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Il Paradiso degli Orchi
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Ancora polemiche su Fiume! E poi stop.

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Gentile Sig. Massimiliano Di Mino,

Lei non sa nulla.

La prego, non si inalberi, non era certo mia intenzione sminuire la vastità delle sue letture. Il sapere che le fa difetto, sig. Di Mino, non è di natura quantitativa. Ma, vede, la cultura, quella vera, è uno stato dello spirito, non un contenuto. E nel suo corsivo apparso sul Paradiso degli orchi c'è (forse...) qualche contenuto ma di certo latita lo spirito.

La cultura, sig. Di Mino, è l'apertura al mondo che si basa sulla saldezza della "buona fede". La non cultura - anzi: l'anticultura - è invece l'atteggiamento di Gollum che rivendica il suo "tesssoro", l'avarizia, la concezione proprietaria del sapere. Il mettere recinti ed etichette. La paura del confronto e degli attraversamenti. La malafede che deriva dalla mala-educazione.

La sua disperata difesa di un'onirica Fiume liberaldemocratica ne è un esempio. L'incomprensione fraudolenta di un fenomeno che fu gioioso ma guerriero, libertario ma votato al bello, cosmopolita ma accesamente nazionalista trasuda impietosa da ogni sua riga, Sig. Di Mino. Le simpatie sovietiche di Mario Carli? Suvvia, nulla di meglio di un cantore del "fascismo intransigente" per arruolare gli incendiari di Fiume nella schiera dei "buoni"? L'ammirazione di Lenin? Coerente con l'arcinota stima del rivoluzionario russo per Mussolini, non crede? La "Lega delle nazioni oppresse"? Perché dovrebbe spiacere a chi guarda con interesse a quei movimenti che accesero le speranze di tutti i popoli in lotta, dall'Africa alla Palestina, dall'India al Tibet? La costituzione di D'Annunzio/De Ambris? Ma non sente, sig. Di Mino, quanta bellezza, quanta libertà, quanta aria pura vi si respira? Davvero vogliamo farne un totem grigiamente "anarchico e democratico"?

Ci sono poi gli "Arditi del popolo", è vero. Episodio reale, certo, e la cosa, glielo assicuro, non ci toglie il sonno. Episodio, tuttavia, del tutto sopravvalutato dagli esegeti interessati che, nel divertente sfacelo di ogni riferimento culturale autenticamente antifascista, finiscono per accordargli una portata epocale e definitiva che mai ebbe.

Ma discutere di tutto questo è, in fondo, inutile. Il suo punto di partenza, che poi è lo stesso dei redattori del Venerdì da Lei criticati, è che noialtri ragazzacci si sia sempre ignoranti o ingannati, falsari dello spirito o gonzi della cultura. Nel migliore dei casi ingenui, nel peggiore mentitori. Ed è nell'istante preciso in cui si coagula questa supponente certezza che si consuma la vostra sconfitta.

Vede, sig. Di Mino, mentre Lei si arroga un diritto che non ha – stabilire chi può parlare di cosa – noi ce la ridiamo di gusto, perché mentre nei circoli radical chic si dibatte su cosa "permettere" a CasaPound, CasaPound è già lontana anni luce senza aver chiesto il permesso. Possibile? Possibile.

Si rende conto, sig. Di Mino, di ciò che dice? Lei rimprovera al Venerdì di "permette[re] con disinvoltura che CasaPound si appropri dell'antifascista Gabriele D'annunzio e anche del diciannovismo". Ma Lei crede davvero che qualcuno, non dico a CasaPound ma nell'ambito degli uomini liberi in generale, possa attendere il nullaosta del Venerdì o di Massimiliano Di Mino prima di parlare di qualsiasi cosa? Lei, sig di Mino, non sa nulla. Soprattutto di CasaPound. Non sa nulla e non crede sia necessario saperne nulla: perché farsi un'idea quando basta un pregiudizio? E sorvoliamo sulla bizzarra idea che Gabriele D'Annunzio – il poeta, l'avventuriero, l'eroe di guerra, il legionario, l'aviatore, il seduttore – possa essere un antenato di gente che oggi mette l'asterisco al posto delle desinenze per non rischiare di affermare realmente qualcosa. Prima della competenza storica dovrebbe insorgere la decenza, contro certe derive maldestre dell'intelletto.

