ATTUALITA'
Alfredo Ronci
Avant pop alla riscos bandie' ros bandie' ros...
Il 16 giugno del 1968, L'Espresso organizzò un dibattito in previsione dell'uscita su Nuovi Argomenti della famosissima poesia di Pasolini Il PCI ai giovani (lo diciamo ai più innocenti: quella, per intenderci, dove il Pier Paolo, dopo gli scontri a Valle Giulia, prendeva le difese dei poliziotti contro gli studenti). Dibattito a cui presero parte Nello Ajello, Vittorio Foa, Claudio Petruccioli (l'attuale indegno presidente della Rai e allora segretario nazionale della Federazione Giovanile Comunista), lo stesso Pasolini e due studenti del movimento che dopo le prime battute alzarono i tacchi perché la controversia stava prendendo spunti poco rivoluzionari, tanto che uno dei due (chissà magari erano l'inutile Paolo Mieli e il faceto Paolo Liguori, allora, nel '68, ambedue nel massimo splendore contestatorio... ovvio , solo supposizioni scherzose) dichiarò: Il movimento studentesco è, pertanto, dispostissimo ad incontrarsi con Pasolini ma nelle sedi per cui passano il discorso e l'azione politica rivoluzionaria.
Che dramma quegli studenti, non avevano capito che la poesia di Pasolini era una provocazione (nonostante Foa contestasse al regista-poeta di avere una visione immobilista della lotta di classe e del movimento operaio) e che mettesse in luce il divario che davvero c'era, e credo sia sempre rimasto, tra studenti e mondo operaio.
Qualcuno si chiede tutt'ora come mai Pasolini fosse sempre così avanti nelle disamine politico-sociologiche e andasse sul sicuro: forse perché aveva un cane (la battuta non la si può capire se non si conosce una fulminante striscia dei Peanuts di Schulz: Sally: potresti leggere ancora quel pezzo di Mosé che divide il mare? Charlie Browne: E Mosé stese la mano verso il mare, e i figli di Israele entrarono in mezzo al mare su terreno asciutto; Linus: Come pensate che facesse Mosè a sapere che era sicuro attraversare? Snoopy: E' probabile che sia passato per primo il suo cane...).
Probabile invece che avesse bene in mente i meccanismi del potere e le sue capacità, quelle sì, controrivoluzionarie.
Non sappiamo dunque se il '68 siano nato da un equivoco di fondo o da una reale necessità di cambiamento, sappiamo però che nel nostro paese tutto arrivò con un pizzico di ritardo (come sempre), e a volte, in certi settori, nemmeno con la proverbiale lentezza.
Riccardo Bertoncelli e Franco Zanetti con Avant pop '68, sottotitolo: canzoni indimenticabili di un anno che non è mai finito (1), in occasione della pletora di commemorazioni di quegli avvenimenti 'formidabili' (spesso inutili e mal fatte) hanno tentato di dare un senso, in ambito strettamente musicale, al profluvio di note che sommerse il povero ascoltatore, diviso e frastornato tra frammenti di lotta di classe, sfuggenti dissociazioni sessuali (sempre parole di Pasolini) e contestazioni studentesche. Quel che ne esce fuori è emblematico e per nulla edificante.
Ma i ruoli dei due scrittori-informatori sono ben diversi: da una parte Riccardo Bertoncelli (che scrive di musica da quasi quarant'anni, e credo caso più unico che raro nel mondo della critica, non ha mai cambiato opinione su nulla) insiste su quella che è sempre stata la sua 'materia' preferita, ed in una sorta di antologia dei suoi scritti (se volete approfondire la conoscenza di un maestro della recensione andate alla ricerca, anche se credo difficile se non impossibile, dei suoi vecchi saggi per la Arcana editrice) ribadisce quel che di buono e costruttivo il mondo pop internazionale, soprattutto americano, fece in quegli anni, tenendo pure a precisare, nelle note conclusive, che il suo 'lavoro' è al 98% Internet free (e Dio lo maledica e strabenedica nello stesso tempo!).
Dall'altra abbiamo Franco Zanetti che, supportato invece da un robusto contributo della Rete, e in un ambito più sfacciatamente musical-gossip, ci allieta la lettura con balordaggini dell'indigeno cantautorame (che sì s'affacciò agli inizi dei settanta, dopo gli anni della contestazione, ma che deve la sua esistenza anche ad un pre-scrittura musicale, quella soprattutto degli anni sessanta, che, come direbbe la nostra Eleonora del Poggio, meriterebbe una Norimberga per le fregnacce che ci ha fatto ascoltare) e che in qualche modo, pur in uno stile ironico e sbarbino, ribadisce l'inessenzialità del nostro contributo culturale: ... l'anno fatidico, il Sessantotto, per la musica leggera e pop italiana è un anno di disimpegno pressoché totale. Fatte salve alcune rare eccezioni (...) l'aria che tira (...) è di totale restaurazione. (pag. 79).
