ATTUALITA'
Alfredo Ronci
Giacomo Debenedetti e la persecuzione dei male amati. Gli ebrei e gli altri emarginati.
Emilio Gentile, sulle pagine dell'inserto domenicale de Il sole 24 ore del 1 marzo 2009, a proposito dell'uscita del volume di Francesco Cassata La difesa della Razza. Politica, ideologia e immagine del razzismo fascista (Einaudi 2008) torna sulla disputa, piuttosto annosa tra gli storiografi ormai, delle matrici autoctone dell'antisemitismo fascista. E in poche righe e con analisi succinta, parte dalla teoria defeliciana, contenuta nella Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, in cui si affermava che la folle e criminosa infatuazione razzista del duce, chiaramente dimostrava che l'adozione dell'antisemitismo di Stato fu sostanzialmente un atto di volontà, una scelta di Mussolini per finire a quella meno personalistica dove (e lo dice tra gli altri lo storico americano Phil Cannistraro) la campagna contro gli ebrei non fu che il culmine logico, seppure estremo, degli atteggiamenti culturali del regime.
Personalmente credo che al di là delle 'datate' posizioni del regime a proposito dei pericoli dell'internazionale ebraica (e dell'essere popolo deicida,come affermava gran parte degli apparati cattolici anche dopo l'emanazione dei provvedimenti razziali del '38 e ancor dopo i rastrellamenti del ghetto) Mussolini forse non avrebbe adottato una politica persecutoria di tale portata se non ci fosse stata la pressione della 'soluzione finale' adottata dal nazismo.
A proposito di quest'ultima, sempre Gentile, per appoggiare la tesi della 'rivoluzione antropologica' fascista riporta, alla fine del pezzo, l'articolo del 1942 dell'antropologo Guido Landra, uno degli estensori del famigerato manifesto razzista del 14 luglio del 1938, in cui tra l'altro si diceva che il problema ebraico non conosce che una soluzione: eliminazione totale degli ebrei. A questa affermazione si può ribattere cronologicamente: è vero che la Conferenza di Wansee avvenne nel gennaio 1942 (quella dove, verificata l'impossibilità pratica di trasportare gli ebrei nel Madagascar (sic!) a causa dell'andamento negativo della guerra, si cercò una soluzione alternativa, che era quella dello sterminio totale della razza ebraica dall'Europa), ma persecuzioni, esecuzioni e intenzioni genocide del Terzo Reich furono intraprese già alla fine degli anni trenta, soprattutto in terra polacca.
Chi riteneva che Mussolini barattò gli ebrei in cambio di una più stretta alleanza con Hitler era Giacomo Debenedetti, il grande critico letterario, l'autore del fondamentale Il romanzo del Novecento: lo scrisse chiaramente in quel suo straordinario libriccino 16 ottobre 1943 (Einaudi) che per fortuna viene sempre continuamente ristampato. Che Natalia Ginzburg definì: breve e splendido.
Narra la retata nazista nel Ghetto di Roma con la deportazione di circa mille ebrei e lo sgomento di un'intera città di fronte alla barbarie di quell'azione.
Il resoconto è lucido e straziante, ancor più terribile nell'evidente rappresentazione di un intero popolo incredulo e sbigottito di fronte ad una violenza che non avrebbe creduto mai possibile.
Alcuni passi sono di una letterarietà sublime ed altissima, come quando si rappresenta un ufficiale delle SS, emblema della paura: Tutto divisa, anche lui, dalla testa ai piedi: quella divisa attillata, di un'eleganza schizzinosa, astratta e implacabile, che inguaina la persona, il fisico ma anche e soprattutto il morale, con un ermetismo da chiusura-lampo (pag.16).
Ma se la cronaca del rastrellamento, nella sua secca vertigine dell'irrazionalità, raggiunge vette narrative inarrivabili, è nella seconda parte del libro (col titolo Otto ebrei) che lo scrittore, nel suo strazio esistenziale, come lo definì Moravia, pone l'accento sulla condizione d'emarginazione a tutti i costi dell'ebreo.
Prendendo spunto da un fatto di cronaca: Roma, 24 marzo 1944. Si sta 'manipolando' la cosiddetta 'prima lista' per le Fosse Ardeatine. Al signor Raffaele Alianello, commissario di Pubblica Sicurezza, viene fatto trovare un elenco di sessanta persone di cui dieci in soprannumero. Dunque dieci persone da salvare. Alianello scelse, tra queste, otto ebrei.
Debenedetti a questo punto si chiede: perché? Cosa spinse il commissario ad una decisione del genere dal momento che tutti gli arrestati erano innocenti e che quindi avevano la possibilità, in egual misura, di finire tra il gruppo poi liberato?
