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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Piergiorgio Paterlini

Era un mondo bellissimo (*)

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Era dalla mia infanzia che non sentivo tessere l'elogio della "discrezione". Che splendida parola. Gentile, rispettosa, civile. Discreta, appunto.

Mio nonno tradiva mia nonna con ammirevole regolarità. Ma lo faceva con ancora più ammirevole "discrezione".

Era un mondo bellissimo.

Tutti lo sapevano, ma la cosa non veniva mai nominata in pubblico. E così, grazie a quella meravigliosa invenzione – la discrezione appunto – tutti erano felici: lui poteva "divertirsi" senza problemi, l'onore delle signore era salvo, quello di mia nonna pure, quella della famiglia anche. E del piccolo paese, e dei costumi. E in questo modo potevano, lui e mia nonna, andare a braccetto la domenica alla messa di mezzogiorno e fare insieme la comunione. Con la più soave discrezione.

Era un mondo bellissimo.

Ma a me – chissà perché, ma non dimenticatevi che ero solo un ignorante ragazzino di campagna – a me sembrava che tutta questa bella discrezione coprisse e legittimasse ciò che più odiavo: falsità, dolore, vizi privati e pubbliche virtù, ingiustizia, una sottile ma non meno crudele violenza, disparità di diritti, assenza di dignità.

Discrezione. La più elegante raffinata geniale definizione di ogni doppia morale, quella dei preti e del confessionale, quella del perbenismo piccolo-borghese, con quel suo ottocentesco sapore di rosolio fato in casa. Ma tutto il contrario della limpidezza e della verità. Quella verità che – perfino secondo il vangelo – andrebbe non protetta dalla discrezione ma gridata dai tetti.

Si fa ma non si dice. Si può fare, tutto, purché non si sappia in giro. I panni sporchi si lavano in famiglia. Vi ricorda qualcosa?

Una soluzione molto pratica, lo ammetto, e di sicuro molto praticata. E predicata. La frase più diffusa in ogni famiglia, in ogni chiesa: se proprio non puoi astenerti... purché tu non lo sbandieri ai quattro venti... Ecco, questo no, questo è il peccato che non si può perdonare, l'unico senza redenzione.

Ma quando il pregiudizio miete vittime ogni giorno, la discrezione – che in un mondo diverso sarebbe davvero un diritto sacrosanto e una pratica gentile –diventa l'ennesimo privilegio, un lusso troppo caro, e troppo gravido di conseguenze e di responsabilità, e acquista inesorabilmente un altro nome: si chiama viltà (non è un giudizio sulle persone e sulle singole scelte, spero sia ovvio) o peccato di omissione: il più infido, il più nefasto dei peccati.

Ha fatto più vittime la discrezione di mille Giovanardi, siamo sempre qui, lo so, ma sfido chiunque a dimostrare il contrario. Dall'insulto ti puoi difendere, all'insulto puoi replicare perfino con orgoglio, dalla discrezione no. Non puoi difenderti, alla discrezione (cioè al silenzio) non puoi replicare. Non si può rispondere al non-detto, per definizione. Dalla discrezione sei cancellato. Negato al diritto di esistere. E basta.

Poi c'è la logica.

Perché se quella di Lucio Dalla e di Marco Alemanno è stata discrezione allora – per forza – quella di Tiziano Ferro è in-discrezione. È ostenzione inopportuna di privatissime scelte affettive e sessuali. E quella di Elton John e del suo compagno David Furnish ancora peggio: due sporcaccioni che chissà perché hanno "sentito il bisogno" di allestire la loro camera da letto (matrimoniale) in piazza invece che tra le discrete mura dei loro palazzi.

Sempre – ma in alcuni casi di più – i nomi, nominare le cose, dare il giusto nome alle cose non è un optional, ma l'unico modo per renderle vere, autentiche, reali.





(*) Testo già apparso su 'L'Espresso online'



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