ATTUALITA'
Alfredo Ronci
I poeti mi fanno vomitare
Intendiamoci, non i Poeti, ma i poeti, quella sorta di casta noiosa e autoreferenziale, che invade le nostre piccole e grandi città con convegni e reading in cui si perde il senso non solo della parola, ma della realtà. In questo magma, in realtà grumo di ghiaccio per la mancanza assoluta di tensione ed emotività, si distinguono le poetesse, maitresses (plurale) della nullità che scambiano il mondo delle percezioni per un corso di ceramica, o al più, per quelle che reputansi 'chic' e con 'l'elan', per un corso di Qi Gong.
Chiedo spesso in giro, tra amici e poveri cristi, che qualcuno mi indichi un nome, solo uno, in questo sabba di indiavolate che versicolano, ma ahimé, non m'è giunto sinora nemmeno un suggerimento, dato magari sottovoce. Quelli che credono di andar sul sicuro si rifugiano nella poetessa dei Navigli, Alda Merini, che per carità, considerati pure i trascorsi e i dolori, qualche verso l'ha pure azzeccato, ma presa in 'toto' rivela, ad un orecchio più attento, insulse cadute e ridicolaggini da fungo fregnacciaro.
Non stanno bene, è evidente. Poetesse e poeti. Quest'ultimi poi han perso pure il privilegio della Casta: ormai basta uno sbadiglio di persona influente e famosa perché si elevino odi e peana al 'nuovo' rapsodiante.
Metti il caso di Luciano Violante, sì lui, l'ex magistrato, l'ex presidente della Camera, e l'ex un po' di tutto tranne quando gigioneggia sulla necessità di un rappacificamento delle coscienze. In una recente pubblicazione piemme Viaggio verso la fine del tempo. Apocalisse di Lilith (titolo fregno, no?) lui verseggia così:
Lo attendeva
una moltitudine
di persone
esultanti
che agitava
rami di ulivo
foglie di palma
e scialli colorati.
A parte l'evidente somiglianza con l'arte 'bondiana', ma è come se, per farmi fico, scrivessi:
'Perché Violante
Invece di
Scrivere poesie
Non s'industria
Con la Costituzione
Che forse
Gli riesce
Meglio?'
Ma insiste:
Glieli restituii
con un sorriso
guardandolo
negli occhi
che mi sfuggivano.
ma come è accaduto
gli sfuggì un sospiro
che sei già ritornato.
Essendo Viaggio verso la fine del tempo. Apocalisse di Lilith un romanzo(??) in versi e 'in primo luogo una riflessione sulla condizione femminile e una celebrazione della sofferenza muta delle donne nelle grandi catastrofi della storia' (così recitava la presentazione fatta a Torino), il sommo vate versicola in siffatta maniera:
Forse
gli uomini
temono le donne
perché noi
diamo
la vita
mentre
loro
la tolgono.
Sarà...
Altro poeta immaginifico è l'inarrivabile Maurizio Cucchi, che ha l'unico alibi, per salvarsi, di non essere né politico, né personaggio famoso, ma solo ed unicamente uno sfigatissimo poeta nel senso 'primo' della parola.
Ultimamente 'sbrodola' su riviste per fighetti. Nella rubrica 'Zona critica' del Venerdi di Repubblica del 26 agosto appena passato, se la prende, ma giustamente, con quell'allegro fuori di testa di Allevi, affermando, con cognizione di causa, che non comprende il fenomeno, augurandosi nello stesso tempo di ascoltare altri prodotti del maestro (è ovviamente sarcasmo).
Fin qui pace: poi esonda. Affermando (confesso sentendomi colpevole) di non aver mai amato né i Beatles né i Rolling Stones (ce ne faremo una ragione) e definendo il suono contemporaneo (quello da classifica no?) musica per incudine e martello.
Comprendo la necessità del Vate di metter steccati e di subliminar l'istanze (con un brividino, anzi 'frisson' suggerirei una pronuncia alla francese, 'istonze' come l'ispettore Closeau) della cultura alta in opposizione a quella bassa (Arbasino insegna), ma lui, nei suoi componimenti, si esprime così: No, non posso ancora | vestirmi da donna. Non è il mio abito | che cambia la mia anima. Oppure: Chissà se l'hai incontrata in giro / quella ragazza dallo strano nome, / Leonisa, studentessa, la figlia / della contessina grassa, la figlia / di tuo padre.
Oppure: Avessi visto invece, come nell'album / delle figurine, la nobiltà del ferro / giovane, abbagliante. Il ferro rosso / di fuoco o bianco incandescente, il ferro / nero freddo, e un gusto forte / di ferro, un odore aspro / di ferro.
E ciliegina sulla torta: Acceso è azzurro opaco azzurro/ Ovvio azzurro che sfuma / Nell'azzurro azzurro che non amo / Ma ormai mi piace azzurro aperto / Azzurro chiuso azzurro inizio / Azzurro fine.