Prima dell'erudizione viene l'onestà.

Prima dei vostri permessi viene la nostra libertà.

Cordialmente,



Adriano Scianca. Responsabile culturale di CasaPound Italia





Gentile Adriano Scianca,

le rispondiamo in due: Massimiliano e Pier Paolo Di Mino. (Per un refuso il corsivo precedente è apparso solo a firma di uno). Ci presentiamo: siamo due scrittori che si sono interessati, per un lavoro inedito, alla questione fiumana. Ma di questo parleremo dopo.

È vero che non conosciamo Casa Pound nella sua formazione né nelle sue finalità, ma è altrettanto vero che non nutriamo nessun pregiudizio su alcunché. Non conosciamo direttamente Casa Pound, ma solo attraverso il lungo articolo de Il Venerdì, che è stato da noi criticato a causa della maniera univoca in cui si attribuisce l'impresa fiumana all'area della destra radicale, mancando l'occasione di offrire la possibilità di considerare un'idea o un fatto secondo una diversa sensibilità. Infatti, in questo articolo non si concede nemmeno lo spazio di una menzione che non sia elusiva alla ormai più che nota lettura anarchica e libertaria dei fatti fiumani dovuta, per esempio, ai lavori di Hakim Bej e di Claudia Salaris.

Solo un equivoco (e speriamo non la malafede) può lasciare pensare che da parte nostra ci sia la volontà di impedire a chiunque di pensare ciò che vuole su qualsiasi argomento. Ma proprio perché privi di questa volontà e di qualsiasi intolleranza, ci sentiamo in dovere di sottoporre a vaglia critico e storico qualsiasi idea o fatto, cercando di approssimarci, lì dove è possibile (e sui dei fatti storici, con dei documenti in mano, è possibile), ad alcune certezze. Questo è importante perché chi travalica dei confini intellettuali, come abbiamo fatto noi, studiando un argomento tradizionalmente attribuito a un'area, come Fiume, per riconsiderarlo da un punto di vista totalmente altro, è tanto più obbligato a questo lavoro per non cadere in vaghe fantasie ideologiche

Se nel precedente corsivo qualcuno può aver equivocato sul nostro rispetto nei confronti della libertà di pensiero e di parola, ce ne dispiace, perché non solo crediamo giusto che voi parliate di Fiume, ma anzi ci rende felici che l'argomento sia portato alla ribalta e discusso; ci dispiace, però che, a tutt'oggi, nessuno (a parte la conferenza tenutasi il 17 ottobre 2009, indetta da Patria Socialista, La Fiume nascosta) abbia offerto uno spazio per un dibattito, serio e documentato, libero da pastoie politiche (poniamo qui subito una distinzione fra la politica e l'ideologia), dibattito che potrebbe giovare alla conoscenza di questa bella e ancora oscura pagina della storia italiana.

Data questa premessa, in cui speriamo di avere sciolto il fraintendimento, puntualizzato la questione e aperto degli argomenti, cogliamo l'occasione per completare il nostro pensiero che, come vedrà, cade in un ambito più letterario che meramente politico.

Usiamo questa discriminante perché, altrimenti, il nostro dialogo (che speriamo comunque proficuo ad un dibattito culturale non banale e corrivo), rischierebbe di poggiare su un ulteriore equivoco: dall'articolo de Il Venerdì si può presumere che l'interesse di Casa Pound per Fiume sia di carattere politico; il nostro, invece, è di marca ideologica e spirituale.

Come abbiamo accennato, Fiume è scenario e motore di un nostro romanzo di prossima uscita in cui abbiamo cercato di elaborare una metafora fondamentale: quella della scoperta della più radicale umanità quale, seguendo una suggestione di Haniel Long, può essere data solo scavalcando la storia secolare di sfruttamento dell'uomo sull'uomo; scavalcamento offerto solo in condizione estreme e, massime, rivoluzionarie. È in questi momenti, ci sembra, che si offre all'uomo un'opportunità di ulteriorità spirituale (di piena concessione all'altro) che è improbabile, forse essenzialmente impossibile, far ricadere nell'ambito delle varie concrezioni politiche, nelle diverse forme di Stato, finora succedutesi nella storia; soprattutto se queste hanno carattere totalitario e burocratico: la nostra è una storia di liberazione radicale.

