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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Marco Lanzòl

...E in altri Siti...

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Ogni poesia è realistica, e che poesia è, in certi casi, la vita...

Pier Paolo PASOLINI





Diceva Truffaut che una pura luce mattinale, nell'inquadratura d'un suo film, l'aveva ottenuta per coincidenza - aggiungendo: "Però le coincidenze bisogna meritarsele".

Lui, di sicuro ne era degno. Ma: io? Che avrò fatto di bene, dico, nella mia vita scema, per propiziarmi il favor del Fato? Non certo i bagni alle marane.

Per chi si fosse messo in ascolto solo adesso, spiego: chiamasi "marana" o "marrana" una pozza d'acqua, di norma sudicia e puteolente, che affiora sprofondando entro le depressioni argillose negli agri e nelle risulte delle periferie. E dove la pipinara delle borgatelle o dei quartieri intensivi, ai primi caldi, s'affollava per sguazzare, prima che il benessere regalasse la vacanza estiva o il corso di nuoto, e ripigliando l'atavica usanza dei tagliamenti, degli ombroni, delle ripette trasteverine.

O no? Nel senso: dove abitavo io ragazzetto, c'era sì a due passi il costruìto popolare, lumpen-urbano, a-narcoide avanti di fornire i primi narcofili drogatelli. E spesseggiava la zingarerìa ad accamparsi nei prossimi pratoni, sicché i loro pargoli e cuccioli ringhiosi convergessero paralleli - vigeva un sentito e dunque non infranto apartheid - ai luoghi d'infantile svago e cojonella. Ma noi cicorie, e i nostri appena maggiori, eravamo figlietti di famiglia: tuttavia il richiamo della polla putrida era troppo forte - peraltro, fortunati disponevamo d'un'acqua relativamente pulita, per ragioni qui lunghe e inutili da riportare. E, assieme o contro la prole proletaria brutta cattiva e zozza che fiottava a ignudarsi color panza-di-pesce al canneto dalla corea, si balneava come nemmeno alle Maldive - peraltro disiguanàti.

Com'è ovvio, mamma strillava che finiva male: non senza ragione. Non contando vibrioni, salmonelle e parassiti leismaniosi da tristi tropici, affiorava un cacùmine di lamiere affilate, e cadaveri spolpati di gomme-auto provenienti dal vicino sfasciacarrozze. Inoltre, non a pochi era successo d'uscire dal laghetto con una sanguisuga attaccata alla gamba - se andava bene. (1) Infine, c'era il pericolo sovrano: l'annegamento. Ogni estate, una di queste pozzanghere inghiottiva almeno un bambino o un ragazzo - e i giornali e l'inamidata tv bicanale e bianconera del tempo riportavano il fattaccio con qualche enfasi paternale, da servire come rinforzino alle prediche (e agli schiaffoni) casalinghi ("Visto!? Visto che se rimedia a anna' pe' marane e pe' acquatìcci, sor Ciriòla!?" - e via una sberla).

E qui siamo, e ci restiamo. Ma, prima, va la materia del contendere.

Nei due scritti suoi apposti al volume inaugurale dell' Opera omnia di Pasolini, (2) il Nostro professore "simpatico, specifico, prolifico" quanto e più di quel magico elisìre dottamente rimarca: "il suo (di P. P. P., nota mia) romanesco è spesso approssimativo (...). Emblematico è il caso di "tenere" usato al posto di "avere" che non è certo un tratto romanesco: si potrebbe osservare (e forse empiricamente era proprio così) che nelle borgate il romanesco era contaminato da forme meridionali dovute agli immigrati - ma quando (...) Pasolini registra uno di quei famosi "endecasillabi spontanei" (...) lo registra nella corretta forma romanesca "ciò na fame che me cago sotto", solo in Ragazzi di vita il Begalone dice"tengo na fame che me cago sotto"." Morale della favola (e della favèla): "La fluidità metrica dell'endecasillabo ha prevalso sulla corretta forma dialettale".

Mi scuso per il lungo riporto, ma non si poteva fare altro, per non rischiare di corrompere il senso del Siti-pensiero. Il quale, devo dire, sin dalla prima volta che l'ho letto, non m'è andato né giù né su, avvertendolo contraddittorio. Se il trovato di Pasolini "empiricamente" - ovvero in bocca della suburra romana - era almeno all'inizio "proprio così", l'Autore corresse per amor d'empirica precisione. Che vale, allora, ipotizzare praeter necessitatem? Delle due l'una: o fece orecchio da poeta, e tradì il dato linguistico, o fu fedele a questo - e allora poeta, perché? Altrimenti, si dà un'ipotesi che non può mai venir smentita. Dunque di scarso valore conoscitivo.

