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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

I Cosacchi che si abbeverano in quel di Mechel-Bruxelles.

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'Sembrava di essere in un regime comunista': il grido di dolore dei vescovi belgi dell'arcivescovado di Mechel-Bruxelles fa davvero pensare. Purtroppo vige ormai la tendenza dei mezzi di informazione a riportare la notizia ma, paradossalmente, a fregarsene delle parole (esempio recente: tutti i telegiornali, ma dico tutti, nel dare l'annuncio della morte di Taricone precisavano che si era 'schiantato' col proprio paracadute, connotando così un'immagine ancor più grandguignolesca della tragedia).

Perché lo 'strazio' dei vescovi fa pensare? Perché dal punto di vista storico non ha senso. Meglio ancora: lo ha se disegniamo un confine ideologico e abbracciamo un ampio spazio di tempo partendo magari da quel 1917 dove la rivoluzione d'ottobre instaurò un vero e proprio clima di terrore contro la Chiesa ortodossa e contro la minoritaria Chiesa cattolica (diceva Lenin: Se il più grande numero dei rappresentanti della borghesia è il clero, si può, con questo pretesto, fucilarlo e ciò sarà la cosa migliore.). Non lo ha se ci limitiamo ad una considerazione di tipo politico-territoriale.

Procediamo con ordine. I vescovi belgi hanno dunque gridato al 'comunismo' e, da un punto di vista strettamente operativo, hanno ragione: la giustizia belga con un'operazione spettacolare, ma fondamentalmente inutile, ha messo sotto sequestro per ben nove ore l'intera conferenza episcopale con l'intento di farsi consegnare materiali e computer in odor di pedofilia.

Al di là poi dell'efficacia del 'sequestro' rimangono comunque le parole. Perché quel 'sembrava di essere in un regime comunista', quando il Belgio non ha mai subìto la dittatura, semmai l'affronto dell'invasione nazista?

Ha senso, allora, il precedente riferimento ad un limite politico-territoriale: passi – per quanto mi renda conta del cinismo di una simile affermazione – la rilevanza storica della persecuzione comunista nei confronti dei cattolici, ma se si 'grida' a soprusi e ad affronti poco rispettosi delle persone, della dignità di uno stato e delle sue diverse componenti allora la riflessione dei vescovi belgi è essenzialmente errata.

Qualcuno obietterà: ma è cercare l'ago nel pagliaio! Forse, ma la valutazione non può non prescindere dalla secolare posizione della Chiesa romana nei confronti del comunismo prima e del nazismo poi.

L'atteggiamento di Pio XII nei confronti del conflitto mondiale fu sempre univoco: da una parte l'indicazione ai cattolici di tutto il mondo di un'obbedienza alle scelte belliche del governo mussoliniano, dall'altra la percezione chiara di una scelta precisa, di una coscienza collettiva che indicava come nemico della chiesa e della civiltà cristiana lo stato sovietico contro il quale si sarebbe indirizzata la guerra italiana a fianco del Terzo Reich.

Non è una novità che pur evidenziando le distanze abissali col nazismo (pensiamo alle prese di posizione di Pio XI e dello stesso Pio XII contro il razzismo antisemita hitleriano) la Chiesa cattolica abbia sempre avuto un atteggiamento di totale censura nei confronti del regime comunista, ma non nei confronti di quello nazista (per non parlare di quello fascista. E' superfluo ricordare le parole di Pio XI che alla firma dei Patti Lateranensi del '29 dichiarò Mussolini 'uomo della Provvidenza'?).

Dunque, se i vescovi belgi volevano gridare all'indignazione, avrebbero dovuto almeno dire: sembrava di essere in un regime nazista! (Perché vissuto e subìto dal popolo belga dal maggio del 1940). Quel riferimento alla parola 'comunismo' la dice ancora lunga sulla secolare posizione della Chiesa cattolica. Forse che l'epiteto 'nazista' avrebbe potuto ferire la sensibilità della magistratura belga? Suvvia, di questi tempi il termine 'comunista' (chiedetelo a Veltroni) sembra offesa ancor maggiore!





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