RECENSIONI
Antonio Koch, Keisuke Shimura
Brutto+bello
Topipittori, s.i. Euro 12,50
Sandokan, UFO, Vita di Leonardo. Film, telefilm, sceneggiato. In comune tra loro, e con altri, è che hanno avuto, al loro fianco, uno o una serie di libri - in brossura, e illustrati con le foto della trasmissione. In epoca ove il videoregistratore aveva da veni', per i ragazzetti smaniosi di replicare la visione, confermandola, quello era l'unico sistema.
Ora, invece, tra cassette, dvd e affari cinesi vari ed eventuali, il bambino ha tra le manine ogni mezzo possibile per guardare e riguardare gli spettacoli preferiti, e con essi sfrantecàre le bòlas altrui. Tuttavia, dati alla mano e malgrado la flessione degli ultimi tempi, i bambini rimangono "grandi lettori": anche di libri illustrati - di solito quelli per loro lo sono. Diviene logico chiedersi allora che cosa la categoria vada trovando in immagini che - in tempo di morphing, di montaggi frenetici, di grafica computerizzata - sono statiche, spesso apparentemente più grossolane, e accompagnate da un testo che, per quanto breve, le prolunga e le sdoppia in una diversa modalità espressiva.
Ebbene. Ho l'impressione che ciò avvenga proprio perché in esse il bambino avverte una duplicità che è assieme conflitto e completamento: l'immagine è lì, di fianco al testo, per illustrare ciò che quello racconta, eppure, nell'attimo in cui lo fa, traducendolo nei propri mezzi, lo nega. Ciò può addirittura innescare una polarità morale: testo "buono" perché dice, e dàndo le informazioni con lentezza, le rende assorbibili, dominabili. Immagine "cattiva" perché mostr(uos)a: ti sbatte ogni dettaglio dinanzi agli occhi, cruento, conglomerato con i suoi simili diversi -"dove guardo prima?".
O viceversa: figura "buona", poiché ti mette a disposizione ogni elemento, dunque ti porta la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità. Linguaggio "cattivo", perché reticente, interpretabile, faticoso - "la televisione la guardo perché è lei che mi muove gli occhi, e non fatico. Invece a leggere fatico, perché gli occhi li devo muovere io".(*)
Sia come sia, proprio di uno sdoppiamento si occupa questo libretto: storia (nell'ordine) d'un mostriciattolo, Brutto, che "non è cattivo, è solo brutto". E d'un bambino, Bello, che per simmetria "non è buono, è solo bello". Il primo, la notte "si alza e sogna", ed è infelice; il secondo "dorme e sogna", ed è felice. Brutto vaga per la città, ma i "sogni degli uomini" lo terrorizzano. Così va verso il bosco: per la strada incontra altri mostri, come lui - sorge il problema, per Brutto, di capire se sono uguali a lui o diversi, questione risolta dàndosi il numero uno (questa è la sua storia, dice per accaparrarselo). Con i suoi simili, raggiunge la foresta, e tutti ballano intorno al fuoco. Per tornarsene, la mattina, dove vivono: sotto i letti dei bambini.
Contemporaneamente, Bello si sveglia, e va a fare pipì - non ha paura del buio, lui. La luce l'accende solo per guardarsi nello specchio del bagno. Così come controlla sotto le coperte, ma sa che i mostri esistono solo negli incubi. Quindi, riprende a dormire: nel sogno non incontra nessuno, sogna solo stanze vuote. Dopodiché si sveglia, e va a scuola. Non si sente più tanto bello. E, davanti all'illustrazione del sussidiario, che mostra degli animali preistorici, pensa che sarebbe bello se i mostri esistessero.
Non cercherò la morale della favola: piuttosto, mi viene in mente un libro sul bambino "dotato", (**) in cui si diceva che la troppo precoce potatura degli atteggiamenti "infantili" del bambino erano fonte di ansia e disagio in età adulta. Può darsi: quel che si può dire, è che ogni ragazzino sa, primo, che non è soltanto buono, ma pure cattivo. E, secondo, che ciò che gli viene insegnato essere "cattivo" dagli adulti, molto spesso è la parte più articolata e divertente del suo sé e del suo agire. Per questo resiste cocciuto, quando gli adulti tentano - non sempre per ragioni stupide o inconsistenti - di dimidiarlo: o almeno d'insegnargli la drammaturgia necessaria perché non trapeli la metà ingiusta. D'altra parte, ogni empatìa con "l'estraneo", "il diverso", comincia da quello che ci abita, e attraverso il quale sperimentiamo il rapporto con quelli esterni (peraltro, ogni rappresentazione è un "doppio"). Perciò è rovinoso - dimezzante - dire ai bambini "i mostri esistono": li si priva della capacità di dominarli attraverso il pensiero, comprenderli, individuarli, difendersene nel caso. E difendersi dai propri, ovvero apprendere ad avere a che fare con angoscia e paura. Ma è chiaro che un essere che non impara a difendersi, avrà sempre bisogno di un difensore: delegherà cioè non solo il proprio corpo, ma la propria interiorità al più forte. E ho l'impressione che il bambino randagio, il ragazzo di strada, susciti tanta attrazione nei fanciullini, per le sue caratteristiche di autonomia e di difesa - e, forse, perché la notte va a ballare nel bosco, riconosciuto uguale dalle creature che lo abitano. Ma questa è davvero un'altra storia.
Ecco dunque come, un libretto di poche pagine, con illustrazioni bianco-su-nero di scaltrita semplicità, possa svolgere un ruolo importantissimo nel continuo svelamento (e costruzione) di sé come creature intere.
Ma la ricerca dell'interezza, non era l'amore?