Dice l'autore: Ama Alianello gli ebrei? Sappiamo che, al processo Caruso (processo contro l'ex questore di Roma accusato di responsabilità diretta nell'eccidio delle Fosse Ardeatine, poi fucilato...n.d.a.) li barattò contro la pulizia e illibatezza della propria fedina politica: argomento di demagogia antifascista. Come con Mussolini non si sentirono oggetto di un vero e proprio odio sincero, passionale, fisico, così col soccorrevole commissario gli ebrei non hanno beneficiato di un vero amore solidale, caritativo e, per dire la parola, cristiano.
Debenedetti riteneva tuttavia che se a Berlino o nel ghetto di Varsavia ci fossero stati uno, cento, mille Alianello, molti ebrei sarebbero tornati a casa. Ma la 'scelta' effettuata dal commissario pecca di propaganda, come lui molti sono gli ardenti neofiti di ogni verbo pubblicitario, i catecumeni dello slogan.
Aggiunge l'autore: Questo di chiudere tutti e due gli occhi, di creare eccezioni a vantaggio degli ebrei, non è un modo di riparare dei torti. Riparazione sarebbe rimettere gli ebrei in mezzo alla vita degli altri, nel circolo delle sorti umane, e non già appartarneli, sia pure per motivi benigni. Questa è una antipersecuzione: dunque fatta della medesima sostanza psicologica e morale che materiava la persecuzione.
16 ottobre 1943 uscì dapprima nella rivista romana Mercurio nel numero novembre-dicembre 1944, venne ristampato l'anno successivo a Lugano in "Libera Stampa" e nel volume delle edizioni romane O.E.T. e nel '47 uscì in traduzione francese in Temps modernes su sollecitazione di Jean Paul Sartre. Otto ebrei uscì a Roma nel 1944 nelle edizioni "Atlantica" con prefazione di Carlo Sforza; ristampato nel '61 nella "Biblioteca delle Silerchie" del Saggiatore insieme con la Lettera a Hitler di Louis Golding, fu unito a 16 ottobre 1943 nel volume degli Editori Riuniti del 1978 curato da Ottavio Cecchi e prefato da Alberto Moravia.
Proviamo a sostituire, nell'equazione, la parola ebrei, con qualsiasi altra che definisca popoli, etnie, o 'categorie' discriminate e perseguitate: zingari, extracomunitari, clandestini, omosessuali.
Il risultato della denuncia non cambia: costoro chiedono, tutti, alla comunità di non essere defraudati, neppure a titolo di risarcimento o di ripartizione dei danni (...) Può, questa nostra, parere una riottosa, bizzosa, vittimistica, incontentabile paura di essere amati. Ed è soltanto paura di essere gratuitamente amati, ingiustamente amati, cioè male amati.
Profetico ed terribilmente attuale.
Personalmente credo che al di là delle 'datate' posizioni del regime a proposito dei pericoli dell'internazionale ebraica (e dell'essere popolo deicida,come affermava gran parte degli apparati cattolici anche dopo l'emanazione dei provvedimenti razziali del '38 e ancor dopo i rastrellamenti del ghetto) Mussolini forse non avrebbe adottato una politica persecutoria di tale portata se non ci fosse stata la pressione della 'soluzione finale' adottata dal nazismo.
A proposito di quest'ultima, sempre Gentile, per appoggiare la tesi della 'rivoluzione antropologica' fascista riporta, alla fine del pezzo, l'articolo del 1942 dell'antropologo Guido Landra, uno degli estensori del famigerato manifesto razzista del 14 luglio del 1938, in cui tra l'altro si diceva che il problema ebraico non conosce che una soluzione: eliminazione totale degli ebrei. A questa affermazione si può ribattere cronologicamente: è vero che la Conferenza di Wansee avvenne nel gennaio 1942 (quella dove, verificata l'impossibilità pratica di trasportare gli ebrei nel Madagascar (sic!) a causa dell'andamento negativo della guerra, si cercò una soluzione alternativa, che era quella dello sterminio totale della razza ebraica dall'Europa), ma persecuzioni, esecuzioni e intenzioni genocide del Terzo Reich furono intraprese già alla fine degli anni trenta, soprattutto in terra polacca.
Chi riteneva che Mussolini barattò gli ebrei in cambio di una più stretta alleanza con Hitler era Giacomo Debenedetti, il grande critico letterario, l'autore del fondamentale Il romanzo del Novecento: lo scrisse chiaramente in quel suo straordinario libriccino 16 ottobre 1943 (Einaudi) che per fortuna viene sempre continuamente ristampato. Che Natalia Ginzburg definì: breve e splendido.