E vien bene a proposito la convalida della seconda strategia - fedele, non poeta: insonne (sarà il "tavor" del Fato?), seguo un'edizione dell'antelucana rubrica di Ghezzi e soci che ricìccia, due volte vent'anni dopo, un filmatièllo dei tempi miei. Titolo: "Acqua alla gola". (3) Appropriato: prima coincidenza, s'illustra il caso triste d'un giovanino, Emilio Inglese, affogatosi mentre nuotava in una marana di quelle c'ho in buona memoria. Raccontano della sventura tre compagni della vittima, fratelli tra loro. Amici dell'Inglese, lo sono meno dell'italiano: seppure abbastanza chiari da spiegarsi, il loro fraseggio ("il periodare", avrebbe detto la prof.ssa Spadolini) è contorto, paratattico, colorito di romanesco (ma sarebbe meglio dirlo "tiburtino" per distiguerlo da quello antico-letterario belliano e trilùsso) nel timbro e nel vocabolario. Difatti Renato, il più giovane del gruppo - lo direi dodicenne - riferendosi allo scomparso, a un tratto si produce in un pulito "teneva pure il padre". E ci ricasca al fin della licenza, riferendo della sua impressione nel tentativo di salvare il giovane: "tenevo 'na paura". Seconda coincidenza.

Allora: mi pare di poter concludere che fu per scrupolo di realtà che Pasolini diede la versione meno frequente, ma più caratteristica, del verbo - in barba alla "fluidità metrica dell'endecasillabo". Semmai si volesse intignare nel rimprovero, meglio sarebbe imputare al giovane scrittore d'aver (all'uso ambrosiano o nordestìno) trasformato un'occlusiva velare sorda in una sonora, col Bègalo che si sforza a dire "cago" al posto di "caco".

Ma se pure questa variante fosse legata all'idiotismo dei parlanti? Più d'una volta nelle mie rubriche m'è capitato di citare un curiosissimo e documentale libretto, raccolta (anni '70) di temi d'alunni elementari d'una borgata romana. (4) Ora vi leggo, da un ciancicato componimento sulle letture extrascolastiche (quasi esclusivamente pornofumetti): "il titolo di questo giornaletto è le cugine e (sic) molto sporco e parla di due lesbighe". Commenta Tullio de Mauro, nell'introduzione (p. XVIII): "La persistenza del dialetto romanesco è soprattutto fonologica. Buona parte delle deviazioni ortografiche sono da ricondurre (...) all'adesione alla norma regionale popolare di pronuncia", e fra gli esempi acconci il linguista cita proprio l'occorrenza "lesbighe" (it. "lesbiche").

All'ultimo: in che misura il volto - che Siti ritrae ne' suoi "pezzi" - del prosatore adottato da mamma Roma muta espressione? In nessuna, direi - nessuna di rilievo. Ci vuol altro. Tanto daffàr per nulla? No: bene fa Siti a rifarsi all'"empirìa" nella sua pagina. Ma quella impone una tecnica, ch'è (come mi appare la mia) il riportarsi ai fatti. In specie - però si va ad allargarsi - oggi che i fatti tendono a scomparire. (5)



1) ricorderà il cinefilo la scena del sentito film Stand by me (*) in cui il giovanissimo protagonista, dopo il bagno nella gora paludosa d'un fiume, si trova una sanguigna adesa alle pudenda.

(*) Regia di Rob Reiner. Con Will Wheaton, River Phoenix, Corey Feldman. USA, 1986;

2) Pier Paolo Pasolini, Romanzi e racconti volume primo, Mondadori 1998. Citiamo nel prosieguo dal saggio di Siti Descrivere, narrare, esporsi che v'è allegato, e specificatamente da p. CXIX;

3) Sprint, programma con Raffaele Andreassi, per le riprese di Enrico Pagliaro - puntata del ventuno giugno 1966 (in Fuori orario del sette luglio 2007). I brani riferiti si trovano a 4' 23" e 7' 12" del minutaggio secondo il mio videoregistratore, facendo capo all'inizio della sigla della trasmissione riproposta. Della quale in genere così referta Aldo Grasso: "Maurizio Barendson (...) aveva ideato e condotto Sprint, definito il Tv7 sportivo, (...) che gli offrì la possibilità di accomunare il mondo dello sport a quello dello spettacolo". Tant'è nella Storia della televisione italiana, Garzanti, Milano 1992, p. 348;

4) Laura Migliorini, Cancelati dalla dotrina (sic!), Bompiani, Milano 1975. Il brano citato è a p. 77;

5) cfr. Marco Travaglio, La scomparsa dei fatti, il Saggiatore, Milano 2007.







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