(*) così riporta l'insegnante e scrittore Lodoli in un intervento a Parla con me, come detto d'un adolescente;
(**) Alice Miller, Il dramma del bambino dotato, Boringhieri, Torino.
di Marco Lanzòl
Ora, invece, tra cassette, dvd e affari cinesi vari ed eventuali, il bambino ha tra le manine ogni mezzo possibile per guardare e riguardare gli spettacoli preferiti, e con essi sfrantecàre le bòlas altrui. Tuttavia, dati alla mano e malgrado la flessione degli ultimi tempi, i bambini rimangono "grandi lettori": anche di libri illustrati - di solito quelli per loro lo sono. Diviene logico chiedersi allora che cosa la categoria vada trovando in immagini che - in tempo di morphing, di montaggi frenetici, di grafica computerizzata - sono statiche, spesso apparentemente più grossolane, e accompagnate da un testo che, per quanto breve, le prolunga e le sdoppia in una diversa modalità espressiva.
Ebbene. Ho l'impressione che ciò avvenga proprio perché in esse il bambino avverte una duplicità che è assieme conflitto e completamento: l'immagine è lì, di fianco al testo, per illustrare ciò che quello racconta, eppure, nell'attimo in cui lo fa, traducendolo nei propri mezzi, lo nega. Ciò può addirittura innescare una polarità morale: testo "buono" perché dice, e dàndo le informazioni con lentezza, le rende assorbibili, dominabili. Immagine "cattiva" perché mostr(uos)a: ti sbatte ogni dettaglio dinanzi agli occhi, cruento, conglomerato con i suoi simili diversi -"dove guardo prima?".
O viceversa: figura "buona", poiché ti mette a disposizione ogni elemento, dunque ti porta la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità. Linguaggio "cattivo", perché reticente, interpretabile, faticoso - "la televisione la guardo perché è lei che mi muove gli occhi, e non fatico. Invece a leggere fatico, perché gli occhi li devo muovere io".(*)
Sia come sia, proprio di uno sdoppiamento si occupa questo libretto: storia (nell'ordine) d'un mostriciattolo, Brutto, che "non è cattivo, è solo brutto". E d'un bambino, Bello, che per simmetria "non è buono, è solo bello". Il primo, la notte "si alza e sogna", ed è infelice; il secondo "dorme e sogna", ed è felice. Brutto vaga per la città, ma i "sogni degli uomini" lo terrorizzano. Così va verso il bosco: per la strada incontra altri mostri, come lui - sorge il problema, per Brutto, di capire se sono uguali a lui o diversi, questione risolta dàndosi il numero uno (questa è la sua storia, dice per accaparrarselo). Con i suoi simili, raggiunge la foresta, e tutti ballano intorno al fuoco. Per tornarsene, la mattina, dove vivono: sotto i letti dei bambini.
Contemporaneamente, Bello si sveglia, e va a fare pipì - non ha paura del buio, lui. La luce l'accende solo per guardarsi nello specchio del bagno. Così come controlla sotto le coperte, ma sa che i mostri esistono solo negli incubi. Quindi, riprende a dormire: nel sogno non incontra nessuno, sogna solo stanze vuote. Dopodiché si sveglia, e va a scuola. Non si sente più tanto bello. E, davanti all'illustrazione del sussidiario, che mostra degli animali preistorici, pensa che sarebbe bello se i mostri esistessero.
Non cercherò la morale della favola: piuttosto, mi viene in mente un libro sul bambino "dotato", (**) in cui si diceva che la troppo precoce potatura degli atteggiamenti "infantili" del bambino erano fonte di ansia e disagio in età adulta. Può darsi: quel che si può dire, è che ogni ragazzino sa, primo, che non è soltanto buono, ma pure cattivo. E, secondo, che ciò che gli viene insegnato essere "cattivo" dagli adulti, molto spesso è la parte più articolata e divertente del suo sé e del suo agire. Per questo resiste cocciuto, quando gli adulti tentano - non sempre per ragioni stupide o inconsistenti - di dimidiarlo: o almeno d'insegnargli la drammaturgia necessaria perché non trapeli la metà ingiusta. D'altra parte, ogni empatìa con "l'estraneo", "il diverso", comincia da quello che ci abita, e attraverso il quale sperimentiamo il rapporto con quelli esterni (peraltro, ogni rappresentazione è un "doppio"). Perciò è rovinoso - dimezzante - dire ai bambini "i mostri esistono": li si priva della capacità di dominarli attraverso il pensiero, comprenderli, individuarli, difendersene nel caso. E difendersi dai propri, ovvero apprendere ad avere a che fare con angoscia e paura. Ma è chiaro che un essere che non impara a difendersi, avrà sempre bisogno di un difensore: delegherà cioè non solo il proprio corpo, ma la propria interiorità al più forte. E ho l'impressione che il bambino randagio, il ragazzo di strada, susciti tanta attrazione nei fanciullini, per le sue caratteristiche di autonomia e di difesa - e, forse, perché la notte va a ballare nel bosco, riconosciuto uguale dalle creature che lo abitano. Ma questa è davvero un'altra storia.
Ecco dunque come, un libretto di poche pagine, con illustrazioni bianco-su-nero di scaltrita semplicità, possa svolgere un ruolo importantissimo nel continuo svelamento (e costruzione) di sé come creature intere.
Ma la ricerca dell'interezza, non era l'amore?
(*) così riporta l'insegnante e scrittore Lodoli in un intervento a Parla con me, come detto d'un adolescente;
(**) Alice Miller, Il dramma del bambino dotato, Boringhieri, Torino.
di Marco Lanzòl
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