RECENSIONI
Azadeh Moaveni
Lipstick jihad
Pisani, Pag. 358 Euro 15,00
Brilliant! O: Witty! Ecco i sintetici "claims"(quelli che non si negano a nessuno, nemmeno a un dizionario dall'urdu in ciociaro) per un libro, da decantare in quarta di copertina dell'edizione paperbàcca - e quelli veri, della stampa nuiorchése, bostoniana, losangeleña non vanno più lontano (come senso, se non come numero di parole). Citando in apertura i crediti ricevuti dal testo nell'edizione USA, infatti, si qualifica l'Autrice come sensibile e acuta, divertente e precisa, ironica e vivida nel suo resoconto dell'Iran giovane, sfacciato, trasgressivo, voglioso non d'Occidente ma di ciò che dalle nostre parti abbiamo imparato a fare da duecento e passa anni, e ancora difendiamo: l'autonomia dei singoli e dello Stato dai preti, dai prepotenti e dai padroni (da quelli che oggimai bramìscono del primato della "civiltà occidentale", e ne sono la più evidente negazione). Materia la quale - ironia della sorte - noi e i nostri giovani stiamo perdendo, declinando nell'involuzione mercantil-fascista. Però, il romanzo-saggio-autobiografia-polemica della Moaveni merita - oltre ai complimenti sclerotici meccanografici d'oltreoceano - una parola più profonda. Perché?
Perché attraverso le pagine chiuse da questa giovane donna (è del '76) non incerta ma prima refrattaria dopodiché ondivaga fra due appartenenze (statunitaria e iranica), s'indovinano molte (e diverse dalle citate) ragioni d'interesse. E pluribus, unam: configurare gli USA non come il paese dei balocchi, bensì come una nazione portatrice d'un politica estera. La quale, data l'ampiezza globale dell'area d'influenza, e la forza concentrata in essa, non potevae non può darsi se non come politica imperiale. Ciò ch'era palese, a chi sappia un poco di storia, dalla guerra che al Messico di Santa Ana nel 1838 costò un terzo del territorio nazionale, e che fu l'embrione della politica aggressiva e coattiva norte-americana nei confronti dell'America Latina. Una politica tanto vessatoria come quella dell'URSS verso i paesi "fratelli" (cfr. Nicaragua '24 e Guatemala '53 con Ungheria '56 e Cecoslovacchia primaverile) - anzi, forse peggiore, siccome fatta più a lungo e "con la scusa della libertà". (1)
O anche perché l'immagine dell'Iran che avevo io ragazzina era quella di Khomeini che scendeva dall'aereo, accolto dalla folla plaudente. Quindi lo shah non c'era più, e la giovanetta me era felice per gli iraniani. Finiva una dittatura, e si rimettevano le cose a posto, no? Invece non era così. Ma c'avrebbe pensato la guerra con l'Iraq: lo stato che veniva presentato come il più occidentalista dei paesi mediorientali, guidato dal dinamico Saddam, il nostro amico a Baghdad, garante della stabilità nella regione. (2) E anche qui, il tempo s'incaricherà di modificare quest'immagine, anzi di cancellarla.
Ovvero perché, come in Cambogia, anche in Iran (3) la cupida ingerenza (anglo)americana ha portato a un radicalizzarsi dell' umore popolare, preparando il terreno allo scatenamento proprio di quei (t)errori e orrori non solo biasimati, ma posti come casus del successivo intervento variamente (dis)umanitario.
Come si vede, nel libro della Moaveni s'incontra la storia, proprio quella grossa grossa: il che ci far riflettere non solo sui casi loro, ma soprattutto sui casi nostri. A maggiore ragione, inoltre, quando tali pensieri capitano essere "di stringente attualità", come si dice: è di questi giorni (4) il contenzioso occidental-persiano sullo sviluppo dell'energia atomica, siccome il nucleare iraniano potrebbe destabilizzare la regione, mentre i contingenti militari euronitensi che stringono quel paese dall'Afghanistan e dall'Iraq contribuiscono a riequilibrarla. E semmai coteste idee passassero per "antiamericane" (bollate per tali innanzitutto da quelli che gli americani bombardavano per liberarcene, e che oggi vantano come "liberatori"), così l'Autrice le serve: "la verità è che molti giovani iraniani, fin dall'infanzia, hanno seguito una dieta ufficiale a base di propaganda antiamericana e, malgrado questa, hanno continuato a nutrire simpatie per gli Stati Uniti, finché non hanno avuto valide ragioni per pensarla diversamente. Oggi vedono sempre meno motivi per concedere agli Stati Uniti il beneficio del dubbio". (p. 13) Scolio: la migliore propaganda antiamericana sono i missili USA. Così come è imbarazzante scoprire (p. 325) che gli imam e gli es(p)ortatori di democrazia parlano la stessa lingua, utilizzano la medesima retorica - il "Grande Satana"dei primi vale l'"Alleanza del Male" dei secondi.
