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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

I gay e i gay morti. Considerazioni su diversità e letteratura.

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Confessiamolo ora: ci sono arrivate mail, alcune civili, altre indignate e "facinorose" per aver trattato male alcuni recenti romanzi gay (tra tutti il Bo di Prendere o lasciare), ma riteniamo che nessuno di noi ha la pretesa di affibbiare la patente di capolavoro o di boiata pazzesca a chicchessia.

Ci premeva però sottolineare alcune stonature di queste "fatiche" e renderle, per quanto ci è possibile, pubbliche e fruibili.

Noi però, con estrema sincerità, siamo anche alla perenne ricerca di una scintilla che alimenti il senso del nostro sentire "di parte", ma che non alimenti dicerie o sesquipedali congetture sull'essere contro a tutti i costi se non addirittura sciorinare un'omo-insostenibilità.

Ecco la nostra risposta a certe valutazioni scriteriate: Camere di combustione di David Levinson, editore Gaffi.

Non è di facile reperibilità il volume, ma cercatelo, è un consiglio spassionato. Uno dei libri più belli ed intriganti del 2007 che illumina gli inizi del 2008. L'autore è un giovane scrittore americano che finora ha pubblicato soltanto racconti (il suo primo romanzo è in preparazione). E questi sono effettivamente nove racconti. Splendidi (tranne l'ultimo, sì coerente, ma segnato da una "consuetudine" ambientale che fa arricciare un po' il naso, ma su cui torneremo alla fine).

Da un po' di tempo però m'incisto con le traduzioni e soprattutto coi titoli tradotti e traditi. Questo ne è un esempio: un bellissimo e carveriano Most of us are here against our will, diventa inopinatamente Camere di combustione. Quando finirete di leggere l'antologia capirete che la scelta dell'editore italiano è cieca e sottrae intellegibilità. Ma lui, in genere nessuno lo fa, si giustifica caricando il senso: Camere di combustione mi è sembrato attagliarsi perfettamente ai nove racconti, dove l'elemento di accelerazione è strumentale alla scelta di annullare il divario fra il vero e il sembiante.

Tranquilli è una stupidaggine: nel libro le cose sono davvero come sono e questo divario non esiste, ma spesso per presentare un'opera si dilata il senso comune dei significati, storpiandolo a dismisura (come quando si presentano i libri di poesia: ma voi, onestamente, ci capite mai qualcosa?).

L'unica direzione da dare a queste storie è quella di una incompatibilità tra essere umani che mette a repentaglio ogni forma lecita di confronto, pur nell'incrollabile convinzione che sia indispensabile: Sapevo allora che c'erano cose peggiori dell'infedeltà, peggiori anche dello scappare dall'amore: la rinuncia del certo per la promessa dell'incerto. Un accordo più saldo, un sorriso più vincente. Pag. 85.

Ma le vicende dei personaggi di Camere di combustione sono davvero al limite del vivibile, scosse come sono da telluriche incomprensioni che ne minano sin da subito la fattibilità.

C'è un filo conduttore seppur semi-nascosto all'inizio e che ci serve da aggancio al cappello: l'omosessualità. E questo filo conduttore, miracolo!, è una traccia, non l'elemento fondante; dove la gayezza degli attori ruota attorno alle vicende, e non il contrario. Capite la rivoluzione?

Era tempo che si aspettava una direzione prospettica del genere. Via gli stereotipi, via le frocerie d'antan, via le tristezze da marciapiede, ancor di più i lutti generazionali di una comunità da sé stessa vilipesa. Qui c'è la omosessualità come corpo sociale innato, immanente. Qui c'è una condizione simile e diversa, ma diversa non nell'esposizione di sé e dei difettucci fashion e merceologici. Qui c'è la vita, per dio, per come deve essere presa e vissuta.

Non solo: si discetta sul "genere" e lo si condanna, senza mezzi termini: Gli uomini portano il lutto in maniera diversa, ha letto, entrandovi dentro invece di distaccarsene. Mentre il lutto nella donna è fisso all'interno del proprio corpo, nell'uomo si rispecchia nella postura, nei suoi vestiti. Pag. 153.

Parlavamo dell'ultimo racconto che ci sembrava poco riuscito (Qualche parola su mio figlio), quello in cui un uomo va a New York per rendere omaggio alla salma di suo figlio morto improvvisamente, ma nell'ossessione di ca(r)pire il suo stile di vita, finisce in un locale gay e scambiando un ragazzo per il fantasma del proprio lo rimorchia senza rendersene conto.

Qui s'affaccia lo "stampo" che infastidisce, quel sentire comune (tra i gay, ovvio) che è ormai stantia rappresentazione di se stessi, quel simulacro di morte che apparentemente rende liberi (liberi di morire?) ma rende schiavi di situazioni e cliché.

Ma Levinson sono certo che sa di questo pericolo, lo avverte, e nella rappresentazione di un vissuto "comune" si slaccia comunque. La sua letteratura è alta cognizione del dolore, vissuta nel disorientamento quotidiano che non regala certezze. E verrebbe da dire, né da una parte e né dall'altra.

Ecco perché non ci (mi) piace la letteratura gay italiana (ma nemmeno quella internazionale, piena di "facili" costumi e costumanze). Ecco perché abbiamo (ho) detestato (lo so, è troppo, ma è la verità) gli schizzetti autoriali di un Cotroneo (ma via!), di un Bo (per carità) e di un Reim stagionato, precocemente invecchiato e riproposto (su questo torneremo ad hoc), le poesie incomprensibili e pacchiane di Vendola, gli sperimenti sudaticci di Veneziani. Perché sanno di morte. Perché offrono una visione mortifera dell'esistenza e dei suoi "trucchi", senza svelare la vera natura del male di vivere. Che non si acquisisce per accumulo (gli accumuli della futilità "diversamente" divertente e imbalsamata), ma per sottrazione.

Mi raccomando, cercate il libro, è prezioso, nonostante un titolo penoso ed un appunto editoriale che ne vuole certificare, ahimé, la giustezza. Ma all'editore stavolta si perdona il misfatto per aver presentato un'opera coi fiocchi.



David Levinson

Camere di combustione

Gaffi Editore

Pag.253 Euro 14,00







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