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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

Analisi di un capolavoro e quattro suggerimenti su 'eroine' letterarie: é scabroso le donne studiar?

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Non sono un appassionato di operette, ma la strofa iniziale dell'aria tratta da La vedova allegra di Franz Lehar cade a cecio. Ho letto recentemente un articolo su Il venerdi di Repubblica (numero 1071, 26 settembre 2008) a proposito dell'uscita di una biografia dedicata a Coco Chanel (Coco Chanel. Profumo di mistero – Castelvecchi). Pare che la famosa stilista francese, nel '44, fosse stata incaricata dai tedeschi di intercedere presso Winston Churchill per avviare negoziati in vista di un progetto di pace separata. Insomma una sorta di Mata Hari, profumata di numero 5, che giocava a fare oltre che la fatalona anche la spia (André Malraux affermò che Coco Chanel sconvolse la storia della moda e del gusto quanto Picasso la storia dell'arte). Fa bene l'estensore dell'articolo, Marco Cicala, a suggerire ironicamente che quel tentativo di intercessione non decollò mai e che assomiglia molto ad un romanzo di Ken Follett o a un'operetta (tanto perché siamo in tema) da gaia apocalisse.

Il caso ha voluto che sempre recentemente, per quella sorta di convinzione morale che ti spinge a leggere un libro che ritieni 'fondante' più di una volta, abbia incontrato profili di donne decisamente diversi e meno ingombranti. La Gilda del Mac Mahon di Giovanni Testori (acquistate l'ultima edizione Oscar Mondadori con quelle splendide copertine in bianco e nero e che presenta, nello specifico, l'introduzione che fu di Enzo Siciliano per l'edizione Rizzoli del 1975) contiene, a mio avviso, tre tra i personaggi femminili più emozionanti e suggestivi della nostra letteratura del dopo guerra. Gilda appunto, che da il titolo al primo racconto, appena accennatamene neorealista, che con la sua assoluta 'necessità' fisiologica del maschio esalta la sua modernità, ma che nello stesso tempo non rappresenta certo una pietra tombale del movimento femminista di là da venire; L'Enrica de Appena fuori Luino 'disegnata' senza alcun connotato moralista nel suo disamore per il marito e la passione per il cognato contrabbandiere e che di per sé si eleva a statura enorme e consolatoria, niente affatto ridicola; Giovanna di Aspetta e spera, figura fragile ed irrisolta che crollerà di fronte alla 'perversione' parentale, ai lacci emostatici della famiglia che le bloccheranno ogni tentativo di libera circolazione degli affetti e delle aspirazioni.

Si diceva prima che è stato il caso ad 'organizzare' questi incontri: è immodestia descrittiva che nasconde in realtà un fiuto dovuto anche alla consuetudine di frequentare, permettetemi di usare una frase abusata, ma capitemi sul vero senso da darle, i salotti buoni della narrativa.

Allora chiamerei fatalità invece l'incontro con un personaggio letterario di assoluta grandezza, che merita di stare accanto alle grande eroine del passato e del presente e che è, nello specifico, una sorta di diario storico: Elisenda Vilabrù.

Lei è la protagonista principale di quello che non stento per un attimo a definire uno dei romanzi più importanti del decennio: Le voci del fiume dello spagnolo Jaume Cabré (1). Se dovessi usare una frase anche piuttosto convenzionale per connotarla, direi che Elisenda è la testimonianza vivida della Spagna del dopoguerra, della Spagna franchista, della Spagna liberata, della Spagna moderna.

Andiamo con ordine.

