ATTUALITA'
Michele Lupo
Italiche macerie.
In molti non sopportano Flores D'Arcais, non solo a destra. Il Partito Deprimente, il maggiore sedicente di sinistra in Italia, lo guarda se possibile con astio e rancore peggiore di quanto non accada ai beceri fanatici fratellini minori di Craxi (con il quale, ad avviso del direttore di "MicroMega" principia il peggio della nostra storia recente). Più a sinistra, certo veteromarxismo, se ancora ve n'è uno, non ha simpatia per la sollecitazione sempre presente alla "società civile", che, ad avviso di chi scrive, per Flores d'Arcais ha significato soprattutto invitare la cittadinanza a farsi "politica" e nulla più, nello stesso tempo facendo la tara a chi sotto l'ombrello di quella locuzione ha cercato di acquattarsi quando è iniziata la tempesta (i Montezemolo e i Della Valle, per dire, che nel famigerato "paese normale" del baffetto di Gallipoli - che tanto ha fatto per salvare l'"anomalia" di B. – starebbero senza equivoci a destra, laddove l'allegro rincoglionimento italico li ha pure vagheggiati come leader della "sinistra" – cose 'e pazz')
Perlopiù, Flores d'Arcais viene tacciato di "giustizialismo". A questo proposito la cosa singolare è il grande favore di cui gode un giornalista come Marco Travaglio, non a caso collaboratore non avventizio di "MicroMega" le cui posizioni, del Travaglio, dichiaratamente di "destra" (non la presente, ovvio), almeno in materia di giustizia non sono mai state dissimili da quelle di Flores, trattandosi innanzitutto, come per molti italiani fra cui chi scrive, di tenere ben saldi una serie di principi istituzionali – la stessa Costituzione, in primis – smantellati con acribia e non paragonabile violenza da questa masnada di farabutti che ha governato l'Italia degli ultimi trent'anni: già, da Craxi in avanti. Ora, il successo di Travaglio a fronte dell'avversione per Flores potrebbe spiegarsi – esposizione mediatica a parte - col fatto che il secondo, nonostante non abbia mai mancato di ospitare nella sua rivista saggi o interviste di esponenti della Chiesa cattolica, sia una voce tra le poche in Italia determinate a coniugare con l'etica politica una chiara e limpida vocazione illuministica, laica e libertaria, in un'accezione non solo anticlericale ma francamente atea. Questo da noi non si perdona facilmente – le eccezioni confermano la regola. Mettiamoci insieme l'insistenza sulle regole, sul principio di responsabilità individuale, la critica ai media, alla contiguità strutturale del potere con il crimine organizzato e l'appoggio incondizionato alla magistratura. Che Travaglio voglia mandare la gente in galera, secondo la vulgata di chi gli vuole male, passi, ma se assieme a tutto questo uno pretende pure di "fare politica" spostando l'asse ragionativo e ideale "a sinistra"...: è troppo, no?
Aliberti raccoglie ora con il titolo Macerie una serie di interventi del direttore di "MicroMega" intorno alla specificità della politica italiana, apparsi sulla rivista dal 1986 a oggi (laddove per chi volesse farsi un'idea più esaustiva del suo pensiero politico consiglierei L'individuo libertario pubblicato anni fa da Einaudi). Bisogna riconoscere a Flores al di là della condivisibilità o meno delle posizioni assunte volta per volta di avere mantenuto un'apprezzabile coerenza con i principi di cui sopra - Prezzolini, fondatore de "La Voce" e maestro destrorso di Montanelli e Longanesi, una volta disse che "la coerenza è la virtù degli imbecilli". Be' peggio per lui, che dei difetti italiani era interprete e osservatore illuminato insieme. E peggio per gli italiani che dal peggio imparano sempre con facilità così puntuale da saperla agevolmente esportare nel mondo. Flores ha saputo dislocarsi rispetto al "pubblico dibattito" – demenziale – che da noi ha rovesciato gli elementari termini di destra e sinistra; non ha mai smesso di insistere sul conflitto d'interessi (in Italia, l'amore patologico per lo spettacolo comporta fra le altre cose che faccende di questa portata non si esauriscano perché si risolvono ma perché smettono di "essere di moda" – e dunque, per il pubblico dei corrivi connazionali, "du palle!"); di ricordare per esempio che B. era, alla luce della legge, ineleggibile. A Flores molti non perdonano proprio il liberalismo di cui si dicono fautori. Nonché il fatto di notare, come dire, la qualità antropologica di chi ha comandato in questi anni - e si sa, l'argomento è scivoloso, siamo pur sempre il paese del "si pensa ma non si dice", in cui sembrare snob non è bello, ritenersi "moralmente" migliori non sta bene e anche Gasparri e Cicchitto e Capezzone hanno il diritto di ritenersi umani a tutti gli effetti, laddove fa più fico ammettere di temere "il berlusconi che è in me": be', parlate per voi e tenetevelo stretto.