Mi chiedo quale restaurazione: non vi può essere un 'ritorno' a qualcosa quando la caratteristica culturale di un intero periodo è stato di un immobilismo e status-quo davvero devastanti, anche e soprattutto dal punto di vista politico.
Si legge ancora a pag. 95: Il 1968 è l'anno in cui, fra i cento 45 giri più venduti, quelli che non parlano d'amore sono solo le surreali 'Vengo anch'io. No tu no' e 'Ho visto un re' diEnzo jannacci, la minacciosa 'Fire' di The Crazy World of Arthur Brown, la paradossale 'Pippo non lo sa' di Rita Pavone, la ghignante 'Jumpin' Jack Flash' dei Rolling Stones, e 'Mighty Quinn', cover dylaniana dei Manfred Mann. Sei su cento. E di queste sei, comunque, nessuna è una canzone di protesta, nessuna è una canzone di contestazione – tranne, forse, le due di Jannacci, ma molto a modo loro, cioè nel modo doloroso e stuporoso del dottor Enzo (e del suo coautore Dario Fo...).
Il problema semmai è un altro: non è tanto l'inconsistenza da andropausa dei nostri autori-cantanti in quell'anno, e in quelli immediatamente precedenti e successivi (perché se Norimberga deve essere, che sia di tutto un decennio e non solo!), ma la capacità di costruire un discorso musicale al di là delle esigenze di trasmettere un messaggio importante e serio. Perché diciamocelo, molto spesso le icone pop internazionali sono diventate tali soprattutto per innesti e soluzioni musicali innovativi, piuttosto che per testi brillanti e di impatto sociologico (ad eccezione di Dylan e pochi altri).
Dico questo perché il CD che accompagna il libro è una testimonianza della pochezza musicale dell'avanguardia politica del nostro paese (notare l'ossimorica espressione: voluta!) canzoni come Ninna nanna del capitale o Quella notte davanti alla Bussola o Hasta siempre o autori come Fausto Amodei, Pino Masi, Alfredo Bandelli, hanno conosciuto e conoscono, giustamente, l'oblio perché non hanno saputo accostare ad una richiesta di cambiamento un reale cambiamento del pentagramma musicale. Spesso soltanto strimpellatori da osteria o da riunioni studentesche o al massimo da comitati comunisti pre-berlingueriani.
Perché se poi andiamo a fondo e diventiamo impietosi, quel che rimane del nostro archivio musicale sessantottino (per quelli che possono ricordarlo ovviamente) sono i primi vagiti battistiani e luglio col bene che ti voglio di delturchiana memoria, che, come dice Franco Zanetti, presentava ... parole meno scontate, come "abbaglio", e frasi non proprio banali, come "luglio si veste di novembre...".
Dimme te in che mani siamo stati! Altro che cinquantennio democristiano!
(1)Riccardo Bertoncelli e Franco Zanetti
Avant pop '68
BUR
Pag. 384 + CD Euro 17,50
Che dramma quegli studenti, non avevano capito che la poesia di Pasolini era una provocazione (nonostante Foa contestasse al regista-poeta di avere una visione immobilista della lotta di classe e del movimento operaio) e che mettesse in luce il divario che davvero c'era, e credo sia sempre rimasto, tra studenti e mondo operaio.
Qualcuno si chiede tutt'ora come mai Pasolini fosse sempre così avanti nelle disamine politico-sociologiche e andasse sul sicuro: forse perché aveva un cane (la battuta non la si può capire se non si conosce una fulminante striscia dei Peanuts di Schulz: Sally: potresti leggere ancora quel pezzo di Mosé che divide il mare? Charlie Browne: E Mosé stese la mano verso il mare, e i figli di Israele entrarono in mezzo al mare su terreno asciutto; Linus: Come pensate che facesse Mosè a sapere che era sicuro attraversare? Snoopy: E' probabile che sia passato per primo il suo cane...).
Probabile invece che avesse bene in mente i meccanismi del potere e le sue capacità, quelle sì, controrivoluzionarie.
Non sappiamo dunque se il '68 siano nato da un equivoco di fondo o da una reale necessità di cambiamento, sappiamo però che nel nostro paese tutto arrivò con un pizzico di ritardo (come sempre), e a volte, in certi settori, nemmeno con la proverbiale lentezza.
Riccardo Bertoncelli e Franco Zanetti con Avant pop '68, sottotitolo: canzoni indimenticabili di un anno che non è mai finito (1), in occasione della pletora di commemorazioni di quegli avvenimenti 'formidabili' (spesso inutili e mal fatte) hanno tentato di dare un senso, in ambito strettamente musicale, al profluvio di note che sommerse il povero ascoltatore, diviso e frastornato tra frammenti di lotta di classe, sfuggenti dissociazioni sessuali (sempre parole di Pasolini) e contestazioni studentesche. Quel che ne esce fuori è emblematico e per nulla edificante.
