ATTUALITA'
Alfredo Ronci
Chi di spada ferisce.. alla fine la prende nel culo.
Non è la prima volta che esprimo dubbi e perplessità su Facebook: diciamo che non mi piace perché è solo una sorta di vetrina del proprio inglorioso talento. Visto che non si è nessuno, perché chi è qualcuno è lì solo come avatar di sé ed agisce per via vicaria, ci si accontenta di sprazzi di infima celebrità additando agli altri le proprie debolezze (spesso scemenze) e le proprie 'presunte' qualità.
Ma il dramma peggiore non è la certezza di una propria valenza, che gli altri che non la conoscono e non la valorizzano al massimo rispondono con l'indifferenza, ma l'assoluta mancanza di ironia.
Mi è capitato di leggere recentemente un 'post' di una persona di cui non ricordo il nome, ma che per carità cristiana nemmeno nominerei (ma dal momento che la leggo su Facebook vuol dire che è nelle mie 'amicizie', pensa te come sono ridotto!), che riportava una citazione di una, sospetto, scrittrice, tale Barbara Tuchman (accetto contumelie se la nominata sia di fama internazionale): Non c'è nulla che mi faccia sentir male come la porta chiusa di una biblioteca.
Ora: ammettendo che la frase possa anche contenere in sé una buona intenzione (quella cioè di esternare il senso sacro della cultura e delle sue correlate strutture), allo stesso tempo si presta a considerazioni facete. E cioè a dire: se trovi chiusa una biblioteca, o ci sei andato fuori orario, o è domenica, o c'è lo sciopero dei bibliotecari, o magari è ferragosto.
Per questo al 'post' aggiungevo ridanciano: Non c'è nulla che mi faccia sentir male come la porta chiusa di un cesso. Che mi sembra sacrosanto e che supera le perplessità che riguardano l'eventuale chiusura di una porta di una biblioteca (in teoria i cessi dovrebbero sempre essere aperti e disponibili, al di là della loro pulizia).
M'aspettavo (io che non amo Facebook, utilizzandolo mi aspetto comunque una conferma dagli altri della mia irresistibile 'vis' comica) reazioni a catene, persino applausi. Macché, nessuno mi si è cagato (pardon per l'espressione).
Pensavo di aver sopravvalutato la mia risposta, di considerarla a pieno titolo una botta di genio, invece, al di là dell'effettiva valenza delle mie boutades, mi si confermava l'assoluta mancanza d'ironia dell'utenza Facebook, troppo impegnata a mercificare il proprio presunto talento.
Il post del 'mio amico' che riportava la citazione di una scrittrice (la cui fama continua a sfuggirmi, ma se il buongiorno si vede dal mattino...) rimane comunque un perfetto esempio di ironia involontaria. Come quella che mi è capitata di leggere in un recente racconto di uno scrittore assolutamente prescindibile e che i più non conoscono (beati loro) e che io ho avuto la disgrazia d'incontrare nel mio cammino di lettore ben due volte: tale Emiliano Reali (detto Bambi). Il talentoso narratore scrive in Dannato, contenuto nell'antologia Contro cuore (Azimut): Una sera in cui l'incanto della maledizione ha lo strano sapore della scoperta. Siamo bambini sopraffatti dalla curiosità: sai dirmi perché le formiche sul lavello cercano i resti della cena appena consumata?
Un lettore facilmente impressionabile si lascerebbe certamente circuire dalla capacità letteraria del Reali d'impilare, senza null'altro a pretendere come direbbe Totò, una serie di figure retoriche: dall'ossimoro 'l'incanto della maledizione' fino al prezioso anacoluto dell'intera frase.
Frase che termina con una domanda che si presta, come per la 'dotta' citazione della Tuchman, a considerazioni ri-facete. A cui si potrebbe facilmente rispondere dando dello 'zozzone' al proprietario della cucina che non pulisce bene, altrimenti le formiche non verrebbero, e dandogli pure dell'ignorante perché si sa che se le formiche cercano i resti della cena appena consumata è perché stanno preparando il rifornimento per un lungo inverno.
Si diceva dunque dell'ironia involontaria: spesso la si coglie nelle menti prive di spirito, nelle personalità atte ad una costruzione di sé prive di qualsivoglia conferma. La si trova negli imbecilli che si credono arrivati.