Narra la retata nazista nel Ghetto di Roma con la deportazione di circa mille ebrei e lo sgomento di un'intera città di fronte alla barbarie di quell'azione.
Il resoconto è lucido e straziante, ancor più terribile nell'evidente rappresentazione di un intero popolo incredulo e sbigottito di fronte ad una violenza che non avrebbe creduto mai possibile.
Alcuni passi sono di una letterarietà sublime ed altissima, come quando si rappresenta un ufficiale delle SS, emblema della paura: Tutto divisa, anche lui, dalla testa ai piedi: quella divisa attillata, di un'eleganza schizzinosa, astratta e implacabile, che inguaina la persona, il fisico ma anche e soprattutto il morale, con un ermetismo da chiusura-lampo (pag.16).
Ma se la cronaca del rastrellamento, nella sua secca vertigine dell'irrazionalità, raggiunge vette narrative inarrivabili, è nella seconda parte del libro (col titolo Otto ebrei) che lo scrittore, nel suo strazio esistenziale, come lo definì Moravia, pone l'accento sulla condizione d'emarginazione a tutti i costi dell'ebreo.
Prendendo spunto da un fatto di cronaca: Roma, 24 marzo 1944. Si sta 'manipolando' la cosiddetta 'prima lista' per le Fosse Ardeatine. Al signor Raffaele Alianello, commissario di Pubblica Sicurezza, viene fatto trovare un elenco di sessanta persone di cui dieci in soprannumero. Dunque dieci persone da salvare. Alianello scelse, tra queste, otto ebrei.
Debenedetti a questo punto si chiede: perché? Cosa spinse il commissario ad una decisione del genere dal momento che tutti gli arrestati erano innocenti e che quindi avevano la possibilità, in egual misura, di finire tra il gruppo poi liberato?
Dice l'autore: Ama Alianello gli ebrei? Sappiamo che, al processo Caruso (processo contro l'ex questore di Roma accusato di responsabilità diretta nell'eccidio delle Fosse Ardeatine, poi fucilato...n.d.a.) li barattò contro la pulizia e illibatezza della propria fedina politica: argomento di demagogia antifascista. Come con Mussolini non si sentirono oggetto di un vero e proprio odio sincero, passionale, fisico, così col soccorrevole commissario gli ebrei non hanno beneficiato di un vero amore solidale, caritativo e, per dire la parola, cristiano.
Debenedetti riteneva tuttavia che se a Berlino o nel ghetto di Varsavia ci fossero stati uno, cento, mille Alianello, molti ebrei sarebbero tornati a casa. Ma la 'scelta' effettuata dal commissario pecca di propaganda, come lui molti sono gli ardenti neofiti di ogni verbo pubblicitario, i catecumeni dello slogan.
Aggiunge l'autore: Questo di chiudere tutti e due gli occhi, di creare eccezioni a vantaggio degli ebrei, non è un modo di riparare dei torti. Riparazione sarebbe rimettere gli ebrei in mezzo alla vita degli altri, nel circolo delle sorti umane, e non già appartarneli, sia pure per motivi benigni. Questa è una antipersecuzione: dunque fatta della medesima sostanza psicologica e morale che materiava la persecuzione.
16 ottobre 1943 uscì dapprima nella rivista romana Mercurio nel numero novembre-dicembre 1944, venne ristampato l'anno successivo a Lugano in "Libera Stampa" e nel volume delle edizioni romane O.E.T. e nel '47 uscì in traduzione francese in Temps modernes su sollecitazione di Jean Paul Sartre. Otto ebrei uscì a Roma nel 1944 nelle edizioni "Atlantica" con prefazione di Carlo Sforza; ristampato nel '61 nella "Biblioteca delle Silerchie" del Saggiatore insieme con la Lettera a Hitler di Louis Golding, fu unito a 16 ottobre 1943 nel volume degli Editori Riuniti del 1978 curato da Ottavio Cecchi e prefato da Alberto Moravia.
Proviamo a sostituire, nell'equazione, la parola ebrei, con qualsiasi altra che definisca popoli, etnie, o 'categorie' discriminate e perseguitate: zingari, extracomunitari, clandestini, omosessuali.
Il risultato della denuncia non cambia: costoro chiedono, tutti, alla comunità di non essere defraudati, neppure a titolo di risarcimento o di ripartizione dei danni (...) Può, questa nostra, parere una riottosa, bizzosa, vittimistica, incontentabile paura di essere amati. Ed è soltanto paura di essere gratuitamente amati, ingiustamente amati, cioè male amati.
Profetico ed terribilmente attuale.
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