Ci è sembrato che cercando occasioni di tale liberazione radicale nella storia italiana, la quale dalla repubblica mistica di Arnaldo da Brescia fino alla Repubblica Romana del 1849 non è priva di significativi esempi di essa, Fiume fosse fra le ultime e più belle di questi momenti rivoluzionari.

La nostra metafora ci sembra non mal collocata se si legge Fiume, appunto, nella versione di Hakim Bej e di Claudia Salaris (da qui il nostro appello al giornale).

Pensiamo, infatti, con diritto, di non avere collocato male questa metafora proprio per lo spirito anarchico e democratico della Reggenza del Carnaro (qui la passione per il pensiero ha indotto anche lei a cadere in un possibile equivoco, facendola apparire preconcetto quando definisce grigia la democrazia e l'anarchia). E non parliamo solo di anarchia e democrazia, perché, inoltre, collochiamo la nostra storia nella Fiume dannunziana per la particolare religiosità civica che espresse; per quel patriottismo che in sé già contiene la matrice dell'internazionalismo e dell'avversione al nazionalismo (ci si ricordi dell'antimperialismo propugnato da Garibaldi, disposto a combattere contro il proprio paese qualora avesse attentato alla libertà di un altro); per l'antimilitarismo insito nel combattentismo (nel combattere per difendere un diritto o una libertà); per quello spirituale culto del bello che vive naturalmente nell'uomo libero.

Ci sono, inoltre, determinazioni storiche che ci inducono a pensare ancora non collocata male la nostra metafora.

Vorremmo lasciar correre sull'umana avversione che correva tra D'Annunzio e Mussolini, testimoniata in diverse fonti (la più colorita delle quali viene dal poeta Shimoi, corriere tra i due durante la Reggenza: il Comandante chiamava Mussolini "il cafone", il futuro Duce chiamava il poeta "il pazzo"): ricade questa di certo in un ambito di carattere meramente politico.

Quanto a Mario Carli, ci sembrerebbe una stravaganza imperdonabile sottacere la sua adesione piena, libera e audacemente critica al Regime mussoliniano; ma sarebbe meno stravagante che infamante pensare che la sua infatuazione comunista fosse l'insincera macchinazione di una indegna personalità di politicante. Del resto Carli, il 13 luglio 1919, dalle colonne di Roma Futurista, lancerà la proposta di una piattaforma di collaborazione con i partiti cosiddetti d'avanguardia, scrivendo:

se tentassimo di collaborare? Il terreno comune c'è. Ed è quanto di più nobile ed attraente possa offrirsi a degli spiriti sinceramente amanti del progresso e della libertà. E' la lotta contro le attuali classi dirigenti, grette incapaci e disoneste, si chiamino borghesia o plutocrazia o pescecanismo o parlamentarismo [...] Eppure noi siamo libertari quanto gli anarchici, democratici quanto i socialisti, repubblicani quanto i repubblicani più accesi [...] non abbiamo nulla a che fare con i nazionalisti reazionari, codini e clericali.

E, ancora nell'estate del 1920, dopo aver abbandonato ogni incarico nel movimento dei Fasci di combattimento, diventato col congresso di Maggio a Milano, a dire suo e di Marinetti, monarchico e conservatore, si sentirà in dovere di scrivere: Nel tricolore d'Italia c'è anche il rosso e questo rosso, dilatato fino a dominare prepotentemente gli altri due colori dà il vero senso dei limiti e dei fini verso cui deve incanalarsi la nostra azione rivoluzionaria.

Ma, al di là dei casi di D'Annunzio e di Carli, quello che è più importante è che ci sembra di potere testimoniare, attraverso dei documenti storici, la distanza fra il regime fascista e non solo l'esperienza fiumana, ma anche l'arditismo e il diciannovismo.

Traiamo questi documenti (come i precedenti su Carli), per gentile concessione dell'autore, dal lavoro in via di pubblicazione dello storico Valerio Gentili, Roma combattente.