Tale passaggio dalla Storia alle storie, che spesso capita a chi ha cognizione di causa del reale perché l'ha vissuto o contattato da vicino, serve peraltro all'Autrice per sciogliere delle semplificazioni stereotipe. Prima fra tutte, il velo: non è certo ben visto dalla Moaveni, né tampoco le ben più serie limitazioni legali che lo accompagnano, ma ciò non le impedisce di notare che una parte delle donne - le "borghesi tradizionaliste" - ha avuto dalla "protezione" imposta dal velo l'occasione per uscire di casa, per studiare, addirittura per lavorare. (p. 266) Il che aiuta a comprendere meglio - e dunque a intervenire, se si deve, con meno effetti collaterali - in ambienti che non sono semplici né da un punto di vista umano né simbolico. (5)
Ma, preso atto d'éste priorìe, d'un libro che si presenta (e si loda) anche per la sua abilità di manovra stilistica e narrativa, cosa si può notare? Che, scrivendo d'un reale e d'un'esperienza, non di necessità si raggiungono i vertici del sublime: le cime sono a disposizione di chi ibrida un cospicuo talento con una materia forte, e a tale chimera aggiunge una parcella d'ironia al proprio gioco - e mistura tale composto alla scelta dell'attimo opportuno, in cui "parlare d'alberi è un reato" (Brecht) e d'alberi non si parla, bensì di ciò di cui si deve.
Eppure, tali ingredienti nel testo dell'Autrice vigono vieppiù. Come mai il capolavoro manca? Forse, perché non c'è la volontà di risolvere ogni fatto in stile - di compiere il tragitto fino al malessere pirandelliano, ove tutta la vita si sclerotizza in forma. Ecco: il capolavoro si dà, quando si dà, nel momento in cui fra maniera e dizione si distingue solo se si vuole.
O no? O è una coincidenza - ma bisogna meritarsela? (Un indovino mi disse)
O forse ciò accade quando, nel tradurre, il melone (p. 92) non diviene "cantalupo" (pp. 24 e 64), e un tema non diventa un "saggio". (p.55)
1) mi riferisco al saggio omonimo di William Blum, edito da Marco Tropea, Milano 2002;
2) "Dopo il crollo dello scià, nel gennaio del 1979, l'Irak, con un esercito forte di oltre 220 mila uomini e le riserve petrolifere più abbondanti del mondo dopo quelle saudite (...) apparve come l'unico Paese in grado di garantire la stabilità politica nell'area del golfo, la sicurezza delle rotte del petrolio e dei regimi conservatori della regione. Bagdad non si lasciò sfuggire l'occasione. I rapporti con Mosca (cui la lega un trattato di amiciiza stipulato nel 1972) cominciarono a raffreddarsi, mentre si intensificavano i contatti segreti con gli emissari di Amman e Riad; ai primi Saddam accordò un prestito annuo di un miliardo e 200 milioni di dollari; con l'Arabia Saudita firmò un patto di mutua assistenza in materia di polizia. (....) Allo scopo di ridurre la dipendenza del suo Paese dall'Urss nel campo degli aiuti militari, Saddam Hussein diede un notevole impulso alle relazioni commerciali con l'Occidente, in particolare con l'Europa (...). "L'alleanza tra la potenza militare irachena e il greggio saudita" ha commentato un ambasciatore europeo ad Amman "permetterà alla potenza economica dei paesi arabi produttori di petrolio di trovare la sua espansione pacifica".
"Ma il vero obbiettivo di Reagan è (...) il recupero dell'Irak, destinato a diventare dopo l'Iran il nuovo stato gendarme del Medio Oriente. La scelta dell'Irak si spiega col fatto che "è lo Stato più forte della regione dal punto economico e militare e anche delle risorse umane" come ha spiegato Daniel Pipes, un esperto di problemi medio-orientali molto vicino a Reagan". Citazioni rispettivamente da: Giovanni Porzio, Fratelli per una stagione, e Massimo Conti, La Casa Bianca punta sul re, entrambi in Panorama del quindici dicembre 1980, pp. 123-4;
3)vedi qui p. 27, e, per la Cambogia, Carol Livigston, Gecko tail, Phoenix, London 2000(2), spec. pp. 28-33;
4) vedi tg del marzo 2007. In Moaveni pp. 13-4;
5) Ho idea che il velo "protegga" anche quegli esseri umani, come me, di non particolare venustà, dal continuo stress di vivere in una società che premia oltre ogni ragionevole grado l'aspetto, e che dunque fa di tutto per ricordare ai brutti (in particolare, se donne) quanto sono merde. E' il principio della "chat" telematica, e delle "sim-cities".
