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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

Citando Dalla. La letteratura gay come la musica andina: che noia mortale!

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Lo confesso: non ho visto A single man, il film di Tom Ford tratto dall'omonimo romanzo di Christopher Isherwood, ma mi chiedo da dove il regista-stilista abbia preso spunto per realizzare la scena (mandata in onda in una trasmissione televisiva) in cui il protagonista s'aggiusta più volte sul letto per trovare una posizione comoda per poi spararsi in bocca. Mistero delle trasposizioni cinematografiche.

Perché A single man, il romanzo (tempestivamente riapparso in libreria per i tipi Adelphi), sarà pure una storia di solitudine e dolore, ma non contiene un grado di autolesionismo tale da costringere il personaggio principale a farla finita.

Rimane comunque una storia noiosa. Ed andrebbe contestualizzata.

Siamo in California nel 1962: una California che non ti aspetteresti, già distrutta dalla cementificazione edilizia e dall'inquinamento (L'aria puzza di smog, ma nel perbenese di qui si può dire solo ho gli occhi irritati. Le montagne di San Gabriel – che nei rari giorni di visibilità ancora conferiscono al San Tomas State un po' del fascino di un'università andina – oggi sono nascoste come al solito dai malsani fumi gialli in arrivo dalla sottostante confusione metropolitana) dove vive George, un professore inglese, che ha da poco perso il suo compagno, morto in un incidente stradale.

Perché dicevo che questo è un romanzo che più di ogni altro andrebbe contestualizzato, meglio ancora, storicizzato? Perché rischia altrimenti di essere oltre che noioso, anche superatissimo e pieno di luoghi comuni. Non capiamo perché Tom Ford ne sia rimasto affascinato: forse come testimonianza del (non) bel tempo che fu, dove era impossibile vivere una relazione omosessuale tout-court, dove era impossibile pensare ad una relazione tra un professore ed un allievo (ad un certo punto della storia il protagonista, dopo una bella bevuta, va a fare il bagno, di notte, con un suo allievo) e dove i gay invece che malati di Aids hanno tutti la sifilide dal primo all'ultimo?

In una recente intervista il regista ha detto a proposito del suo film: un racconto universale su cosa vuol dire affrontare l'isolamento che proviamo tutti e sull'importanza di vivere nel presente e comprendere che le piccole cose della vita in realtà sono le grandi cose della vita. Aggiungendo: questo non è un film gay, è un film sulla perdita e sull'amore, che è sempre amore indipendentemente dal genere degli amanti.

Ci piace, il film, davvero pensarlo così, perché il romanzo ha un'andatura lessa, riproponendo ambientazioni e cliché che il lettore poteva trovare arrischiate qualche decennio fa, e che ora, in un contesto finalmente cambiato, hanno il sapore di vecchi ricordi, magari come una foto d'altri tempi, sbiadita e in bianco e nero.

E dentro (alla storia) una middle-class scontata ed inappagata (come negli sdilinquimenti psicanalitici del Woody Allen drammatico), che apparentemente può trovare soluzioni appropriate, ma sono solo il resoconto squallido di esistenze ai margini di qualsiasi voglia ed improvvisa illuminazione.

Il romanzo di Isherwood è noioso per la sua stereotipata rappresentazione della questione gay (contestualizziamolo finché vogliamo, ma quegli omosessuali intellettuali relegati alla tradizione del diverso ossessionato da continui fantasmi, fanno venire l'orchite! Assai meglio Harvey Milk!) e raddoppia la sua noia nello spettacolo di una società vista solo in un'angolazione sportiva della sopravvivenza: L'ignobile rassegnazione alla situazione nonnesca, alla pensione incombente e al golf. George è diverso perché, in un senso che non si sa bene come definire, ma che salta immediatamente agli occhi vedendolo nudo, non ha rinunciato. E' ancora in gara...

Però attenzione: qualcosa si salva, qualche intuizione felice, qualche passo straziato, finalmente sì, dalla consacrazione del tempo che passa. Come a pagina 94: George sale lentamente prendendosela comoda. (Solo i giovanissimi non si vergognano di arrivare col fiatone).

Ma nel romanzo di Isherwood siamo comunque nel sacro, nel senso, comunque, di una rispettabile percezione della lingua e della letteratura. Episodi recenti ci fanno pensare che la narrativa profana invece sguazzi nella melma di una putredine pure olfattiva. Addirittura una sorta di cannibalismo osceno che tritura stile, tradizione, cultura: e in questo chi discetta di gayezza a sproposito meriterebbe la gogna, anche mediatica.

