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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

Il Novecento nei ricordi di Angelo Del Boca. E la sua 'resistenza'.

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L'arte del vittimismo spesso è perniciosa e noiosa. In quest'era di nullità e vuoto 'pneumatico' piangersi addosso spesso è sport, ma anche suprema necessità. Noi orchi ormai piangiamo da anni, a causa dell'inutilità dell'informazione e della cultura in genere. Non salviamo più nessuno: media, eventi, premi letterari, campagne pubblicitarie, scrittori, scrittrici (per il sottoscritto è obbligatoria la distinzione se qualcuno obiettasse che l'arte dello scrivere è neutra e prescinde i generi. No, e mi assumo tutte le responsabilità di quello che dico, il novanta per cento di quello che scrivono le donne è inutile poltiglia, surrogati di intenti diaristici da casalinghe disperate. I maschi fanno schifo, per altre ragioni, ma nella loro inutile difesa corporativista e quindi culturale, ogni tanto qualcosa azzeccano, convinti però dell'assoluto valore dei propri lavori: cretini, per non dire blasfemi).

E gli editori sono convinti che per azzeccare il colpo c'è bisogno della recidiva, della fotocopiatura del miracolo editoriale (che non è mai programmato: qualcuno, al di là delle rimaneggiature continue, avrebbe scommesso mai su La solitudine dei numeri primi? Non credo, è stato solo culo). Quindi immaginate il panorama: l'esperto scommette sulla riproduzione fotostatica del nulla, perché il nulla è vincente.

Io suggerirei di non leggere più, ma mi sembra invito pericoloso e banale (così facciamo la fine della madonnina di Lourdes delle imbeccate libresche, tale Giovanna Zucconi da Chetempochefa, che una volta ci provò a dirla uguale, per poi perdersi successivamente in consigli per gli acquisti presi dal discount culturale della porta accanto). Ma sarebbe però opportuno prescindere dal mercato editoriale che ha trasformato le offerte in un mostruoso compartimento stagno dove le caselle sono definite e se qualcuno s'azzarda ad uscirne rischia l'anonimato.

Che ti puoi permettere di scrivere un noir che in fondo non è noir? E come se la cava poi Lucarelli, nello strillo di copertina, a qualificarlo? Che ti puoi permettere di tuffarti nella contemporaneità senza una citazione canzonettistica o un refrain mocciano? E come se la cava poi l'adolescente se gli vengono meno gli addentellati letterari? Che ti puoi permettere di scrivere classico senza quell'aura di noioso neo-neorealismo? E come se la cavano le pagine culturali dei quotidiani sempre in cerca dell'erede di, dell'epigono della scuola di, del successore del movimento di, del discepolo del maestro di? Che ti puoi permettere di scriverti addosso e di farlo con estrema sincerità senza l'avallo dell'habitat? E come se la cava poi il critico se gli manca l'aggancio alla frustrazione metropolitana o l'ammorbante retroterra della provincia italiana che si sa, tranne eccezioni, rappresenta comunque l'humus ideale per comprendere come va il mondo?

Che ti puoi permettere di scrivere un romanzo 'gayo' senza cadere nella faciloneria tutta contemporanea del fighettino di formazione se non addirittura nel suo contrario, e cioè la sessualità vista dal buco della serratura parrocchiale? E come se la cava poi l'intellettualismo frociarolo che lo privi dell'appiglio dell'appartenenza collettiva?

Se fossi Bondi e se ne avessi la possibilità, chiuderei le librerie. Lo so è una boutade: già il ministro dei beni culturali è una boutade, ma sarebbe necessario un repulisti perché come diceva Nietzsche... la morale in Europa oggi è la morale del branco.

Per fortuna che in questo nostro personale cahier de doléance c'è spazio per un rinsavimento e per una lucciola che nonstante la dimensione, fa luce portentosa nel buio assoluto delle menti distrutte dalla pazzia (tié! Beccatevi pure la citazione ginsberghiana).

Mi riferisco alla riproposizione di una gran bella edizione: Il mio Novecento di Angelo Del Boca (1). Dice il più grande storico del colonialismo: Il libro che ha richiesto il massimo impegno è stato proprio il presente volume, pubblicato in forma ridotta con il titolo 'Un testimone scomodo'. Come ho già riferito nell'Introduzione, si tratta di un bilancio della mia vita, vale a dire un riesame attento e minuzioso di 75 anni, condotto con grande franchezza, anche a costo di autoflagellazioni.

Diciamocelo: questo 'bilancio della vita' è innanzitutto una gran bella opera letteraria, con una scrittura densa, mai banale, che pur nell'assoluto rispetto delle condizioni storiche, si apre a momenti intimi e personali di assoluta liricità.