di Vera Barilla
Perché attraverso le pagine chiuse da questa giovane donna (è del '76) non incerta ma prima refrattaria dopodiché ondivaga fra due appartenenze (statunitaria e iranica), s'indovinano molte (e diverse dalle citate) ragioni d'interesse. E pluribus, unam: configurare gli USA non come il paese dei balocchi, bensì come una nazione portatrice d'un politica estera. La quale, data l'ampiezza globale dell'area d'influenza, e la forza concentrata in essa, non potevae non può darsi se non come politica imperiale. Ciò ch'era palese, a chi sappia un poco di storia, dalla guerra che al Messico di Santa Ana nel 1838 costò un terzo del territorio nazionale, e che fu l'embrione della politica aggressiva e coattiva norte-americana nei confronti dell'America Latina. Una politica tanto vessatoria come quella dell'URSS verso i paesi "fratelli" (cfr. Nicaragua '24 e Guatemala '53 con Ungheria '56 e Cecoslovacchia primaverile) - anzi, forse peggiore, siccome fatta più a lungo e "con la scusa della libertà". (1)
O anche perché l'immagine dell'Iran che avevo io ragazzina era quella di Khomeini che scendeva dall'aereo, accolto dalla folla plaudente. Quindi lo shah non c'era più, e la giovanetta me era felice per gli iraniani. Finiva una dittatura, e si rimettevano le cose a posto, no? Invece non era così. Ma c'avrebbe pensato la guerra con l'Iraq: lo stato che veniva presentato come il più occidentalista dei paesi mediorientali, guidato dal dinamico Saddam, il nostro amico a Baghdad, garante della stabilità nella regione. (2) E anche qui, il tempo s'incaricherà di modificare quest'immagine, anzi di cancellarla.
Ovvero perché, come in Cambogia, anche in Iran (3) la cupida ingerenza (anglo)americana ha portato a un radicalizzarsi dell' umore popolare, preparando il terreno allo scatenamento proprio di quei (t)errori e orrori non solo biasimati, ma posti come casus del successivo intervento variamente (dis)umanitario.
Come si vede, nel libro della Moaveni s'incontra la storia, proprio quella grossa grossa: il che ci far riflettere non solo sui casi loro, ma soprattutto sui casi nostri. A maggiore ragione, inoltre, quando tali pensieri capitano essere "di stringente attualità", come si dice: è di questi giorni (4) il contenzioso occidental-persiano sullo sviluppo dell'energia atomica, siccome il nucleare iraniano potrebbe destabilizzare la regione, mentre i contingenti militari euronitensi che stringono quel paese dall'Afghanistan e dall'Iraq contribuiscono a riequilibrarla. E semmai coteste idee passassero per "antiamericane" (bollate per tali innanzitutto da quelli che gli americani bombardavano per liberarcene, e che oggi vantano come "liberatori"), così l'Autrice le serve: "la verità è che molti giovani iraniani, fin dall'infanzia, hanno seguito una dieta ufficiale a base di propaganda antiamericana e, malgrado questa, hanno continuato a nutrire simpatie per gli Stati Uniti, finché non hanno avuto valide ragioni per pensarla diversamente. Oggi vedono sempre meno motivi per concedere agli Stati Uniti il beneficio del dubbio". (p. 13) Scolio: la migliore propaganda antiamericana sono i missili USA. Così come è imbarazzante scoprire (p. 325) che gli imam e gli es(p)ortatori di democrazia parlano la stessa lingua, utilizzano la medesima retorica - il "Grande Satana"dei primi vale l'"Alleanza del Male" dei secondi.
Tale passaggio dalla Storia alle storie, che spesso capita a chi ha cognizione di causa del reale perché l'ha vissuto o contattato da vicino, serve peraltro all'Autrice per sciogliere delle semplificazioni stereotipe. Prima fra tutte, il velo: non è certo ben visto dalla Moaveni, né tampoco le ben più serie limitazioni legali che lo accompagnano, ma ciò non le impedisce di notare che una parte delle donne - le "borghesi tradizionaliste" - ha avuto dalla "protezione" imposta dal velo l'occasione per uscire di casa, per studiare, addirittura per lavorare. (p. 266) Il che aiuta a comprendere meglio - e dunque a intervenire, se si deve, con meno effetti collaterali - in ambienti che non sono semplici né da un punto di vista umano né simbolico. (5)
Ma, preso atto d'éste priorìe, d'un libro che si presenta (e si loda) anche per la sua abilità di manovra stilistica e narrativa, cosa si può notare? Che, scrivendo d'un reale e d'un'esperienza, non di necessità si raggiungono i vertici del sublime: le cime sono a disposizione di chi ibrida un cospicuo talento con una materia forte, e a tale chimera aggiunge una parcella d'ironia al proprio gioco - e mistura tale composto alla scelta dell'attimo opportuno, in cui "parlare d'alberi è un reato" (Brecht) e d'alberi non si parla, bensì di ciò di cui si deve.
