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Il Paradiso degli Orchi
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Alfredo Ronci

Il risentimento dei lettori mediocri

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Leggo sull'inserto libri domenicale de Il sole 24 ore del 13 dicembre 2009 a firma Eli Gottlieb: "Il problema" spiega un alto dirigente di una casa editrice italiana che conosco, che ha lavorato con editori sia italiani sia stranieri e mi ha pregato di non citarne il nome "è che in Italia si pubblicano troppi libri. Di conseguenza è naturale che abbiano una vita sempre più breve e che le edizioni abbiano un numero di copie sempre più ridotto. Gli anticipi sono di modesta entità e gli scrittori si sentono demoralizzati ed insoddisfatti, perché stanno vivendo ancora il sogno di 40 50 anni fa, quando pubblicare un libro significava tutto. Come ben sappiamo, oggi non è più così. A peggiorare le cose, inoltre, c'è il fatto che ogni politico pensa di avere dentro di sé un libro che vale la pena di essere pubblicato, e gli editori li accontentano. Di recente un politico molto noto ha pubblicato un modestissimo romanzo, che ha venduto duecentomila copie. Per non parlare dei conduttori televisivi!"

Ora, (a parte il bruttissimo italiano del pezzo che confonde i soggetti e difetta di consecutio) personalmente non capisco perché questo 'alto dirigente di una casa editrice' non abbia voluto far sapere il nome dal momento che ha detto una grande verità (curioso: mettono la faccia solo quando dicono stronzate!): forse perché aveva paura di fare il nome di Uolter Veltroni? Che oltre che essere un pessimo politico, sappiamo finalmente che è anche uno scrittore modestissimo?

Ma dire che la colpa della pessima editoria nostrana è soprattutto della politica e dei politici che vogliono pubblicare, mi sembra francamente un'enormità: vero, la fetta di mercato 'coperta' da uomini 'pubblici' (politici appunto, giornalisti, tuttologi, calciatori e quant'altro) è considerevole, ma quando mai si è valutato lo stato di salute della nostra letteratura misurando il grado d'importanza di siffatta feccia?

La responsabilità unica dello stato pietoso della nostra letteratura è degli editori e soprattutto degli scrittori. Ovvio che non basterebbe l'Enciclopedia Britannica per spiegare i motivi della disfatta che sta sotto gli occhi di tutti: quel che non capisco è invece perché quando si usano strumenti 'alternativi' per denigrare opere brutte e inconsistenti qualcuno storce il naso.

Mi riferisco alla pubblicazione di due video (di cui sono diretto responsabile) e alla reazione di qualche 'utente' sensibile, che si è personalmente risentito per come sono stati trattati alcuni 'intellettuali'. Nel video 'Il fuoco sacro della poesia' bruciavo versi che ritenevo indegni di essere non solo pubblicati, ma persino letti, nel secondo 'Il perfido Babbo Natale degli orchi' lanciavo letteralmente in aria romanzi da me ritenuti pessimi esempi di narrativa.

Il risentimento degli 'utenti', da me sinteticamente espresso, è stato: l'esempio offerto è molto discutibile perché si dovrebbe comunque portare rispetto per tutti e soprattutto per chi dà testimonianza del proprio sentire.

Personalmente avevo già celiato, nelle note introduttive al primo video, dicendo che la poesia brutta andava bruciata, ma che a nessuno doveva venire in mente i roghi fanatici del nazismo contro la cultura o Fahrenheit 451 di bradburyana memoria. Non è bastato. Qualcuno, come si diceva, ha storto il naso.

Non sto qui a giustificarmi, ci mancherebbe altro, aggiungo solo che la mia 'personale' protesta (perché di questo si è trattato... e non è stata e non sarà l'unica) è una forma di resistenza contro il perdurare di una condizione editoriale che a tratti sfiora il ridicolo, nell'incessante ricerca di un colpaccio di mercato a scapito di una vera e propria investigazione della lingua e del suo significato più genuino (in questo c'è il mio risentimento per chi 'specula' con il giovanilismo narrativo e chi, al contrario, riduce in carta straccia, è proprio il caso di dire, il significato ultimo della parola, come negli esempi da me riportati di poeti non 'ermetici', ma incomprensibili, spesso a loro stessi).

Cade a cecio la pubblicazione di un libriccino svelto ed accattivante di Luca Ricci: Come scrivere un best seller in 57 giorni (editore Laterza). Lo scrittore pisano immagina quattro scarafaggi (che guarda caso si chiamano John, Paul, Ringo e George) che, per risollevare le sorti del loro 'coinquilino' che è uno scrittore, e che soffre della sindrome del 'foglio bianco' s'industriano per poter produrre in poco meno di due mesi un vero e proprio best seller che abbia le caratteristiche appunto del volume che si può vendere tranquillamente anche nei supermercati.

Ricci discetta furbescamente e abilmente sui luoghi comuni sia dell'intellettualismo di maniera (Basta con la mimesi. Basta col fare il verso alla vita. Ci vogliono racconti che vadano contro la Legge (anche narrativa). Perseguire una secchezza innaturale. Il racconto astratto contro l'intrattenimento. Ogni compiacimento metaletterario è il benvenuto. La rivolta del racconto contro se stesso: questo atteggiamento è iperletterario ma non vano.) sia sulle verità che sottintendono alla 'creazione' del libro di successo (nel racconto di Ricci, i quattro scarafaggi, nella compilazione del testo, si fanno aiutare da un'avida lettrice di romanzi di classifica): Rossana: non me ne importa niente delle parole. Per me un libro è come un film rudimentale, ci sono una serie di immagini che escono dalle pagine. Ti ricordi quei libri per bambini con le figure tridimensionali che si alzano quando giri le pagine? Cyrano: Sì. Rossana: Ecco. I libri per adulti non dovrebbero essere molto diversi da quelli per bambini.

Direi che gli estratti del libro Come scrivere un best seller in 57 giorni (curioso che Ricci abbia scelto come numero di giorni gli stessi che impiegano le gatte per portare a termine una gravidanza! Che ci fosse un nesso tra successo editoriale e bestialità?) sintetizzano in modo inequivocabile gli esempi da me 'riportati' sul video. Da una parte una poesia vuota e con atteggiamenti 'iperletterari' (ma anche alcuni romanzi di scrittori soggiogati dal fuoco sacro dell'ispirazione soffrono di questo), dall'altra una narrativa allo stato 'brado' alla ricerca di una naturalezza che però è solo sintomo di 'bestiale' banalità.

Negli anni settanta uscì un bel film con Jean Paul Belmondo: Come distruggere la reputazione del più grande agente segreto del mondo. Non vorremmo tanto, ma per una sorta di traslazione, non ci dispiacerebbe sputtanare la reputazione di quegli scrittori considerati 'i più grandi fichi der bigonzo' (come se dice a Roma e non certo ad Abbiategrasso). E non ce ne vogliate per questo.







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