Tale Emiliano Reali con Se Bambi fosse trans (Edizioni Azimuth, ça va sans dire, ma appartiene alla serie della titolazione canzonettistica, del tripudio del sessantottismo, settantottismo merceologico, del tritacarne volgare di un appiattimento berlusconiano del sapere) stupisce, ma nel senso etimologico del verbo, nel senso di lasciare di sasso, di costringerci all'immobilità, alla stupefazione, con una storiella ridicola e fantastica (anche qui nel senso di epifania irreale, come quando il protagonista entra per la prima volta in un locale gay e trova subito il 'merlo' ad aspettarlo. Ci si potrebbe chiedere: ma Reali dove vive? Forse nel cartone animato di Bambi?) dove il maschio non si sente maschio e quindi si traveste e poi marchetta (verbo).

Fossimo dalla parte della trans-avanguardia, mi starebbe pure bene, qui siamo dalla parte del trans-eunte, dell'effimero, con una valigiata di luoghi comuni che se fosse in vita Flaubert altro che Dizionario avrebbe scritto, non gli sarebbe bastata l'Enciclopedia Britannica! Non fosse sufficiente tutto ciò, pure un'introduzione di Fabio Canino che pone l'accento sul personaggio 'estremo' del Bambi (ma chi? Il protagonista o il cartone? A saperlo invece di Guevara, quando si gridava Hasta la victoria siempre avremmo dovuto pensare al dolce cerbiatto).

E la sessualità ridotta - magari a merce di scambio! Avrebbe così un significato, anche se limitato -alla nullità dell'essenza, del suo porsi (rivalutiamo un altro slogan, quello delle femministe incazzose: Col dito, col dito, orgasmo garantito!).

Prima di chiudere, la segnalazione di un'altra 'gemma', ahimé scritta da un etero presuntuoso che non avendo (a 71 anni) un accidenti da fare (lui che in tempi giovanili ha realizzato parecchi caroselli) ci racconta de L'invasione degli ultragay (Zero91 edizioni). Corrado Farina, l'autore, immagina uno scenario apocalittico (il primo ad essere angosciato sarei io!) in cui gli omosessuali hanno il potere assoluto, vampirizzando il mondo e costringendo i pochi etero rimasti ad una rieducazione in campi appositi.

Si passa da uno sproloquio all'altro (Sei proprio un incosciente, Corradino! Non ti rendi conto che l'omosessualità è un argomento enormemente complesso?) dove lo scopare tra persone dello stesso sesso è alla stregua della calamità della morale pubblica, come se non fosse già abbastanza vivere in una società in cui prevale il mignottismo e lo sfruttamento maschile padre-padronesco.

Dove all'invenzione di uno scrittore (che la storia del Corradino scrittore sia la stessa del Corrado autore, in una sorta di identificazione al fancazzismo?) ci si 'costringe' poi ad una visione 'politically correct' dove tutto ritorna come prima (cioè in una società fondamentalmente priva di diritti per alcune persone), dove a 'comandare' sono gli etero, ma tutti sono più buoni, come se dovesse venire Natale e dovessimo mandare una letterina al buon Gesù.

Mi chiedo (anzi, chiedo al Farina) ma non era meglio lasciare tutto com'era, non scrivere, farsi gli affaracci propri, magari accompagnare il nipotino ai giardini pubblici e impedirci una lettura noiosa e tutto sommato incomprensibile? (Ma non è colpa nostra).

Panorama dunque terrificante: il sacro Isherwood (che curiosamente nel suo romanzo scrive: domandatevi solo: cosa farebbe quella minoranza se all'improvviso, dall'oggi al domani, diventasse maggioranza? Capite cosa intendo? Bene, se non lo capite,pensateci su... ma non avrebbe mai potuto pensare che sarebbe arrivato un Corrado Farina qualsiasi!) ci ammorba alla stessa stregua dei profani Reali e Farina.

Non ce n'è: ad una volgare e mediatica rappresentazione delle istanze gay ci si mette una letteratura ipocrita e piena di cliché.

Dicono i napoletani: 'A capa 'e sotta fa perdere 'a capa 'e coppa. (In pratica, il sesso, quello che non lo si vuole capire, può far diventare pazzi e scemi).





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