E c'è di più (e finalmente, per una volta tanto, sono d'accordo con la quarta di copertina): che non è affatto vero, come pretendono oggi i cantori del revisionismo storico, che nel Novecento sia naufragata, insieme con tutti i messianismi, anche ogni possibilità di schierarsi dalla parte giusta. Qui si narra di una vita che non ha fatto altro che semplicemente questo.

E quel 'semplicemente' è davvero indicativo, dà il senso di un'appartenenza che le diverse ideologie non possono scalfire: la ricerca storica in Del Boca è un tentativo di ristabilire sì la verità (solo dopo trent'anni il 'grande' Montanelli – ormai sulla via della santificazione giornalistica solo perché oppositore di Berlusconi negli ultimi anni – di fronte alla montagna di documentazioni ammise l'uso dei gas in Africa ma non rinunciò mai all'idea del colonialismo fascista più 'buono' rispetto ad altri), ma crediamo sia innanzi tutto uno sforzo tutto personale di restituire credito e dignità alle persone che subiscono le tragedie, in quanto loro stesse testimoni imprescindibili degli eventi. Ma, come si diceva prima, con dei distinguo che la barbarie di oggi tende a smussare: Come si può porre sullo stesso piano i carnefici e le loro vittime, come vorrebbero i sostenitori di una riconciliazione a tutti i costi? Si può cercare di capire le scelte dei nostri avversari, si possono pure perdonare i soprusi e gli eccidi, ma non si può stravolgere e falsificare la storia (pag. 309).

So che queste parole irriteranno qualcuno, ma in Del Boca le frasi non sono un asfittico proclama, sono la conseguenza inevitabile di un discorso politico e finemente intellettuale: non si spiegherebbero altrimenti le sue prese di posizioni sulla ipocrisia occidentale durante la crisi degli inizi degli anni sessanta: Si sostiene, per esempio, che a Berlino l'Occidente sta difendendo i propri valori. Ma ad un attento esame, si scopre che a Berlino vengono difesi, oltre che i valori tradizionali dell'Occidente, anche il militarismo e il revanchismo dei tedeschi, il colonialismo francese e portoghese, L'Occidente a Berlino è giocoforza rappresentato anche da Franco e Salazar. (Pag. 209). E non si spiegherebbe la lucida analisi di un problema che oggi è all'ordine del giorno e che allora era già emergenza: Come d'abitudine , all'interno della FIAT è proibito morire. Anche se un operaio si riduce in cenere dentro unforno Martin o precipita dall'alto di una ciminiera, per il buon nome dell'azienda è costretto a morire fuori dal recinto, che è sacro, inviolabile e che neppure la morte può varcare (Pag. 167). Questo passaggio non ricorda forse la tragedia della ThyssenKrupp o tutte le morti di extracomunitari che avvengono puntualmente il primo giorno della loro assunzione?

E non si spiegherebbe la limpida disamina di un'informazione di cronaca che la si vuole d'emergenza in tutti i casi e che in realtà è 'solo'il risultato delle semplici dinamiche del vivere quotidiano: Le cronache di cui mi occupo dicono di una donna giunta dalle Puglie che al terzo giorno si getta in Po. Dicono di un giudice che si uccide per il dubbio di aver condannato un innocente. Di un marito geloso che impazzisce e si accovaccia nel canile. Di una ragazza che si veste a lutto e si avvelena perché un uomo le ha mancato di rispetto. (...) Ma ancora non ho trovato una tecnica nuova per affrontare il dolore. (Pag. 162-163).

Ecco di quale sostanza è fatta questo grande libro: di una 'gaddiana' cognizione del dolore, di una resistenza (parola quanto meno appropriata in questo contesto) al luogo comune e alla massificazione delle coscienze.

Del Boca non è solo il più grande storico del colonialismo italiano: è stato un partigiano, è stato ed è un antifascista, è stato un cronista di quotidiani, è stato un inviato speciale e per un momento della sua vita ha provato (senza riuscirci) ad essere un uomo politico (candidato nelle liste dei ds fu trombato alla prima candidatura... esempio anche della lungimirante capacità di una 'certa' classe politica). Ed è un grande scrittore. Perché, come si diceva prima, Il mio Novecento, al di là dell'importanza testimoniale del volume, è uno squisito ritratto lirico e letterario del 'suo' e nostro tempo.

Mi chiedo allora: è un segno dei tempi che uno dei libri più belli degli ultimi anni sia dovuto ad uno storico e non ad un romanziere? Pensiamoci , su!





(1) Angelo Del Boca - Il mio Novecento – Neri Pozza – 2008 – Pag. 571 –Euro 19,00





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