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ATTUALITA'

Marco Lanzòl

E che, io so' Pascal? Meditazioni indotte da "L'osteria dei dadi truccati," (1) paraponziponzipo'

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Son recensore, figùrati! Un libro m'interessa, anche se uscito nel 2000, come problema posto - la cultura son ottime domande, e l'intelligenza ottime risposte. "E 'sti cazzi!", dirà il fautore dello sticazzìsmo (sofuckin'whattish attitude) - ah, l'indimenticato Cuore, settimanale per gente di norma, e meno, come me. Comunque: son rimasto stupito nel trovare ne L'osteria suddetta l'opinione discorde: "l'arte è quel sapere in cui le risposte vengono prima e indipendentemente dalle domande". (p. 239) Ohibò!

Dico: il prof. Massironi, docente a Verona (psicologia generale), ha redatto un testo di scienza. Si presume che sia interessato all'ordine consueto, che prevede la domanda anticipare la replica. Siccome, trattando di un problema che non esiste - cioè dàndo coerentemente risposta a nessuna domanda, così agendo per modo d'arte - ovvero occupandosi dell'interrogativo "se arte e scienza debbano o no ritrovarsi unificate", (cap. V), il Nostro ci spiega che una fra le numerose divergenze che mantengono in regime di separazione in casa queste umane consuetudini, v'è che la prassi scientifica risolve i problemi e chiude, l'arte li pone e apre. (cfr. p. 176 e segg., e p. 234) Dunque, se i problemi "risolve", questi verranno alla scienza per moto diretto, rispettando l'usuale priorità per cui la questione anticipa la risposta e il culo vien prima della braca.

Però nel suo libro il docente interpola alle sezioni "tecniche" degli intermezzi in forma di novelle - sia pure filosofiche e allegoriche: dunque in esse intenderà fornirci solo risposte, d'indubbio valore, ma a dargli retta o inutili, o premature, siccome non c'è il problema o è di là da venire. Senza poi menarla col sindacare se sia possibile avere domande senza risposte: ci si era crocefisso Wittgenstein - è lecito parlare di sapere nei contesti ove non è possibile il dubbio? E il professore per mestiere lo conosce senza dubbio meglio di me (ne risponde il testo presente), dunque, a scanso di figuracce, adoriamo l'ostia senza cordogliare il santo: "sei braghétto te? E ffa' li braghieri!" (Gioachino Belli) (2)

Braghièr' facendo, come scrittore e con tutta l'"autority of failure" (Scott Fitzgerald?) che mi ritrovo, dico però che la definizione di Massironi mi convince ancor meno, in forma forte, come tecnico meschinèddo di letteratura: perché in ogni momento della mia attività io mi trovo ad affrontare problemi. Soprattutto di conciliazione tra forma e contenuto (d'essi si dicon cose notevoli a p. 223 e segg.): e il mio talento, se c'è, consiste proprio nello sciogliere, con sprezzatura e senza sp(r)ezzarli, i nodi del "gliòmmero" (C. E. Gadda) testuale. Diceva il saggio (Valéry? Oggi per i nomi non è giornata) che l'artista è colui al quale gli inconvenienti e le difficoltà della propria arte dànno idee, e non ne tolgono. Quindi per me l'arte è proprio risposta a precise domande. Le quali, se mancano, fan mancare pure l'arte - e sia così di Cesare.

Tuttavia, una volta almeno nella vita (a prescindere dalla casistica che occupa l'ultimo capitolo del lavoro di Massironi, e sulla quale non ho nulla da eccepire ma che non mi appartiene) ho incontrato un caso in cui la risposta veniva a occhio tre secoli avanti l'inchiesta. Tutti sanno della scommessa che Biagio Pascal mise in bella copia non si sa dove - e chi lo sa, non lo dice: i sapienti son peggio d'una mafia, e gli artisti pure, basti vedere che ha combinato quella carogna di Kosuth. (p. 183) Il "vecchio Blaise", come lo chiama chi lo conobbe di persona, più o meno nel milleseicento cominciò col dire che, vivendo come se la religione fosse falsa, ci si diverte per la durata della vita umana, che è finita - e, come noto, sporca, bestiale, e breve. Ma se uno ha torto, ci rimette la vita eterna, che è infinita. Non si dà chi non veda, concluse, che anche se non si crede conviene scommettere sul Padreterno, non foss'altro perché una delle due poste in gioco è men che risibile rispetto all'altra - come giocarsi un fottuto centesimo bucato contro un fusilione (3) di dollari.

Ma l'Alighieri, ben prima, aveva illustrato il caso di Guido da Montefeltro (Inf., XXVII): ei fu capitano di ventura, e si pentì facendosi frate cordigliero. Venne Bonifacio VIII (il pàpie Bonifàx del dariofo misterioso e buffo) e gli chiese d'aiutarlo a prendere un castello de' Colonnesi suoi arcinemici. L'ex capitano fe' noto al pontefice che ormai non era cosa, essendo lui passato tra chi non vuol più peccare - una scena da Forza del destino, mi credo. E il padre santo a dirgli: "E che sono papa a fare, io? T'assolvo per il peccato futuro, e stàmo pace". Lo sventurato rispose. Mal gliene incolse: morto, l'anima sua già stava con santo Francesco, quando un diavolaccio di que' neri si fece una risata, e lo ricacciò fra la perduta gente - non senza logica, sicché non si può assolver chi non si pente, e non si può pentire il peccato prima di peccarlo. Morale: con Dio non si scommette, né si patteggia.

Allora avrebbe ragione Massironi: la risposta è ben venuta prima della domanda. Questo però è un caso in cui la soluzione scientifica (quantomeno, ben costruita all'interno del particolare sistema di assiomi detto "ortodossìa del cristianesimo") e dunque la chiusura del problema, la dà l'arte: che invece di suo, secondo il professore, "apre un (...) terreno di discussione". (p. 176) Allora? Mah. Una certezza, dopotutto la s'è raggiunta: che questi son discorsi da gente sana dall'artrosi. Con tutte queste aperture e chiusure, sai gli spifferi.

Marco Lanzòl

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1) Manfredo Massironi, L'osteria dei dadi truccati, il Mulino, Bologna 2000;

2) il "braghiere" nella Roma belliana è il cinto erniario, e "braghetto" chi lo realizza;

3) ammontare (stimato per difetto) del patrimonio di Paperon De' Paperoni. Il nome dell'unità di misura si deve al fatto che quella è la cifra che fa fondere la calcolatrice.







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