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ATTUALITA'

Eleonora Del Poggio

Il "romanzo criminale" di Giuseppe Tornatore

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Diceva Metone a Pisetero in un passo degli Uccelli di Aristofane: ...e con l'aiuto di una riga, ottengo la misura esatta: eccoti la quadratura del cerchio!

Esattamente come far entrare duemila persone in un vagone della metro: chiedetelo ai giapponesi.

L'impresa di far quadrare i conti (e già la parola "impresa" è indice di una prestazione fuori della norma) questa volta l'ha realizzata Giuseppe Tornatore col suo film La sconosciuta.

Togliamoci subito il dente dolente: non stiamo qui a discettare sulla filmografia del regista siciliano (peraltro ruffiana e spesso poco convincente, a cominciare dall'oscar-o caro Nuovo cinema Paradiso), non siamo per questo giornalisti di grido o dal pedigree "alternativo" (lo dico e non lo nego: non mi va giù la recensione entusiastica che Roberto Silvestri del Manifesto ha fatto di Black Dalia, orrendo polpettone noir di un De Palma sull'orlo di una crisi di nervi, che ha massacrato un romanzo esiziale del genere a noi caro). Parliamo de La sconosciuta perché riteniamo che appartenga alle cose letterarie che trattiamo: una storia misteriosa che innesca meccanismi a noi conosciuti e ci restituisce, in questo caso, immagini che appartengono anche all'immaginario del plot giallo.

Tornatore, e lo capiamo, di fronte a siffatta materia ha scomodato il maestro: l'uso, nella prima parte del film, di scale (momento ossessivo – o memento mori – del movimento della cinepresa) o palazzi-interni spiati ricorda sfacciatamente Hitchcock. Poi, per fortuna, devia per altre strade, e tassello dopo tassello, con flash brucianti che vanno tanto di moda ora nella cinematografia, o piani temporali diversi, come direbbero i critici, spaginando confronti, ci consegna una storia riannodata correttamente alla fine e per certi versi sentita.

In un'intervista televisiva il regista ha confessato di aver preso lo spunto da una vicenda realmente accaduta nel 1987. Vero: il plot ha anche di più l'urgenza di una denuncia sociale (non stiamo qui a metter mano nella pasta, sarebbe scorretto nei confronti di chi il film ancora non l'ha visto, anche se parlare di compravendite sessuali non guasta le sorprese) che cede, solo alla fine, ad un manierismo smaccatamente sentimentale forse per pareggiare una materia troppo violenta ed angusta.

Sì,leggera pecca: il film offre altro e con gusto. A cominciare da una recitazione piana, ma efficace (anche "l'oltraggioso" Michele Placido, pur nella categoria del cattivo a tutti i costi, non sfora mai, anzi, nel momento suo più critico – suo del personaggio che recita ovvio – non deambula vistosamente; ma perfetti nel loro ruolo l'adorabile Piera Degli Esposti, la Gerini e soprattutto la protagonista Xenia Rappoport, attrice di teatro russa,) che rende la storia plausibile e "geograficamente" vera.

Uso ad hoc il termine "geograficamente" perché il "vezzo" dello scrittore italiano di polizieschi più venduto (leggi: Giorgio Faletti), secondo quanto da lui stesso dichiarato, è quello di giustificare l'esterofilia dell'ambientazione, da lui sempre utilizzata. perché un serial killer di Nocera Umbra farebbe ridere.

Tornatore con La sconosciuta, pur non trafficando con assassini seriali, ha costruito un congegno, mi si passi il termine, perfettamente provinciale, dove la materia noir (ecco il nostro interesse!) concorre con adeguata partecipazione ad una storia tutta italiana. Di interni (a volte ossessivi) ed esterni (non sempre riusciti, ma davvero è Treviso quella città? E siamo costretti a sbirciare un medaglione d'oro per venirne a capo?).

Un noir dunque italiano, un "romanzo criminale" a tutti gli effetti se vogliamo, socialmente credibile e riuscito. Non un capolavoro: ma a noi, affamati e parziali, basta e avanza così.





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