Le voci del fiume è un romanzo talmente ricco e straordinario che potrebbe essere raccontato da vari punti di vista. Lo si potrebbe fare prendendo spunto dalle vicende del maestro Oriol Fontelles che è creduto un controrivoluzionario, e per questo ripudiato dalla moglie, in realtà collaborazionista dei repubblicani ai tempi della guerra civile spagnola e in seguito ucciso dai maquis. Lo si potrebbe raccontare prendendo spunto dagli accadimenti di cui è protagonista Tina Bros, che dopo sessant'anni dalle vicende narrate scopre, in una vecchia scuola, nascosti dietro una lavagna, i quaderni di Oriol Fontelles che raccontano tutta la verità. E che nello stesso tempo è costretta a combattere una battaglia personale contro il figlio che vuole rinchiudersi in un monastero e contro le gerarchie ecclesiastiche che, a parer suo, le stanno rubando l'affetto più grande che ha (Io non sono intelligente, ho quattro chili di troppo, non ho una grande cultura, ma cerco di non essere crudele come te, dio dei monasteri, che trasformi i figli in pescatori di uomini senza chiedere il parere alle madri. Beh, sei chiletti...pag. 232).

Lo si potrebbe raccontare dal punto di vista di Marcel, figlio di Oriol (il padre, ripudiato dalla moglie che lo credeva traditore, non lo vedrà mai e per una notizia 'sbagliata' fino alla sua morte lo crederà una femminuccia) che in seguito alla morte della madre verrà segretamente adottato da Elisenda (... Erano passati sette mesi da quando Marcel si era sposato il ventiquattro aprile millenovecentosessantuno, come disposto dalla signora Elisenda, ed era stato infedele a Mertxe solo sei volte, ma tutte e sei le volte con donne diverse, quindi non aveva alcuna importanza. Pag. 319).

Le voci del fiume potrebbe essere 'letto' da un punto di vista 'religioso', intendendo con ciò, nonostante si avverta in Cabré una sottile e calibrata anticlericalità, la presenza, nel corso dei decenni, costante, puntuale ma nello stesso tempo astutamente discreta e invasiva dei poteri occulti delle gerarchie ecclesiali e su cui si appoggia la sempre presente Elisenda (L'Opus avrà sempre potere. E' il potere, ne è una parte consustanziale, come la lobby dei re europei o come le industrie petrolifere. Su questo, il fiuto di tua madre è insuperabile. Pag. 469).

Il libro potrebbe essere una sorta di vademecum per uno studio, senza finalmente deviazioni antistoriche (leggi: i tentativi nel nostro paese di ri-scrivere la Resistenza) o improvvise, e inopportune intromissioni 'hollywoodiane' (leggi: il discusso film di Spike Lee sulla tragedia di Sant'Anna di Stazzema), del movimento antifranchista. Quando il partigiano che profana la tomba del sindaco responsabile della morte del figlio, il piccolo Verdureta, dichiara senza mezzi termini che il posto dei fascisti doveva essere sempre sottoterra ci sembra francamente una degna risposta ai rigurgiti razzisti e neo-nazisti di questi tempi

Ma se ho scelto di raccontare lo straordinario romanzo di Cabré dalla parte di Elisenda Vilabrù è perché ritengo, e me ne assumo tutte le responsabilità, che lo stesso autore abbia voluto suggerirlo: la figura di questa donna incrollabile e ferrea, che attraversa i decenni senza scalfitture e anche quando è completamente cieca sembra in qualche modo tenere le redini della famiglia, e quindi della vicenda narrata, ha qualcosa di mitico, da intendere nel significato corretto della parola. Riesce come pochi (e in questi ultimi tempi, forse come nessuno) a raccontare (ecco il concetto di mito) e quindi a rappresentare la Storia di un intero popolo. Lei è la quintessenza del potere (Ha sempre saputo dove bisognava stare e ci stava; e a chi bisognava telefonare e con quale tono di voce. Lo sapeva un anno prima di tutti gli altri mortali), ma attraverso le sue nefandezze e il suo arrivismo intendiamo alla perfezione l'altra parte del mondo, quella parte che non è rappresentata da una figura così invadente, reazionaria e invasiva, ma proprio per questo (e questo sì Cabrè lo suggerisce chiaramente e non ho quindi bisogno di assumermi nessuna responsabilità) preferibile e migliore.

Ribadisco: Le voci del fiume è uno dei romanzi del decennio. Un evento. Vi è mai capitato di finire un libro, chiuderlo e baciare la copertina? Non lasciatevelo sfuggire.





(1) Jaume Cabré – Le voci del fiume – laNuovafrontiera - 2008







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