Cominciando da Fiume, non è difficile indovinare i motivi di carattere politico che facevano vivere con angoscia a Mussolini l'impresa del Comandante D'Annunzio: la visibilità rivoluzionaria del poeta era massima. Ma il comportamento non perfettamente galante di Mussolini nell'occasione della sottoscrizione di denaro a sostegno di Fiume, indetta dal suo giornale e inviata a destinazione con tanta reticenza (per citare un fatto troppo noto), non è la parte peggiore che il politico giocò in questa storia. Il carteggio fra Nitti e Badoglio (contenuto in Rivelazioni su Fiume, di Badoglio: si veda in particolare il dispaccio dell'8 ottobre 1919), e la testimonianza dell'allora ministro degli esteri Carlo Sforza, documentano l'opera di Mussolini, come inviato del Governo, volta a scoraggiare l'impresa di Fiume. In particolare, Sforza nel suo L'Italia dal 1914 al 1944, menziona incontri segreti, intercorsi prima della fine del trattato di Rapallo, tra Mussolini ed esponenti del governo Giolitti nei quali, probabilmente in cambio del suo sostegno all'azione del governo, il futuro Duce ottiene quella contropartita politica che garantirà ai Fasci l'entrata in parlamento attraverso l'inserimento nelle liste dei Blocchi nazionali giolittiani in occasione delle elezioni politiche del Maggio 1921.

Vale ancora sentire, sulla condotta di Mussolini nei confronti del fiumanesimo, la voce di Eno Mecheri (scrive dell'estate-autunno del 1920): Il tradimento contro Fiume era dunque stato consumato dal governo, e quello contro Fiume e D'Annunzio da Mussolini e dal fascismo. Ma cosa importava a Mussolini di essere ancora chiamato traditore? Egli sapeva ormai di aver trovato la sua strada e guardava tutti dall'alto. I milioni affioranti nelle casse dei Fasci da parte delle forze agrarie e industriali gli davano la certezza della sua vittoria. Il mercato con Giolitti non poteva dare a lui risultati più concreti. Purtuttavia non desiderava che la gioventù ingenua che lo seguiva sapesse troppe cose, per cui il nome di D'Annunzio doveva essere sempre - anche contro la volontà di questo - un insegna da sfruttare. [...] Due nomi soprattutto desiderava sfruttare per i suoi scopi: quello di D'Annunzio e quello di Corridoni da lui entrambi traditi. Che importava se i seguaci del vivo e del morto, i legionari fiumani e i sindacalisti, erano contro il fascismo? Al nome di questi due dovevano essere ugualmente intitolati gruppi rionali e squadre [...] che serviranno poi ad assaltare la Camera del lavoro corridoniana di Parma e le sedi dei legionari di Fiume.

Ora, tirando in ballo Eno Mecheri, dobbiamo avvicinarci alla questione dell'arditismo e del diciannovismo.

Eno Mecheri, fascista della prima ora, Ardito decorato, volontario di guerra, nel Marzo 1919 partecipa all'adunata di piazza San Sepolcro in rappresentanza di Genova. Fa parte del primo Comitato centrale dei Fasci di combattimento e, dall'Agosto 1919 al Febbraio 1920, riveste la carica di Segretario aggiunto del movimento. Nei mesi dell'impegno politico milanese è anche membro, di un certo rilievo, dell'AAI locale (Associazione Arditi Italiani). Nel Febbraio 1920, in seguito alla presa di posizione contraria della maggioranza del Comitato Centrale fascista allo sciopero dei ferrovieri e dei postelegrafonici, abbandona la carica direttiva e si trasferisce nella Fiume dannunziana rompendo ogni legame politico col fascismo. Nel biennio successivo, divenuto segretario della Federazione Nazionale Legionari Fiumani, si batte indefessamente per far assumere alla nuova associazione un carattere il più possibile ostile al trionfante fascismo mussoliniano. Rimane nella dirigenza della Federazione fino al suo definitivo scioglimento, per ordine del Regime, nel 1926.