Se nel rigore persino pedante con cui Flores ha osteggiato questi ultimi venticinque anni di governo italiano manca qualcosa è, almeno alla luce della presente raccolta, l'affaire Lega Nord. Ho più volte scritto che il partito che ce l'aveva duro ma poi si è scoperto che era il dito, dal momento che dichiarava di volere il secessionismo, ossia di volere per il Nord un destino separato dall'Italia si metteva di fatto fuori dalle istituzioni del paese, pertanto, con quelle premesse ideologiche, non avrebbe dovuto farne parte, anche a costo di intervenire "manu militari". Una cosa del genere l'ha fatta intendere il moderato per eccellenza presidente Napoletano poco tempo fa, a fronte di un momento delicatissimo come l'attuale – venti anni fa dov'erano?
A ogni modo, non stupisce che Piero Gobetti, un liberale per il quale "l'antifascismo, prima che un'ideologia è un istinto" sia una figura alla quale le riflessioni di Flores non hanno mancato di fare riferimento. In questi stessi giorni sempre Aliberti pubblica una raccolta di scritti sparsi dell'intellettuale e politico picchiato più volte dagli squadristi dal titolo Che ho a che fare io con i servi? Settant'anni prima di Flores d'Arcais, Gobetti sapeva che una destra davvero liberale questo paese non riusciva a darsela, ché era in fondo "un paese africano" (sorvoliamo su quella che oggi parrebbe un'espressione politicamente scorretta perché davvero c'interessa poco e chi vuol capire, capisca), "infantile". In cui l'oligarchia fascista aveva potuto realizzare la sua rivoluzione "mediante l'umiliazione di ogni serietà e coscienza politica". L'intransigenza come un motivo etico dell'azione, ciò che di Gobetti piace non poco a Flores, a chi scrive - e pochissimo alla stragrande maggioranza degli italiani. Che hanno preferito invece una "figura di ottimista sicuro di sé, l'amore per il successo, la virtù della mistificazione e dell'enfasi"... Berlusconi? direte voi.
No, Mussolini.
Perlopiù, Flores d'Arcais viene tacciato di "giustizialismo". A questo proposito la cosa singolare è il grande favore di cui gode un giornalista come Marco Travaglio, non a caso collaboratore non avventizio di "MicroMega" le cui posizioni, del Travaglio, dichiaratamente di "destra" (non la presente, ovvio), almeno in materia di giustizia non sono mai state dissimili da quelle di Flores, trattandosi innanzitutto, come per molti italiani fra cui chi scrive, di tenere ben saldi una serie di principi istituzionali – la stessa Costituzione, in primis – smantellati con acribia e non paragonabile violenza da questa masnada di farabutti che ha governato l'Italia degli ultimi trent'anni: già, da Craxi in avanti. Ora, il successo di Travaglio a fronte dell'avversione per Flores potrebbe spiegarsi – esposizione mediatica a parte - col fatto che il secondo, nonostante non abbia mai mancato di ospitare nella sua rivista saggi o interviste di esponenti della Chiesa cattolica, sia una voce tra le poche in Italia determinate a coniugare con l'etica politica una chiara e limpida vocazione illuministica, laica e libertaria, in un'accezione non solo anticlericale ma francamente atea. Questo da noi non si perdona facilmente – le eccezioni confermano la regola. Mettiamoci insieme l'insistenza sulle regole, sul principio di responsabilità individuale, la critica ai media, alla contiguità strutturale del potere con il crimine organizzato e l'appoggio incondizionato alla magistratura. Che Travaglio voglia mandare la gente in galera, secondo la vulgata di chi gli vuole male, passi, ma se assieme a tutto questo uno pretende pure di "fare politica" spostando l'asse ragionativo e ideale "a sinistra"...: è troppo, no?
