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Angela Rigamo

Elsa Morante. Uno sguardo al femminile: scritture tra realtà mito ed utopia.

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Il 7 aprile 1983 la scrittrice Elsa Morante venne ricoverata in una clinica romana per tentato suicidio. Il suo atto la porterà ad un rapido declino fisico e psichico fino alla morte avvenuta il 25 novembre del 1985.

Elsa Morante era profondamente cattolica ma con il suo gesto non ha voluto, a mio avviso, rinnegare nulla della su fede ma, malata, debole e sola ha sperato solo nella misericordia di Dio non vendicatore e giudice inflessibile ma padre che, nella sua immensa bontà, potesse capirla, amarla ancora di più che perdonarla.

Orgogliosa e diffidente come i gatti siamesi che ha sempre amato e considerato gli unici veri autentici amici, Elsa Morante, chiudendosi in un ostinato silenzio, ha finito per alimentare intorno a sé le più fantasiose leggende. Elsa è un personaggio che implacabilmente fino alla fine andrà alla ricerca della dimensione ottocentesca dello scrittore totale. Difatti pochi hanno nascosto la propria vita privata come lei.

Sappiamo che è nata a Roma nel 1912, che trascorse la sua fanciullezza nel popolare quartiere del Testaccio, dove abitava con la sua famiglia, che non portò avanti un regolare corso di studi ma attinse alle più svariate esperienze in modi profondamente percepiti.

Nel 1941 sposò lo scrittore Alberto Moravia la cui amicizia, insieme con quella di Saba, Penna e Pasolini ebbe grande importanza nella sua vita. Visse ad Anacapri e durante l'occupazione tedesca si trasferì nella zona di Cassino dove venne a contatto con la guerra e con il mondo meridionale. In seguito viaggiò molto in Paesi europei, in Persia, India Russia, Cina, America. Altre esperienze entrarono nella sua riflessione: l'accostamento a culture diverse, lo "Zen" e altre filosofie orientali, l'accostamento all'anarchismo umanitario o all'evangelismo vagamente paleocristiano che trae origine dalla constatazione di una comune sofferenza umana che ha per modello Cristo. I suoi ultimi anni si esaurirono all'insegna della solitudine e della malattia.

Il suo primo romanzo è Menzogna e sortilegio pubblicato nel 1948 con cui vinse, insieme a Palazzeschi, il premio Viareggio, segue L'isola di Arturo del 1957 con cui vinse il premio Strega. Del 1959 è il saggio "Risposta" alle "Nove domande sul romanzo", pubblicato su "Nuovi argomenti". Nel 1968 pubblicò uno dei suoi libri più significativi Il mondo salvato dai ragazzini. Nel 1974 presentò La storia. Con Aracoeli si chiude la vicenda letteraria della scrittrice. Lo scritto analizza attentamente i suoi lavori, studia i suoi personaggi, ricostruendo, attraverso questi, i suoi legami con la storia del tempo, dagli anni della sua formazione culturale, anni '30 e '40, alle successive esperienze della Grande Guerra e della storia contemporanea.

L'opera della Morante, pur risentendo degli influssi del neorealismo imperante (ad una diffusa tendenza al reale si ispirò tutta la sua attività) uscì fuori dagli standard culturali canonizzati alla ricerca di risposte originali. I suoi lavori nacquero sì da una precisa esperienza autobiografica e dalla sua partecipazione attiva alla vita sociale e culturale del Paese ma queste tematiche, la presa di coscienza di fronte ai nuovi tragici eventi della disgregazione di una stabile e organica concezione del mondo, non condussero però l'artista ad aderire totalmente, come lei stessa dichiarò, ad un'idea politica precisa. Ella non riuscì mai a liberarsi da un temperamento fondamentalmente decadente, da una sua visione pessimistica di sfiducia ed anarchia, da un'amarezza che la porterà soprattutto nelle ultime opere a trovare una soluzione al senso di solitudine, all'angoscia e alla desolazione dell'essere nati, nella ricerca di un rapporto di solidarietà tra gli uomini, in una profonda e sconsolata pietà, nella simpatia per le condizioni di vita degli umili.

La sua matrice esistenzialista la ricollega così a uomini che in quegli anni lavoravano all'estero, come Sartre, Jaspers, Heidegger e, per il sogno e per il senso di angoscia, ai romanzi di Kafka, per il senso della morte alle fantasie nere di Poe, per l'adesione ai temi della psicologia del profondo e l'appello alle forse oscure e primordiali dell'incoscio individuale e collettivo (il "mito" come metafora sublimatrice della realtà) alla psicoanalisi di Freud ed alla psicologia junghiana.

Importante anche il confronto delle sue teorie sul romanzo e sull'attività e il ruolo del poeta con quelle di Giorgio Lukàcs che definì la scrittrice "uno dei più grandi talenti del Novecento".

Al di là di ogni sorta di considerazioni critiche e di giudizi e di "letture" possibili, infine, credo che il suo sia stato il bisogno di una donna, in questo universo che gioca continuamente a nascondersi dietro la giustificazione delle "Grandi Cause" e degli "Alti Valori", sia a livello privato come nelle azioni pubbliche, di assumere la ricerca della verità quale criterio e norma di vita e quale accettazione vera dell'uomo e delle sue implicazioni nello sforzo genuino, sogno, forse, di concretizzare la vita nell'arte. Un discorso che può sembrare anacronistico ma non lo è, se consideriamo appunto l'arte non come velo pietoso da stendere sulle miserie umane ma come possibilità ancora di pietà, riscatto e salvezza per l'uomo.





















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