Mecheri racconta i destini dei sansepolcristi, in polemica con lo storico Sinibaldo Tino: Se il Tino si fosse dato la briga di ricercare nella stampa d'allora i nominativi dei partecipanti all'adunata di piazza San Sepolcro e al primo congresso dei Fasci tenuto a Firenze nell'Ottobre 1919 si sarebbe subito accorto che pel novanta per cento questi partecipanti non si trovavano più nelle manifestazioni fasciste del 1921 perché ritrattisi per passare all'opposizione di fronte alle degenerazione del movimento.

Insistendo sulla netta cesura tra i Fasci diciannovisti e quelli del 1921, Mecheri, poi, fa un elenco di alcune personalità particolarmente significative del fascismo diciannovista: L'onorevole Guido Podrecca, Enrico Besana, l'avvocato Giacinto Francia: veterani del socialismo italiano; Alceste De Ambris, Agostino Lanzillo, Niccolò Fancello, Ildebrando Cocconi: sindacalisti; l'attuale capo del Partito socialista Pietro Nenni, Mario e Guido Bergamo, Otello Masini: repubblicani; il maestro Toscanini [...] lo storico prof. Carlo Barbagallo e tanti altri della stessa fede e onestà dei primi

(in E. Mecheri, Chi ha tradito? Rivelazioni e documentazioni inedite di un vecchio fascista, Libreria lombarda, 1947, Milano ).

Quello che la testimonianza di Mecheri mette drammaticamente in rilievo è lo stravolgimento di un movimento e la delusione delle speranze di cui esso era vindice. Delusione per una deriva borghese, filo-monarchica, e reazionaria impressa da Mussolini ai fasci di combattimento, che portò decine di sansepolcristi sinceri a confluire negli arditi del popolo, un movimento di massa che, secondo le stime della polizia, solo a Roma contava duemila aderenti). Perché il primo fascismo (non meno del fiumanesimo e dell'arditismo) fu rivoluzionario. Basta prendere in considerazione, a titolo d'esempio, questo proclama dei Fasci di combattimento, che, nel 1919, riassumeva in un preciso programma tutte le riforme alle quali il popolo aveva diritto per il sacrifico di lacrime e di sangue di cinque anni di guerra: la smobilitazione generale; le otto ore di lavoro come legge di stato; i minimi di paga; la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell'industria; l'affidamento alle organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione d'industria e servizi pubblici; obbligo ai proprietari di coltivare le terre, con la sanzione che le terre non coltivate siano date ai contadini; l'istituzione della Nazione armata; una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo che abbia la forma di vera espropriazione parziale di tutte le ricchezze; il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose, e l'abolizione di tutte le mense vescovili che costituiscono una enorme passività per la Nazione e un privilegio di pochi; la revisione di tutti i contratti di fornitura di guerra ed il sequestro dell'85% dei profitti di guerra.

(da un volantino del Fascio Romano di Combattimento in occasione delle elezioni politiche del 16 novembre 1919).

Lo spirito rivoluzionario, però, crolla presto, tanto che Mussolini, in data 6 Novembre 1920, può scrivere Liberatosi [...] da coloro che nel 1914 recitavano le giaculatorie, i rosari, le litanie del cosiddetto sovversivismo e nel 1920, come se nulla fosse cambiato nel mondo, riprendono a biascicare le stesse devozioni [...] ecco il Fascismo in marcia trionfalmente verso la sua affermazione nella vita nazionale (il testo è citato da Mecheri), e, ancora Mussolini: Se gli interessi nazionali rendono necessaria la lotta contro il socialismo, se la modernizzazione, la crescita economica esigono la repressione delle organizzazioni operaie; se occorre sostenere i proprietari terrieri e i produttori per impedire lo sfascio della società in una rivoluzione o in una guerra civile, allora il fascismo si schiererà con la borghesia.

Chiarissime anche le parole di Alceste De Ambris, (citate da De Felice) il sindacalista rivoluzionario autore con D'Annunzio della Carta del Carnaro, esule in Francia durante il Regime: Nel maggio 1921 - a poco più di due anni dalla sua nascita - il fascismo ha già completato l'intero arco della sua trasformazione. Il movimento - all'origine di rinnovamento nazionale, repubblicano, sindacalista, libertario, anticlericale- è ora diventato conservatore, monarchico, parlamentare, con punte che si spingono perfino verso il neoguelfismo sotto il pretesto che occorre servirsi dell'influenza del papato per la politica nazionale italiana.

