eventi e figure dell'universo dickiano assumono spesso la connotazione di 'forme informi', di strutture instabili, simboli del caos che è inerente alla realtà stessa. Basti pensare al Palmer Eldritch del notissimo romanzo, ubiquo, imprevedibile signore di un male che è oscuramente minaccioso quanto indefinibile e soggettivo, oppure, e qui il gioco è scoperto, purissimo; al cangiante 'alterabito' di Fred-Robert Arctor in Scrutare nel buio.

... colui che indossava un alter abito era un signor Ognuno in ogni sorta di combinazioni (fino a combinazioni di un milione e mezzo di sottounità) nel giro di un'ora. Ne conseguiva che qualunque descrizione dell'uomo o della donna che lo rivestiva era assolutamente senza senso.



(fine prima parte)





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