Ma i ruoli dei due scrittori-informatori sono ben diversi: da una parte Riccardo Bertoncelli (che scrive di musica da quasi quarant'anni, e credo caso più unico che raro nel mondo della critica, non ha mai cambiato opinione su nulla) insiste su quella che è sempre stata la sua 'materia' preferita, ed in una sorta di antologia dei suoi scritti (se volete approfondire la conoscenza di un maestro della recensione andate alla ricerca, anche se credo difficile se non impossibile, dei suoi vecchi saggi per la Arcana editrice) ribadisce quel che di buono e costruttivo il mondo pop internazionale, soprattutto americano, fece in quegli anni, tenendo pure a precisare, nelle note conclusive, che il suo 'lavoro' è al 98% Internet free (e Dio lo maledica e strabenedica nello stesso tempo!).
Dall'altra abbiamo Franco Zanetti che, supportato invece da un robusto contributo della Rete, e in un ambito più sfacciatamente musical-gossip, ci allieta la lettura con balordaggini dell'indigeno cantautorame (che sì s'affacciò agli inizi dei settanta, dopo gli anni della contestazione, ma che deve la sua esistenza anche ad un pre-scrittura musicale, quella soprattutto degli anni sessanta, che, come direbbe la nostra Eleonora del Poggio, meriterebbe una Norimberga per le fregnacce che ci ha fatto ascoltare) e che in qualche modo, pur in uno stile ironico e sbarbino, ribadisce l'inessenzialità del nostro contributo culturale: ... l'anno fatidico, il Sessantotto, per la musica leggera e pop italiana è un anno di disimpegno pressoché totale. Fatte salve alcune rare eccezioni (...) l'aria che tira (...) è di totale restaurazione. (pag. 79).
Mi chiedo quale restaurazione: non vi può essere un 'ritorno' a qualcosa quando la caratteristica culturale di un intero periodo è stato di un immobilismo e status-quo davvero devastanti, anche e soprattutto dal punto di vista politico.
Si legge ancora a pag. 95: Il 1968 è l'anno in cui, fra i cento 45 giri più venduti, quelli che non parlano d'amore sono solo le surreali 'Vengo anch'io. No tu no' e 'Ho visto un re' diEnzo jannacci, la minacciosa 'Fire' di The Crazy World of Arthur Brown, la paradossale 'Pippo non lo sa' di Rita Pavone, la ghignante 'Jumpin' Jack Flash' dei Rolling Stones, e 'Mighty Quinn', cover dylaniana dei Manfred Mann. Sei su cento. E di queste sei, comunque, nessuna è una canzone di protesta, nessuna è una canzone di contestazione – tranne, forse, le due di Jannacci, ma molto a modo loro, cioè nel modo doloroso e stuporoso del dottor Enzo (e del suo coautore Dario Fo...).
Il problema semmai è un altro: non è tanto l'inconsistenza da andropausa dei nostri autori-cantanti in quell'anno, e in quelli immediatamente precedenti e successivi (perché se Norimberga deve essere, che sia di tutto un decennio e non solo!), ma la capacità di costruire un discorso musicale al di là delle esigenze di trasmettere un messaggio importante e serio. Perché diciamocelo, molto spesso le icone pop internazionali sono diventate tali soprattutto per innesti e soluzioni musicali innovativi, piuttosto che per testi brillanti e di impatto sociologico (ad eccezione di Dylan e pochi altri).
Dico questo perché il CD che accompagna il libro è una testimonianza della pochezza musicale dell'avanguardia politica del nostro paese (notare l'ossimorica espressione: voluta!) canzoni come Ninna nanna del capitale o Quella notte davanti alla Bussola o Hasta siempre o autori come Fausto Amodei, Pino Masi, Alfredo Bandelli, hanno conosciuto e conoscono, giustamente, l'oblio perché non hanno saputo accostare ad una richiesta di cambiamento un reale cambiamento del pentagramma musicale. Spesso soltanto strimpellatori da osteria o da riunioni studentesche o al massimo da comitati comunisti pre-berlingueriani.
Perché se poi andiamo a fondo e diventiamo impietosi, quel che rimane del nostro archivio musicale sessantottino (per quelli che possono ricordarlo ovviamente) sono i primi vagiti battistiani e luglio col bene che ti voglio di delturchiana memoria, che, come dice Franco Zanetti, presentava ... parole meno scontate, come "abbaglio", e frasi non proprio banali, come "luglio si veste di novembre...".
Dimme te in che mani siamo stati! Altro che cinquantennio democristiano!
(1)Riccardo Bertoncelli e Franco Zanetti
Avant pop '68
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Pag. 384 + CD Euro 17,50
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