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Eleonora Del Poggio

Il luogo del giallo

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Non lo dite a nessuno, ma sono una fan di Un posto al sole. Quella soap italico-napoletana che si svolge in una città apparentemente linda e pinta, dove non esiste la camorra, ma solo qualche delinquentello da strada, dove non c'è puzza di immondizia, dove per fortuna non si vedono nemmeno la Jervolino o il presidente Bassolino e dove la centralità del consesso umano è dato dalle vicissitudini di un condominio assai elegante che da direttamente sul mare. Ma l'elemento catalizzatore di intrighi e disgrazie, sorta di perenne deus ex machina, è un piccolo bar, gestito da uno dei personaggi principali: vi accade di tutto e gli attori, nel bene o nel male, sanno che lì avviene l'ineludibile e l'inusitato, l'imbroglio e la cornificatio, il dramma e la passione. E proprio perché consci del fattore "accelerante" del locale i protagonisti vi ci sbattono grugni e chiappe.

Perché m'immolo a questa specie di glorificazione del nulla? Perché mi da la stura per parlare di una vexata questio che sarebbe il caso poi di abbandonare definitivamente, perché se ne hanno le palle piene: la differenza tra giallo e noir.

Se ne sono dette di tutti i colori e Chandler, per primo, si è sbarazzato dei cimeli ingombranti del mobilio "giallo" asserendo che se di crimini vuoi parlare, alla strada ti devi dare (giammai fu istigazione alla prostituzione, ma vera e propria rivoluzione letteraria).

Certo è che alla divergenza citata, tanto per farsi del male, se ne sono aggiunte altre che limano la materia creando suggestivi innesti. Ma poliziesco è lo stesso che noir? (in fondo i francesi parlano di polar). Ma il noir è davvero espressione di strada o estrinsecazione del punto di vista del carnefice? Giallo dunque come vittima e noir come carnefice?

Ma il maresciallo Rocca può competere con I racconti del Maresciallo di Mario Soldati? (dubbio sorto, lo confesso, solo a me, ma tanto per imbrogliar matasse). Ma il nero è solo metropolitano e quindi la provincia che inferiore è per natura e toponomastica, stinge di suo e diventa grigia? Ma il movimento neo-noir è la cosa più scema che sia mai stata fatta?

Gessummio che roba.

Tant'è: ma quando meno te lo aspetti, per le tortuose sinapsi del cervello s'insinua all'improvviso la certezza che dentro questo buio inferno ci son modi e tempi per rivedere le stelle (in fondo di cosa stiamo parlando? Dello sbrogliar pasticciacci e trovare soluzione convincente).

Infatti, dopo personale lettura di La briscola in cinque (Sellerio) del pisano Marco Malvaldi sono venuta alla conclusione che la differenza tra noir e giallo è il luogo. Luogo mondo per il primo, orticello coltivato a cavoli per il secondo.

Mi sembra d'obbligo scoprir le carte, ma solo dopo aver giustamente raccontato la trama della suddetta storia e solo poi avanzar di riflessione.

In poche righe: ragazza benestante viene trovata in un cassonetto, morta, e in stato interessante. Il proprietario di un bar, vicino al luogo del ritrovamento, tale Massimo esperto di vini e abile confezionatore di panini, dà il suo personalissimo contributo alle indagine senza il quale, presumiamo, l'omicida non sarebbe stato consegnato alla giustizia. Tutto questo tra litrozzi, gelati, briscole di classica fattura e sue devianze (ecco il titolo), pettegolezzi e cicaleggi in vernacolo pisano di quattro pestiferi vecchietti (boia de', la maiala, m'importa una sega, a modino e quant'altro) e apprezzabile gerontofilia.

Or dunque la riflessione: La briscola in cinque è giallo classico, riconducibile all'epoca aurea dell'uomo-radar (raramente donna) col sale nella zucca e il cui gotha è pieno di nomi-ideatori come Agata Christie (tra l'altro nel romanzo citata due volte), Ellery Queen, John Dickson Carr, S.S.Van Dine, Gaston Leroux, Rex Stout ed altri, senza far la lista troppo lunga. Ma, quel che più conta, in esso vi è l'inalterabilità del meccanismo : il tutto – cioè il disquisir frenetico e la parola un po' tartagliona che poi si ricapa vera e che porta alfine all'evento, cioè alla soluzione dell'enigma – avviene in un contesto: un bar appunto. Come succede in Un posto al sole (e mica riporto per nulla io!).

Bar che sostituisce, con un gioco al ribasso o come diceva Orazio, miscere sacra profanis, le vecchie e lussuose hall dove Poirot smascherava i colpevoli, dove Ellery Queen radunava i protagonisti o le stanze dove Dickson Carr progettava delitti impossibili.

Dunque il luogo del giallo è un claustrofobico mondo inalterabile, dove vigono le leggi ferree della giustizia e della rispettabilità. Ma se l'inalterabilità, allora, soprattutto negli anni '40 e '50, era il tentativo borghese di un arroccamento per sopravvivere, cosa si intende salvare in una storia ambientata nel 2007?

La risposta è semplice: la tradizione. Che ora non è più puntello di un mondo in disfacimento, ma semplice gioco di società.

Basta fare un confronto con un noir di cui ci siamo da poco interessati: Conti in sospeso (Giulio Perrone Editore) di Marco Minicangeli. Dove nel giallo del pisano la geografia è davvero risicata (luogo del delitto- bar- commissariato – bar) nel giallo del romano la città assume il ruolo di protagonista con le sue strade a scorrimento veloce (ma quali??) e le viuzze interne e più turistiche.

Ecco alfin che la matassa si dipana. E senza troppo maneggiare o manipolare: il giallo è spazio finito, il noir è spazio infinito – non si dice fors'anche globale?



P.S. Mi sovviene però un dubbio: ma avrò scoperto l'acqua calda?





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