ATTUALITA'
Alfredo Ronci
Il femminismo di Goffredo Fofi e l'arte di arrangiarsi femminile come avanzamento sociale
E' curioso come in due articoli ben distinti Goffredo Fofi, molto recentemente e sulle pagine dell'inserto domenicale dedicato ai libri de Il sole 24 ore, abbia affrontato il tema del femminismo. In un caso ponendo l'attenzione sulla ristampa, per l'Universale Economica Feltrinelli, del libro di Ballard Il paradiso del diavolo, dove a disdoro dello scrittore, lo si accusa di becero antifemminismo proponendo una figura di donna, Barbara la protagonista, che persegue la costruzione di un universo chiuso attraverso una strategia durissima di conquista, manipolazione e trasformazione degli indivui, soprattutto maschili.
Nell'altro caso, recensendo una nuova antologia dedicata a Daphne du Maurier. Pochi sanno che la scrittrice inglese, morta poi a Parigi, fu l'ispiratrice di due grandi pellicole di Hitchcock e precisamente Rebecca la prima moglie e Gli uccelli.
Il libro, appunto Gli uccelli e altri racconti (Il Saggiatore) è l'occasione perché il Fofi nazionale disquisisca ancora di femminismo, anzi, considerando la data di nascita della du Maurier (1907), di protofemminismo e che addirittura, a proposito di un racconto, Baciami ancor sconosciuto del 1946, elogi la perfetta equidistanza politica dell'autrice in un momento immediatamente successivo alla fine della guerra.
Riteniamo a questo punto che il problema della condizione femminile sia una specie di tarlo per il nostro caro intellettuale. Perché allora non suggerirgli la lettura di un brillante saggio di Giovanna Fiume, Mariti e pidocchi (1) incentrato sulla storia di un processo ad un gruppo di donne e sull'uso di un aceto pericolosissimo?
Veniamo al dunque : nella Palermo di fine settecento, Giovanna Bonanno, una vecchia vedova e mendicante, conosciuta come 'la vecchia dell'aceto', vende la sua acqua miracolosa ad alcune donne desiderose di disfarsi dei propri mariti.
Come si suggerisce, molto acutamente, già la quarta di copertina, una sorta di divorzio non consensuale, ma interpretato come magia o stregoneria e largamente tollerato.
L'analisi della Fiume però va oltre: nella vicenda e nella successiva soluzione del caso, soprattutto dal punto di vista degli esiti giuresprudenziali, si pone l'accento sulla 'tresca', sull'adulterio come forma di avanzamento sociale delle donne e sul potere maschile invasivo che non ammette deviazioni di sorta.
Siamo più chiari: sarebbe interessante, sempre dal punto di vista storico, studiare il progressivo disfacimento, già dall'età che stiamo considerando, ma anche per periodi precedenti, dell'idea nucleare della famiglia. In un recente e bellissimo libro di Adriano Prosperi (che noi Orchi abbiamo molto opportunatamente presentato ai lettori) Dare l'anima (Einaudi), la vicenda di una donna che abortiva volutamente e in seguito uccideva il neonato, era il segno inconfondibile di una sorta di resistenza femminile all'autorità maschile, paterna e maritale, ma anche a quella ecclesiastica e laica. L'infanticidio dunque come arma non solo di risposta ad uno stupro subìto (la donna fu violentata e messa incinta da un prete durante i festeggiamenti di un Carnevale), ma anche come grido di dolore per una condizione asservita e frustrante.
L'arma che usano le donne nella storia di Giovanna Fiume è diversa, ma complementare: 'eliminare' i propri mariti con un veleno 'fabbricato' da una sorta di megera del posto, è una sorta di rottura totale: Queste donne usano la sessualità come risorsa, dicevo prima, finalizzata per lo più alla loro mobilità sociale. Le loro scelte e le loro norme di comportamento sono ispirate a una non indifferente capacità di iniziativa personale, in grado di valicare limiti (l'assenza di divorzio) e di travolgere ostacoli (la presenza dei mariti) (pag. 146).