Aliberti raccoglie ora con il titolo Macerie una serie di interventi del direttore di "MicroMega" intorno alla specificità della politica italiana, apparsi sulla rivista dal 1986 a oggi (laddove per chi volesse farsi un'idea più esaustiva del suo pensiero politico consiglierei L'individuo libertario pubblicato anni fa da Einaudi). Bisogna riconoscere a Flores al di là della condivisibilità o meno delle posizioni assunte volta per volta di avere mantenuto un'apprezzabile coerenza con i principi di cui sopra - Prezzolini, fondatore de "La Voce" e maestro destrorso di Montanelli e Longanesi, una volta disse che "la coerenza è la virtù degli imbecilli". Be' peggio per lui, che dei difetti italiani era interprete e osservatore illuminato insieme. E peggio per gli italiani che dal peggio imparano sempre con facilità così puntuale da saperla agevolmente esportare nel mondo. Flores ha saputo dislocarsi rispetto al "pubblico dibattito" – demenziale – che da noi ha rovesciato gli elementari termini di destra e sinistra; non ha mai smesso di insistere sul conflitto d'interessi (in Italia, l'amore patologico per lo spettacolo comporta fra le altre cose che faccende di questa portata non si esauriscano perché si risolvono ma perché smettono di "essere di moda" – e dunque, per il pubblico dei corrivi connazionali, "du palle!"); di ricordare per esempio che B. era, alla luce della legge, ineleggibile. A Flores molti non perdonano proprio il liberalismo di cui si dicono fautori. Nonché il fatto di notare, come dire, la qualità antropologica di chi ha comandato in questi anni - e si sa, l'argomento è scivoloso, siamo pur sempre il paese del "si pensa ma non si dice", in cui sembrare snob non è bello, ritenersi "moralmente" migliori non sta bene e anche Gasparri e Cicchitto e Capezzone hanno il diritto di ritenersi umani a tutti gli effetti, laddove fa più fico ammettere di temere "il berlusconi che è in me": be', parlate per voi e tenetevelo stretto.
Se nel rigore persino pedante con cui Flores ha osteggiato questi ultimi venticinque anni di governo italiano manca qualcosa è, almeno alla luce della presente raccolta, l'affaire Lega Nord. Ho più volte scritto che il partito che ce l'aveva duro ma poi si è scoperto che era il dito, dal momento che dichiarava di volere il secessionismo, ossia di volere per il Nord un destino separato dall'Italia si metteva di fatto fuori dalle istituzioni del paese, pertanto, con quelle premesse ideologiche, non avrebbe dovuto farne parte, anche a costo di intervenire "manu militari". Una cosa del genere l'ha fatta intendere il moderato per eccellenza presidente Napoletano poco tempo fa, a fronte di un momento delicatissimo come l'attuale – venti anni fa dov'erano?
A ogni modo, non stupisce che Piero Gobetti, un liberale per il quale "l'antifascismo, prima che un'ideologia è un istinto" sia una figura alla quale le riflessioni di Flores non hanno mancato di fare riferimento. In questi stessi giorni sempre Aliberti pubblica una raccolta di scritti sparsi dell'intellettuale e politico picchiato più volte dagli squadristi dal titolo Che ho a che fare io con i servi? Settant'anni prima di Flores d'Arcais, Gobetti sapeva che una destra davvero liberale questo paese non riusciva a darsela, ché era in fondo "un paese africano" (sorvoliamo su quella che oggi parrebbe un'espressione politicamente scorretta perché davvero c'interessa poco e chi vuol capire, capisca), "infantile". In cui l'oligarchia fascista aveva potuto realizzare la sua rivoluzione "mediante l'umiliazione di ogni serietà e coscienza politica". L'intransigenza come un motivo etico dell'azione, ciò che di Gobetti piace non poco a Flores, a chi scrive - e pochissimo alla stragrande maggioranza degli italiani. Che hanno preferito invece una "figura di ottimista sicuro di sé, l'amore per il successo, la virtù della mistificazione e dell'enfasi"... Berlusconi? direte voi.
No, Mussolini.
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