Vi è invece l'ironia smaccatamente di potere (che non ha nulla a che vedere con la satira, ma che comunque è ad un livello decisamente superiore rispetto a quella 'involontaria'). Ne danno un tristo esempio il Massimiliano Parente (sul quale, nella precedente sinagoga – e andatevela a rileggere – esprimevo tutto il mio dissenso, se non addirittura disprezzo) e l'editor più antipatico del globo terrestre ed acqueo Sergio Claudio Perroni. Costui estrinseca la sua verve al vetriolo sostanzialmente su Libero e sul sito www.poetastri.com, dove se la prende, giustamente, contro gli innumerevoli poetastri della domenica. Ordunque, il succitato Perroni, in una delle sue ultime esternazioni, prendeva per il culo, con sagacia degna di nota e di colore, l'ultimo libro dell'insopportabile Scurati, Gli anni che non stiamo vivendo,targato Bompiani.
Leggendolo esultavo e nello stesso tempo sobbalzavo aggiungendo: ma guarda te che ironia, ma soprattutto che coraggio visto che l'estensore se la prende con uno della sua stessa scuderia (dal momento che Perroni scrive per Bompiani). Quasi quasi lo intervisto di nuovo (l'ho fatto una volta e i risultati, agghiaccianti, si possono tranquillamente leggere sul Paradiso) e gli faccio pure l'inchino.
Il mio entusiasmo è durato il volgere di un battito di ali: dopo pochi giorni l'esecrabile atto di accusa del Perroni contro Scurati è scomparso (non solo, avendo il sito dei poetastri anche un elenco in ordine alfabetico degli 'intellettuali' trattati, anche lì il nome di Scurati è misteriosamente 'oscurato').
Viene spontanea la domanda? Forse l'editor più antipatico del globo terrestre ed acqueo ha preteso troppo e si è scontrato contro la vera plancia di comando (la Sgarbi??), perché si sa che l'ironia di potere (che non è, ribadisco, la satira) deve comunque scendere a compromessi e soprattutto logora chi non ce l'ha?
A questo punto mi chiedo: ma tra le due forme a chi va la mia preferenza? A quella che s'incidenta da sola o a quella che è spesso incidentata? Direi alla prima: perché permette una sacrosanta presa per i fondelli. Onestamente gioire per la figuraccia del Perroni che è stato censurato non mi dà molta sostanza. Mi vien da pensare che sia stato trattato con contrappasso dantesco: spesso lo metti nel culo, beh adesso goditi 'sto palo! (Senza null'altro a pretendere, come avrebbe detto Totò!).
Ma il dramma peggiore non è la certezza di una propria valenza, che gli altri che non la conoscono e non la valorizzano al massimo rispondono con l'indifferenza, ma l'assoluta mancanza di ironia.
Mi è capitato di leggere recentemente un 'post' di una persona di cui non ricordo il nome, ma che per carità cristiana nemmeno nominerei (ma dal momento che la leggo su Facebook vuol dire che è nelle mie 'amicizie', pensa te come sono ridotto!), che riportava una citazione di una, sospetto, scrittrice, tale Barbara Tuchman (accetto contumelie se la nominata sia di fama internazionale): Non c'è nulla che mi faccia sentir male come la porta chiusa di una biblioteca.
Ora: ammettendo che la frase possa anche contenere in sé una buona intenzione (quella cioè di esternare il senso sacro della cultura e delle sue correlate strutture), allo stesso tempo si presta a considerazioni facete. E cioè a dire: se trovi chiusa una biblioteca, o ci sei andato fuori orario, o è domenica, o c'è lo sciopero dei bibliotecari, o magari è ferragosto.
Per questo al 'post' aggiungevo ridanciano: Non c'è nulla che mi faccia sentir male come la porta chiusa di un cesso. Che mi sembra sacrosanto e che supera le perplessità che riguardano l'eventuale chiusura di una porta di una biblioteca (in teoria i cessi dovrebbero sempre essere aperti e disponibili, al di là della loro pulizia).
M'aspettavo (io che non amo Facebook, utilizzandolo mi aspetto comunque una conferma dagli altri della mia irresistibile 'vis' comica) reazioni a catene, persino applausi. Macché, nessuno mi si è cagato (pardon per l'espressione).
Pensavo di aver sopravvalutato la mia risposta, di considerarla a pieno titolo una botta di genio, invece, al di là dell'effettiva valenza delle mie boutades, mi si confermava l'assoluta mancanza d'ironia dell'utenza Facebook, troppo impegnata a mercificare il proprio presunto talento.