Ora se proprio vogliamo concionare su incudine e martello, magari con una preferenza per quest'ultimo, chi meriterebbero una martellata sulle gengive, quelli che ascoltano musica da classifica o certi poetastri della domenica che con la scusa dell'intellettualismo di grido partoriscono versi che assomigliano ai peti da coliche intestinali?
Chiedo spesso in giro, tra amici e poveri cristi, che qualcuno mi indichi un nome, solo uno, in questo sabba di indiavolate che versicolano, ma ahimé, non m'è giunto sinora nemmeno un suggerimento, dato magari sottovoce. Quelli che credono di andar sul sicuro si rifugiano nella poetessa dei Navigli, Alda Merini, che per carità, considerati pure i trascorsi e i dolori, qualche verso l'ha pure azzeccato, ma presa in 'toto' rivela, ad un orecchio più attento, insulse cadute e ridicolaggini da fungo fregnacciaro.
Non stanno bene, è evidente. Poetesse e poeti. Quest'ultimi poi han perso pure il privilegio della Casta: ormai basta uno sbadiglio di persona influente e famosa perché si elevino odi e peana al 'nuovo' rapsodiante.
Metti il caso di Luciano Violante, sì lui, l'ex magistrato, l'ex presidente della Camera, e l'ex un po' di tutto tranne quando gigioneggia sulla necessità di un rappacificamento delle coscienze. In una recente pubblicazione piemme Viaggio verso la fine del tempo. Apocalisse di Lilith (titolo fregno, no?) lui verseggia così:
Lo attendeva
una moltitudine
di persone
esultanti
che agitava
rami di ulivo
foglie di palma
e scialli colorati.
A parte l'evidente somiglianza con l'arte 'bondiana', ma è come se, per farmi fico, scrivessi:
'Perché Violante
Invece di
Scrivere poesie
Non s'industria
Con la Costituzione
Che forse
Gli riesce
Meglio?'
Ma insiste:
Glieli restituii
con un sorriso
guardandolo
negli occhi
che mi sfuggivano.
ma come è accaduto
gli sfuggì un sospiro
che sei già ritornato.
Essendo Viaggio verso la fine del tempo. Apocalisse di Lilith un romanzo(??) in versi e 'in primo luogo una riflessione sulla condizione femminile e una celebrazione della sofferenza muta delle donne nelle grandi catastrofi della storia' (così recitava la presentazione fatta a Torino), il sommo vate versicola in siffatta maniera:
Forse
gli uomini
temono le donne
perché noi
diamo
la vita
mentre
loro
la tolgono.
Sarà...
Altro poeta immaginifico è l'inarrivabile Maurizio Cucchi, che ha l'unico alibi, per salvarsi, di non essere né politico, né personaggio famoso, ma solo ed unicamente uno sfigatissimo poeta nel senso 'primo' della parola.
Ultimamente 'sbrodola' su riviste per fighetti. Nella rubrica 'Zona critica' del Venerdi di Repubblica del 26 agosto appena passato, se la prende, ma giustamente, con quell'allegro fuori di testa di Allevi, affermando, con cognizione di causa, che non comprende il fenomeno, augurandosi nello stesso tempo di ascoltare altri prodotti del maestro (è ovviamente sarcasmo).
Fin qui pace: poi esonda. Affermando (confesso sentendomi colpevole) di non aver mai amato né i Beatles né i Rolling Stones (ce ne faremo una ragione) e definendo il suono contemporaneo (quello da classifica no?) musica per incudine e martello.
Comprendo la necessità del Vate di metter steccati e di subliminar l'istanze (con un brividino, anzi 'frisson' suggerirei una pronuncia alla francese, 'istonze' come l'ispettore Closeau) della cultura alta in opposizione a quella bassa (Arbasino insegna), ma lui, nei suoi componimenti, si esprime così: No, non posso ancora | vestirmi da donna. Non è il mio abito | che cambia la mia anima. Oppure: Chissà se l'hai incontrata in giro / quella ragazza dallo strano nome, / Leonisa, studentessa, la figlia / della contessina grassa, la figlia / di tuo padre.
Oppure: Avessi visto invece, come nell'album / delle figurine, la nobiltà del ferro / giovane, abbagliante. Il ferro rosso / di fuoco o bianco incandescente, il ferro / nero freddo, e un gusto forte / di ferro, un odore aspro / di ferro.
E ciliegina sulla torta: Acceso è azzurro opaco azzurro/ Ovvio azzurro che sfuma / Nell'azzurro azzurro che non amo / Ma ormai mi piace azzurro aperto / Azzurro chiuso azzurro inizio / Azzurro fine.
Ora se proprio vogliamo concionare su incudine e martello, magari con una preferenza per quest'ultimo, chi meriterebbero una martellata sulle gengive, quelli che ascoltano musica da classifica o certi poetastri della domenica che con la scusa dell'intellettualismo di grido partoriscono versi che assomigliano ai peti da coliche intestinali?
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