Eppure, tali ingredienti nel testo dell'Autrice vigono vieppiù. Come mai il capolavoro manca? Forse, perché non c'è la volontà di risolvere ogni fatto in stile - di compiere il tragitto fino al malessere pirandelliano, ove tutta la vita si sclerotizza in forma. Ecco: il capolavoro si dà, quando si dà, nel momento in cui fra maniera e dizione si distingue solo se si vuole.
O no? O è una coincidenza - ma bisogna meritarsela? (Un indovino mi disse)
O forse ciò accade quando, nel tradurre, il melone (p. 92) non diviene "cantalupo" (pp. 24 e 64), e un tema non diventa un "saggio". (p.55)
1) mi riferisco al saggio omonimo di William Blum, edito da Marco Tropea, Milano 2002;
2) "Dopo il crollo dello scià, nel gennaio del 1979, l'Irak, con un esercito forte di oltre 220 mila uomini e le riserve petrolifere più abbondanti del mondo dopo quelle saudite (...) apparve come l'unico Paese in grado di garantire la stabilità politica nell'area del golfo, la sicurezza delle rotte del petrolio e dei regimi conservatori della regione. Bagdad non si lasciò sfuggire l'occasione. I rapporti con Mosca (cui la lega un trattato di amiciiza stipulato nel 1972) cominciarono a raffreddarsi, mentre si intensificavano i contatti segreti con gli emissari di Amman e Riad; ai primi Saddam accordò un prestito annuo di un miliardo e 200 milioni di dollari; con l'Arabia Saudita firmò un patto di mutua assistenza in materia di polizia. (....) Allo scopo di ridurre la dipendenza del suo Paese dall'Urss nel campo degli aiuti militari, Saddam Hussein diede un notevole impulso alle relazioni commerciali con l'Occidente, in particolare con l'Europa (...). "L'alleanza tra la potenza militare irachena e il greggio saudita" ha commentato un ambasciatore europeo ad Amman "permetterà alla potenza economica dei paesi arabi produttori di petrolio di trovare la sua espansione pacifica".
"Ma il vero obbiettivo di Reagan è (...) il recupero dell'Irak, destinato a diventare dopo l'Iran il nuovo stato gendarme del Medio Oriente. La scelta dell'Irak si spiega col fatto che "è lo Stato più forte della regione dal punto economico e militare e anche delle risorse umane" come ha spiegato Daniel Pipes, un esperto di problemi medio-orientali molto vicino a Reagan". Citazioni rispettivamente da: Giovanni Porzio, Fratelli per una stagione, e Massimo Conti, La Casa Bianca punta sul re, entrambi in Panorama del quindici dicembre 1980, pp. 123-4;
3)vedi qui p. 27, e, per la Cambogia, Carol Livigston, Gecko tail, Phoenix, London 2000(2), spec. pp. 28-33;
4) vedi tg del marzo 2007. In Moaveni pp. 13-4;
5) Ho idea che il velo "protegga" anche quegli esseri umani, come me, di non particolare venustà, dal continuo stress di vivere in una società che premia oltre ogni ragionevole grado l'aspetto, e che dunque fa di tutto per ricordare ai brutti (in particolare, se donne) quanto sono merde. E' il principio della "chat" telematica, e delle "sim-cities".
di Vera Barilla
Dello stesso autore
Azadeh Moaveni
Viaggio di nozze a Teheran
Newton Compton, Pag. 332 Euro 14,90Notizia del giorno (o meglio del momento): i ragazzi iraniani arrestati lo scorso giugno durante le proteste seguite alle elezioni truccate e vinte da Ahmadinejad (l'attuale dittatore premier), pare siano stati stuprati in carcere (maschi e femmine ovviamente). Della serie, evviva l'Islam omofobo e ipocrita peggio del peggiore cattolicesimo medievale. Ho come l'impressione che una notizia del genere dovrebbe far riflettere i tanti 'folgorati', pure italiani, sulla via di questa pseudo religione che qualche sinistrato deluso da Marx ha iniziato a caldeggiare in contrapposizione al bigottismo ariano-ratzingeriano.
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