Ma è, come si diceva poc'anzi, nella risposta giurisprudenziale del 'maschio' che si connota ancora di più la reale portata rivoluzionaria del gesto delle donne (piccola curiosità: nel gruppo delle avvelenatrici c'è un solo avvelenatore): l'anziana dispensatrice di veleno sarà impiccata, pene minori alle vere esecutrici dei misfatti, e pena ancora minore all'unico 'uomo'. Dove l'atto di giustizia, pur influenzato dalle idee dell'illuminismo che trasforma tutto l'armamentario da pratica magica a vero e proprio veneficio, rivela la sua connotazione 'classista'? Proprio nell'idea che la possibilità di una reiterazione del misfatto possa in qualche modo minare le basi di una società millenaria. L'aggressione femminile priva l'uomo del suo potere e non può perciò essere ammessa (Pag.259).
Mariti e pidocchi è un libro compiuto ed accattivante, storicamente ineccepibile e stuzzicante che tratteggia una società per certi versi lontana, ma spesso vicina per comunanza sociologica (la 'tolleranza' sui delitti, l'assistenza familiare, il ruolo del vicino come 'spalla' sono elementi che spesso s'avvertono ancora nei casi di cronaca nera dei nostri giorni). E' un libro che richiama fortemente l'attenzione sulla condizione femminile (Fofi, suvvia, che aspetti a leggerlo?), ma attraverso un episodio che potrebbe avere l'aura del politicamente 'scorretto' rivela invece soltanto gli spazi 'risicati' attraverso i quali le donne potevano contenere lo strapotere maschile.
E a proposito del politicamente scorretto. L'anno scorso tra le uscite cinematografiche più sfiziose c'era un film del regista tedesco Sam Garbaski, esattamente Irina Palm, dove la protagonista, una splendida e 'fiscamente' trasformata Marianne Faithfull, per racimolare i soldi che servono al nipotino affetto da una grave malattia genetica, accetta di svolgere un lavoro inusuale: quella di fare le seghe in un locale porno. La 'volgarità' del suo agire si trasforma ben presto in una routine che non solo è rivolta a un buon fine ma che, al contempo, la rende consapevole di un appeal che pensava di non avere più. Alla fine contro il moralismo della gente che gli sta attorno, ottiene la fiducia del figlio, della nuora e del manager del locale che s'innamora di lei.
Ma è davvero 'normale' che il riscatto di una donna debba passare per un infanticidio, per un uxoricidio e per pratiche sessuali atte unicamente al piacere del maschio? Forse c'è davvero qualcosa che non va, anche ai nostri giorni.
(1) Giovanna Fiume – Mariti e pidocchi – Edizioni XL – Pag. 275 Euro 15,00
Nell'altro caso, recensendo una nuova antologia dedicata a Daphne du Maurier. Pochi sanno che la scrittrice inglese, morta poi a Parigi, fu l'ispiratrice di due grandi pellicole di Hitchcock e precisamente Rebecca la prima moglie e Gli uccelli.
Il libro, appunto Gli uccelli e altri racconti (Il Saggiatore) è l'occasione perché il Fofi nazionale disquisisca ancora di femminismo, anzi, considerando la data di nascita della du Maurier (1907), di protofemminismo e che addirittura, a proposito di un racconto, Baciami ancor sconosciuto del 1946, elogi la perfetta equidistanza politica dell'autrice in un momento immediatamente successivo alla fine della guerra.
Riteniamo a questo punto che il problema della condizione femminile sia una specie di tarlo per il nostro caro intellettuale. Perché allora non suggerirgli la lettura di un brillante saggio di Giovanna Fiume, Mariti e pidocchi (1) incentrato sulla storia di un processo ad un gruppo di donne e sull'uso di un aceto pericolosissimo?
Veniamo al dunque : nella Palermo di fine settecento, Giovanna Bonanno, una vecchia vedova e mendicante, conosciuta come 'la vecchia dell'aceto', vende la sua acqua miracolosa ad alcune donne desiderose di disfarsi dei propri mariti.
Come si suggerisce, molto acutamente, già la quarta di copertina, una sorta di divorzio non consensuale, ma interpretato come magia o stregoneria e largamente tollerato.
L'analisi della Fiume però va oltre: nella vicenda e nella successiva soluzione del caso, soprattutto dal punto di vista degli esiti giuresprudenziali, si pone l'accento sulla 'tresca', sull'adulterio come forma di avanzamento sociale delle donne e sul potere maschile invasivo che non ammette deviazioni di sorta.