Non vogliamo appesantire questa nota con ulteriori documenti, e rimandiamo a letture più estese per la consultazione di questi, sperando che queste poche righe possano almeno parzialmente illuminare sui motivi che ci hanno indotto a vedere nell'esperienza fiumana una metafora spiritualmente libertaria e progressista, o meglio ancora ulteriore, e a vivere con fastidio il modo approssimativo con cui questa è stata trattata nell'articolo de La Repubblica: prima di tutto motivi di ordine storico ci permettono di interpretare la Fiume dannunziana, l'arditismo, il diciannovismo come momenti non ascrivibili in maniera univoca alla destra radicale. Non conosciamo il programma politico di Casa Pound, ma sì quello di Mussolini, e nessuna delle esperienza di cui abbiamo qui sopra trattato ci sembra imparentabile con l'orbita del conservatorismo, del totalitarismo, del burocratismo, del militarismo, dell'imperialismo, del clericalismo, del nazionalismo, dell'eversione borghese proprie del regime fascista.

Salutandola cordialmente, vorremmo prima, però, difenderci da quello che ci è sembrato un attacco pregiudiziale al nostro libero statuto di uomini di cultura, sicuramente non di malafede o incoraggiosi verso alcun limite (forse, per quell'estrazione popolare di cui possiamo vantare il godimento, siamo imputabili di qualche maleducata mancanza di bon ton: non ci stanchiamo di scusarcene).

In quanto uomini di cultura, allora, vogliamo subito ammettere di non sapere socraticamente nulla: che il nostro lavoro culturale è un servizio dovuto prima di tutto all'anima. L'anima, non sapendo nulla, vuole sapere, e, quindi, creda bene che nessun pregiudizio può bastarci. Per questo non abbiamo certezze, ma tentiamo piuttosto la via della verifica con il nostro personale lavoro. Per questo teniamo a dirle che, quando lei parla della nostra sconfitta, non esiste nessun nostra e nessun noi, se non quello degli scrittori Massimiliano e Pier Paolo Di Mino.

Infine (ma rimarrebbe insoluto il suo misterioso cenno agli asterischi) vorremmo sciogliere il punto della sua lettera che più, come intellettuali, ci è dispiaciuta.

Data la vostra attestata attività culturale, siamo sicuri che il vostro appello a una cultura che poggi sullo spirito e non sulla quantità delle letture, non debba essere inteso in maniera fuorviante, ma vorremmo comunque, a reciproco vantaggio, rivendicare l'importanza di questa quantità. La lezione di Eraclito, secondo la quale il sapere molte cose è inutile [solo] per chi non ha intelletto, è assai preziosa purché non si traduca in certe visioni spirituali che tendono piuttosto ad accecare l'uomo che a liberarlo. Speriamo, dunque, che solo un malinteso non ci faccia concordare sull'evidenza che lo spirito debba essere piuttosto temprato dal coraggio e dalla fatica della quantità dei libri, dalla tormentosa e costante messa in discussione che problematicamente offrono alle nostre persone e alle nostre opinioni: la bellezza non è gratuita.

Infine, per un approfondimento dell'argomento, rimandiamo alla lettura della bibliografia essenziale citata nel testo, a cui, per una conoscenza diretta delle fonti, è almeno necessario aggiungere la lettura di L'impresa di Fiume di Gerra, La quinta stagione o i centauri di Fiume di Kochnitzky, con D'Annunzio a Fiume di Carli; una testimonianza sul clima spirituale vigente nella città olocausta è leggibile nelle considerazioni negative del vescovo Costantini (in Foglie secche). Per l'operato di opposizione di D'Annunzio a Mussolini si legga anche il commento introduttivo alle Poesie di D'Annunzio, edizioni Garzanti, redatto da Roncoroni (p.LXVIII-LXX).

Per la nostra lettura in chiave spirituale dei fatti rimandiamo, invece, all'uscita del romanzo.

Nel frattempo le auguriamo buone cose.



Massimiliano e Pier Paolo Di Mino











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