Il post del 'mio amico' che riportava la citazione di una scrittrice (la cui fama continua a sfuggirmi, ma se il buongiorno si vede dal mattino...) rimane comunque un perfetto esempio di ironia involontaria. Come quella che mi è capitata di leggere in un recente racconto di uno scrittore assolutamente prescindibile e che i più non conoscono (beati loro) e che io ho avuto la disgrazia d'incontrare nel mio cammino di lettore ben due volte: tale Emiliano Reali (detto Bambi). Il talentoso narratore scrive in Dannato, contenuto nell'antologia Contro cuore (Azimut): Una sera in cui l'incanto della maledizione ha lo strano sapore della scoperta. Siamo bambini sopraffatti dalla curiosità: sai dirmi perché le formiche sul lavello cercano i resti della cena appena consumata?
Un lettore facilmente impressionabile si lascerebbe certamente circuire dalla capacità letteraria del Reali d'impilare, senza null'altro a pretendere come direbbe Totò, una serie di figure retoriche: dall'ossimoro 'l'incanto della maledizione' fino al prezioso anacoluto dell'intera frase.
Frase che termina con una domanda che si presta, come per la 'dotta' citazione della Tuchman, a considerazioni ri-facete. A cui si potrebbe facilmente rispondere dando dello 'zozzone' al proprietario della cucina che non pulisce bene, altrimenti le formiche non verrebbero, e dandogli pure dell'ignorante perché si sa che se le formiche cercano i resti della cena appena consumata è perché stanno preparando il rifornimento per un lungo inverno.
Si diceva dunque dell'ironia involontaria: spesso la si coglie nelle menti prive di spirito, nelle personalità atte ad una costruzione di sé prive di qualsivoglia conferma. La si trova negli imbecilli che si credono arrivati.
Vi è invece l'ironia smaccatamente di potere (che non ha nulla a che vedere con la satira, ma che comunque è ad un livello decisamente superiore rispetto a quella 'involontaria'). Ne danno un tristo esempio il Massimiliano Parente (sul quale, nella precedente sinagoga – e andatevela a rileggere – esprimevo tutto il mio dissenso, se non addirittura disprezzo) e l'editor più antipatico del globo terrestre ed acqueo Sergio Claudio Perroni. Costui estrinseca la sua verve al vetriolo sostanzialmente su Libero e sul sito www.poetastri.com, dove se la prende, giustamente, contro gli innumerevoli poetastri della domenica. Ordunque, il succitato Perroni, in una delle sue ultime esternazioni, prendeva per il culo, con sagacia degna di nota e di colore, l'ultimo libro dell'insopportabile Scurati, Gli anni che non stiamo vivendo,targato Bompiani.
Leggendolo esultavo e nello stesso tempo sobbalzavo aggiungendo: ma guarda te che ironia, ma soprattutto che coraggio visto che l'estensore se la prende con uno della sua stessa scuderia (dal momento che Perroni scrive per Bompiani). Quasi quasi lo intervisto di nuovo (l'ho fatto una volta e i risultati, agghiaccianti, si possono tranquillamente leggere sul Paradiso) e gli faccio pure l'inchino.
Il mio entusiasmo è durato il volgere di un battito di ali: dopo pochi giorni l'esecrabile atto di accusa del Perroni contro Scurati è scomparso (non solo, avendo il sito dei poetastri anche un elenco in ordine alfabetico degli 'intellettuali' trattati, anche lì il nome di Scurati è misteriosamente 'oscurato').
Viene spontanea la domanda? Forse l'editor più antipatico del globo terrestre ed acqueo ha preteso troppo e si è scontrato contro la vera plancia di comando (la Sgarbi??), perché si sa che l'ironia di potere (che non è, ribadisco, la satira) deve comunque scendere a compromessi e soprattutto logora chi non ce l'ha?
A questo punto mi chiedo: ma tra le due forme a chi va la mia preferenza? A quella che s'incidenta da sola o a quella che è spesso incidentata? Direi alla prima: perché permette una sacrosanta presa per i fondelli. Onestamente gioire per la figuraccia del Perroni che è stato censurato non mi dà molta sostanza. Mi vien da pensare che sia stato trattato con contrappasso dantesco: spesso lo metti nel culo, beh adesso goditi 'sto palo! (Senza null'altro a pretendere, come avrebbe detto Totò!).
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