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Il Paradiso degli Orchi
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Stefano Torossi

Improbabile città.

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Luci sbagliate. Un curioso concerto a S. Maria in Vallicella, la Chiesa Nuova, lunedì 13. Il pretesto: la imminente beatificazione di Papa Montini. Qualche aneddoto e dei pensieri su Paolo VI, intrecciati a una discreta esecuzione di Bach e Haendel. Pubblico attento e devoto, una chiesa che è un esempio di barocco senza eccessi, ma con tutti i suoi caratteri di sontuosa armonia: bellissima, insomma.
E con un’illuminazione (è il nostro pallino) che è un attentato alla meditazione, al buon gusto e alla vista, oltre che un forse involontario, ma diabolico marchingegno per mortificare l’equilibrio dell’edificio.
Una fila di intense lampade, concepite per uccidere, puntate ad alzo zero direttamente nelle pupille dei fedeli, e sei violenti riflettori che dal più alto cornicione incombono sul povero cristiano il quale, alzando lo sguardo non vede altro se non quel barbaro barbaglio. Nell’improbabile caso che a qualcuno venga in mente di orientarli (i riflettori, non gli occhi) verso il soffitto, l’effetto sarebbe meno villano e a costo zero. Forse il parroco è talmente occupato a pregare che non ha il tempo per pensare. Peccato.


“Parole liberate oltre il muro del carcere”. Una notevole iniziativa presentata martedì 14 nella sala stampa della Camera dei Deputati. Promosso dal Festival di Lunezia, è un concorso fra i carcerati d’Italia per le parole di una canzone. L’ha vinto Lupetto (nome d’arte di un recluso) e il suo testo sarà musicato da Ron. Il quale era presente e ci è parso commosso e onorato del compito.
Secondo noi Ron assomiglia sempre di più al nostro caro amico Lelio Luttazzi, come lineamenti, come accento e come modo di parlare. Chissà se ne sarà contento. Dovrebbe.
Mentre stavamo entrando ci ha colpiti un’improbabile combinazione fra artigianato storico e tecnologia contemporanea. Anche l’ingresso alla sala stampa del Parlamento (installata a Montecitorio, il magnifico edificio barocco del Bernini che ospita una delle due istituzioni fondamentali della Repubblica) è naturalmente dotato di un varco elettronico progettato per sventare l’introduzione di armi o altri oggetti pericolosi.
La porta c’è e suona, ma l’apparato di sicurezza (vedere foto) è collegato a un cavetto volante, abbandonato all’esterno sui gradini d’ingresso, che parte da una normale presa, neutralizzabile da chiunque in mezzo secondo. Si può dire che garantisce lo stesso livello di sicurezza di una stufetta elettrica in una baracca abusiva. Ma siamo a Roma, in Italia e nel 2014. Mica nel futuro.

Astronavi e broccoletti. Mercoledì 15. Siamo lieti di annunciarvi che eravamo presenti all’inaugurazione della mostra ”Fantascienza 1950/70, l’iconografia degli anni d’oro”. In pratica, marziani e astronauti fra i finocchi e le banane del mercato coperto di Via Cola di Rienzo. L’idea è “trasformare i mercati rionali storici in una piattaforma culturale non convenzionale stabilendo una sinergia innovativa nel rapporto commercio-cultura-città”.
Siamo sicuri che gli operatori ai banchi, non avranno alcuna difficoltà a comprendere questa facile prosa. A noi non addetti ai lavori (né frutta, né verdura) si è presentata una banale immagine di massaie indaffarate, e di pescivendoli e fruttaroli preoccupati di intrufolarsi, con la loro mercanzia, nelle inquadrature delle cineprese, ma tutti ugualmente indifferenti alla fantascienza e alla sua iconografia.
E’ una nobile iniziativa il cui merito sfugge al cinico occhio del Cav. Serpente, oppure un opportunistico tentativo di sfruttare un’occasione, con scivolata, probabilmente casuale, nella più totale improbabilità?

Red carpet. E siamo al quarto appunto su questa nostra improbabile città. L’evento, intitolato “Pinocolus mutationem habet”, è organizzato dall’Associazione culturale Pinocchio e ha luogo nella meravigliosa Sala dei Papi attigua al fantastico chiostro del convento di S. Maria sopra Minerva, per l’occasione pieno di grilli che si godono, frinendo, la temperatura semiestiva (è la sera del 15). Una lettura con musica di brani del libro di Collodi, e una mostra di quadri su episodi della favola.
Vogliamo segnalare il punto d) dello statuto associativo che dice: “…ci proponiamo la diffusione e la promozione dell’eccellenza produttiva italiana attraverso la storia di Pinocchio”. Ci sfugge qualcosa: forse si riferisce alla produzione, da noi fiorente, di gatti e volpi?
Insomma, la sala bellissima, ma con una pessima acustica; il pubblico, una dozzina di persone compresi due frati dell’attiguo convento; i quadri, sul cui valore artistico sorvoleremo per carità cristiana, esposti tutti in fila in penombra, e quello che ci ha davvero colpiti: il red carpet, una sontuosa passatoia scarlatta che guida i visitatori dal portone fino al chiostro, con, a dare il benvenuto, un magnifico buco piazzato esattamente al centro.
Una volta i conventi avevano delle volenterose zitelle che si preoccupavano del fabbisogno di abiti e arredi sacri. Magari un rammendino, una toppa…




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