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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

Each man kills the things he loves (1). Io uccido Caio Fernando Abreu.

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In passato ho amato davvero Caio Fernando Abreu. Quando uscì Dov'è finita Dulce Veiga (2), sul Paradiso degli Orchi cartaceo n.4 scrivevo: Dulce Veiga, in poco tempo, si trasforma in un'ossessione, in un tormento di fuoco (...) Ecco allora Proust e la sua ossessiva richiesta d'amore materno, ecco Leroux (qui è visibile la propensione quasi tutta orchesca di mischiare sacro e profano. Chi mai avrebbe avuto il coraggio di accostare un monumento della letteratura, con uno scrittore sì popolare e famoso, ma del tutto prescindibile secondo alcuni critici?) col suo edipico bisogno di odori, ecco Collard (si era agli inizi degli anni '90 e Cyril Collard era un po' sulla bocca di tutti) e le sue notti selvagge e il suo sperma marchiato di Aids. Ancora. Il jazz. Billie Holiday che fa capolino tra le righe, perché Dulce Veiga, cantante notturna, le imita il canto, le ruba il vibrato rauchito (tutt'ora mi chiede se 'rauchito' sia un termine corretto, tant'è).

Fu allora un'esperienza esaltante e allo stesso tempo suggestiva: e gli avevo trovato un compagno ideale, quel Philip Ridley che pur con intendimenti e soggetti diversi – lo scrittore inglese ha sempre preferito parlare della sessualità dei ragazzi, piuttosto che delle problematicità dei rapporti tra adulti – raffigurava la 'diversità' col tratto leggero e pure audace della spontanea verità.

La lettura del bel volume delle edizioni quarup I draghi non conoscono il paradiso (3) mi ha posto di fronte ad un dilemma di prim'ordine: cos'è rimasto del fascino ammaliatore del portoghese dal momento che i racconti che compongono l'antologia mi lasciano indifferenti?

Meglio: come tutte le antologie ci sono momenti più riusciti ed altri meno. Non esito a definire Miele & girasoli (l'incontro e la passione e la fine improvvisa di questa stessa tra un uomo e una donna, ambedue sui trent'anni, durante una vacanza in un albergo a cinque stelle) e Piccolo mostro (l'iniziazione sessuale di un ragazzino da parte del cugino più grande) due piccoli capolavori, dove vi si scorge il sublime della parola giusta, appropriata ma mai disgiunta da un'elementarietà che proprio perché delicata ed impalpabile la fa grande, a tratti immensa.

Ma il resto cos'è? Vorrei essere cattivo con Abreu, proprio perché l'ho profondamente amato: un carosello inutile, spesso fotocopiato, della più deleteria sponda della cultura omosessuale, quella che ha trasformato il movimento in un baraccone di semplificazioni standard, con l'aggravio, peraltro, del pesante fardello dell'Aids, e di certi orpelli fastidiosi ed esagerati che hanno triturato la letteratura gay rendendola un triste, funereo, ferale avvicendamento di lutti . (Lo so, qualcuno qui mi attaccherà, ma tutt'oggi mi chiedo come mai non ho visto morire nei terribili anni '90 intellettuali eterosessuali, e ritrovarmi a rimpiangere la lucidità di un Reinaldo Arenas, tanto per citarne uno e del quale è uscito recentemente Adìos a mamà. Dall'Avana a New York (4), che invece si è suicidato nel suo appartamento perché ossessionato e devastato dalla 'peste del secolo').

Con profonda onestà poi non ne posso più di quel grigiore che pervade l'opera di Abreu che sembra non un tratto distintivo della personalità stessa dell'autore, ma una condizione collettiva che vede da una parte (senza che la cosa possa sembrare contraddittoria) la verve rivastiola dell'immagine del gay codificato e dall'altra la sua per nulla speculare (o forse sì e allora sarebbe la risposta alla contraddizione) propensione al lutto.

Ecco dunque racconti oscuri e pervasi da un senso di tristezza insopportabile: Linda, una storia orribile (dove un ragazzo, malato di Aids, e daje!, torna a trovare la madre dopo tanto tempo), Foglie morte (l'innamoramento di un dodicenne per una coetanea che morirà a sedici anni per una leucemia) Senz'Anna, blues (un uomo non riesce ad elaborare l'abbandono da parte della donna amata, pur riuscendo, nonostante tutto, a cambiare vita), Il ragazzo più triste del mondo (in un bar un uomo di 40 anni ed un ragazzo di 20 si incontrano, si parlano, ma poi con la stessa rapidità con cui si sono conosciuti, si lasciano), Una piccola spiaggia di sabbia bianchissima, laggiù, in riva al fiume (dove un uomo ne uccide un altro solo perché non riesce ad averlo).

Nel film di Totò, Totò a colori, Franca Valeri, che recitava la parte di una viziosetta squinzia proprietaria di una villa a Capri, stanca e annoiata della vita di mare decide improvvisamente di partire perché, aveva voglia di neve, di montagna, di Zeno Colò.

Ecco, per una volta tanto, mettiamo da parte una letteratura invecchiata precocemente sotto i colpi d'ariete non di una società troppo moderna ed tecnologica, ma di una generazione di scrittori autoreferente e spenta e dedichiamoci ad altro, chessò: a Will & Grace, a Joe Keenan, alle casalinghe disperate, allo stesso Busi, che chissà perché (ma io lo so) è amato più dalle donne etero che dagli stessi gay e al sesso (diffido però del 'vecchio 'Genesis P.Orridge, o di quelli come lui, che siccome non ha nulla da fare s'inventa la pandroginia, che riguarda la celebrazione della gioia, del rifiuto di arrendersi all'oscurità dei tempi e rappresenta il piacere come arma e come energia culturale perché l'ermafroditismo, il pandrogino, è il simbolo dell'unità piuttosto che della separazione) senza lo spauracchio di una falsa malattia che, e cito Ginsberg, ha rovinato le migliori menti della mia generazione.

Ma nonostante tutto non ho il coraggio di abbandonare Abreu: lo considero una creatura celestiale, pur se 'insozzato' di blues terreni. Questa antologia (per i più pignoli: il libro che fu pubblicato da Zanzibar qualche annetto fa, Molto lontano da Marienbad (5), include già cinque racconti presenti in questa) mantiene qualcosa di magico ed indefinito. Si diceva prima della 'purezza' della parola, che a volte, quando fa a meno di orpelli fuliginosi, riesce a librarsi per quella sorta di incantesimo letterario che solo i grandi esprimono. Ma si può dire anche della personale ricerca del tempo perduto dell'artista , per quanto questo stesso tempo sia stato troppo poco. Anche Abreu è morto di Aids nel 'lontano' 1996.

E' vero, anch'io uccido le persone che amo, ma quel che resta, come fosse polvere, perché dalla polvere veniamo, viene respirato ed assimilato. Comunque ossigeno.







(1) Oscar Wilde, citato da R.W.Fassbinder in Querelle

(2) Caio Fernando Abreu – Dov'è finita Dulce Veiga – Zanzibar - 1993

(3) Caio Fernando Abreu – I draghi non conoscono il paradiso – quarup – 2008

(4) Reinaldo Arenas - Adìos a mamà. Dall'Avana a New York – Socrates – 2008

(5) Caio Fernando Abreu – Molto lontano da Marienbad – Zanzibar - 1994





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