Siamo più chiari: sarebbe interessante, sempre dal punto di vista storico, studiare il progressivo disfacimento, già dall'età che stiamo considerando, ma anche per periodi precedenti, dell'idea nucleare della famiglia. In un recente e bellissimo libro di Adriano Prosperi (che noi Orchi abbiamo molto opportunatamente presentato ai lettori) Dare l'anima (Einaudi), la vicenda di una donna che abortiva volutamente e in seguito uccideva il neonato, era il segno inconfondibile di una sorta di resistenza femminile all'autorità maschile, paterna e maritale, ma anche a quella ecclesiastica e laica. L'infanticidio dunque come arma non solo di risposta ad uno stupro subìto (la donna fu violentata e messa incinta da un prete durante i festeggiamenti di un Carnevale), ma anche come grido di dolore per una condizione asservita e frustrante.
L'arma che usano le donne nella storia di Giovanna Fiume è diversa, ma complementare: 'eliminare' i propri mariti con un veleno 'fabbricato' da una sorta di megera del posto, è una sorta di rottura totale: Queste donne usano la sessualità come risorsa, dicevo prima, finalizzata per lo più alla loro mobilità sociale. Le loro scelte e le loro norme di comportamento sono ispirate a una non indifferente capacità di iniziativa personale, in grado di valicare limiti (l'assenza di divorzio) e di travolgere ostacoli (la presenza dei mariti) (pag. 146).
Ma è, come si diceva poc'anzi, nella risposta giurisprudenziale del 'maschio' che si connota ancora di più la reale portata rivoluzionaria del gesto delle donne (piccola curiosità: nel gruppo delle avvelenatrici c'è un solo avvelenatore): l'anziana dispensatrice di veleno sarà impiccata, pene minori alle vere esecutrici dei misfatti, e pena ancora minore all'unico 'uomo'. Dove l'atto di giustizia, pur influenzato dalle idee dell'illuminismo che trasforma tutto l'armamentario da pratica magica a vero e proprio veneficio, rivela la sua connotazione 'classista'? Proprio nell'idea che la possibilità di una reiterazione del misfatto possa in qualche modo minare le basi di una società millenaria. L'aggressione femminile priva l'uomo del suo potere e non può perciò essere ammessa (Pag.259).
Mariti e pidocchi è un libro compiuto ed accattivante, storicamente ineccepibile e stuzzicante che tratteggia una società per certi versi lontana, ma spesso vicina per comunanza sociologica (la 'tolleranza' sui delitti, l'assistenza familiare, il ruolo del vicino come 'spalla' sono elementi che spesso s'avvertono ancora nei casi di cronaca nera dei nostri giorni). E' un libro che richiama fortemente l'attenzione sulla condizione femminile (Fofi, suvvia, che aspetti a leggerlo?), ma attraverso un episodio che potrebbe avere l'aura del politicamente 'scorretto' rivela invece soltanto gli spazi 'risicati' attraverso i quali le donne potevano contenere lo strapotere maschile.
E a proposito del politicamente scorretto. L'anno scorso tra le uscite cinematografiche più sfiziose c'era un film del regista tedesco Sam Garbaski, esattamente Irina Palm, dove la protagonista, una splendida e 'fiscamente' trasformata Marianne Faithfull, per racimolare i soldi che servono al nipotino affetto da una grave malattia genetica, accetta di svolgere un lavoro inusuale: quella di fare le seghe in un locale porno. La 'volgarità' del suo agire si trasforma ben presto in una routine che non solo è rivolta a un buon fine ma che, al contempo, la rende consapevole di un appeal che pensava di non avere più. Alla fine contro il moralismo della gente che gli sta attorno, ottiene la fiducia del figlio, della nuora e del manager del locale che s'innamora di lei.
Ma è davvero 'normale' che il riscatto di una donna debba passare per un infanticidio, per un uxoricidio e per pratiche sessuali atte unicamente al piacere del maschio? Forse c'è davvero qualcosa che non va, anche ai nostri giorni.
(1) Giovanna Fiume – Mariti e pidocchi – Edizioni XL – Pag. 275 Euro 15,00
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