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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Stefano Torossi

Jazz, abbigliamento e buona educazione. Ed altro.

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Che dire? Non c'è dubbio che Gino Paoli sia l'autore di tre o quattro canzoni fra le più belle della nostra generazione.

Lo abbiamo verificato ancora una volta al suo "Un incontro in Jazz" del 25 agosto nel Festival "Odio l'Estate" a Roma. E certamente di livello altrettanto alto era l'accompagnamento: un formidabile quartetto composto da Danilo Rea, piano, Flavio Boltro, tromba, Rosario Bonaccorso, contrabbasso e Roberto Gatto, batteria, il meglio del jazz in Italia.

Bene, sulla qualità della musica niente da obiettare. Applausi.



E' sul modo in cui questa ottima pietanza ci è stata servita che abbiamo qualcosa da dire.

Il concerto di cui vi parliamo, lo usiamo naturalmente solo come esempio. Vogliamo generalizzare a quasi tutti gli eventi jazz.

Non ci sembra giusto che la star della serata (come qualunque comprimario) entri in scena con l'espressione di chi sale al patibolo, non accenni neanche un minimo saluto verso il pubblico che ha pagato salato, confabuli con i colleghi musicisti voltando la schiena a noi, attacchi la sfilza delle canzoni senza una parola, una presentazione, sempre con un atteggiamento di annoiato disgusto. Forse è timidezza, forse è la sua faccia di tutti i giorni, ma dal momento che uno sale sul palco, un minimo di obblighi ci sarebbero, tra cui mettere su una faccia di scena. Che poi, abbiamo trovato anche ridicolo che, dopo tutte queste dimostrazioni di superiorità, l'artista di cui sopra si rintanasse ogni tre pezzi dietro il pianoforte per fumarsi mezza sigaretta. Paura di essere sgridato?

Certo, ci sono i rockettari violenti che sputano sul pubblico, o gli tirano le chitarre, ma è un comportamento prevedibile, anzi previsto, anzi addirittura pregustato, e soprattutto è viva azione scenica. Quello che invece stronca le esibizioni di molti jazzisti è proprio questa aria di distacco, di noia (snob?), di chissenefrega. Ma perché? Come mai non hanno l'aria di divertirsi, visto che fanno una cosa che il resto della gente gli invidia? Che ci vuole a prepararsi una battuta, quattro movimenti coordinati, evitare le stupide pause in cui il bassista chiede al pianista la tonalità del pezzo che stanno per suonare, perché alla gente non basta ascoltare; al concerto si è portata anche gli occhi e vuole usarli.



I salti di Lionel Hampton, ve li ricordate? E le camicie di Miles Davis?



A proposito: ma come si vestono i jazzisti! Ma ci si può presentare con jeans sformati e sporchi, camiciazze di brutti colori, magliette di quel tono indefinibile, ma con suggestioni di sporco, fra il marroncino, il viola scuro e il nero, soprattutto quando si hanno superato i sessant'anni, o gli ottanta chili, e madre natura, generosa con il talento musicale, non lo è stata altrettanto con la bella presenza?

Non diciamo che i componenti di un gruppo dovrebbero essere tutti in smoking (anche se ci piacerebbe – vi ricordate l'eleganza suprema del Modern Jazz Quartet?), però un minimo di decenza, un pantalone con la piega, una giacca che copra i rotoli, le panze, i seni penduli degli anziani, forse, estrema audacia, perfino una cravatta. Oppure, anche una follia di lustrini, ma con dietro un progetto. Sempre per il rispetto a nostro parere dovuto al pubblico, che, lui sì, può essere malvestito, ma almeno ha pagato.

Insomma, secondo noi stare su un palcoscenico a fare una cosa ben precisa, la musica, e di solito farla anche bene non basta. Perché non dedicare un minimo pensiero a quello che ci si mette addosso? Proprio così: che il vestito dica al pubblico che l'artista lo ha scelto dopo averci pensato, e anche parecchio, e non come se fosse sceso di casa a portare fuori l'immondizia.



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Institutum Romanum Finlandiae, Villa Lante al Gianicolo, Roma, 28 settembre. Ottima esecuzione di alcune suite di Bach per violoncello solo. Allo strumento Vito Paternoster. O meglio, allo strumento e all'apparato otorinolaringoiatrico. Dal bel violoncello antico escono suoni rotondi, corposi, appassionati, ma contemporaneamente in gola al solista funziona a tutta pressione una locomotiva a vapore: rantoli, ansimi, profondi sospiri. Roba da tesi di laurea per uno specialista naso-gola. In camerino ne abbiamo parlato e Paternoster ci ha convinti che questa intensa partecipazione respiratoria non solo non turba l'ascolto dello strumento, ma aggiunge emozione e patos.

D'altra parte basta suonare qualche vecchio disco di Casals, di Rubinstein, perfino di Errol Garner: è tutto un borbottare, un canticchiare, uno sbuffare, che di sicuro aggiunge vita alla registrazione.

E avete mai guardato la faccia di un chitarrista mentre suona? Ovviamente l'attenzione del cervello è tutta sulle dita, e così i muscoli dell'espressione, non più in controllo, ammiccano, sorridono, strabuzzano, spalancano e si lasciano andare a ridicole e talvolta preoccupanti smorfie.

Per non parlare delle boccacce dei cantanti lirici, sottolineate da un trucco esagerato impietosamente esposto dai primi piani tv, ma pensato per le distanze teatrali. Grotteschi mascheroni.

Poi ci sono i direttori d'orchestra che, o stanno immobili e dirigono col mignolo, come faceva Von Karajan, oppure saltano da matti sul podio: Daniel Oren, il nostro Colusso

Gli unici che usano bene i muscoli della faccia quando suonano sono i fiati. Solo espressioni funzionali, ma in compenso...avete mai visto Paolo Fresu dal vivo? Allora, Paolo Fresu, che è uno dei grandi solisti del mondo, nostro orgoglio jazz, arriva sul palco con tromba, flicorno e valigetta elettronica. Poi appena comincia la musica lo vedete che si sfila una scarpa, l'altra, poi si alza, ripiega la gamba col piede nudo sulla sedia, ci si accomoda sopra, comincia a contorcersi, si china in avanti, all'indietro, smanetta con i cursori, si rialza, tutto senza smettere di suonare. Fa così dovunque (certo d'estate, coi sandali, è più pittoresco), anche all'Auditorium di Roma dove lo abbiamo visto parecchie volte.

A proposito di Auditorium, il Cavalier Serpente rinfodera i dentini velenosi, perché su questo argomento non c'è niente da mordere. E' un'istituzione benemerita, finanziariamente quasi in attivo, che è un miracolo. Senza un euro dallo stato mette in scena un sacco di belle cose. Sono riusciti a far andare i romani ai concerti come in pizzeria con gli amici. C'è almeno un evento super ogni giorno. Varrebbe la pena di accamparsi qui da gennaio a dicembre, anche perché il posto è un simpatico villaggio: belle sale (naturalmente molto criticate per l'acustica, l'estetica, la praticità; quando mai qualcosa di nuovo piace subito?) bella libreria, bel ristorante, bei bar, bell'architettura.

Eravamo lì per la presentazione della stagione, il 4 ottobre scorso. Un programma formidabile, ambiente informale, incontro di amici, discorsi sostanziosi e giusti (tranne quello di Einaudi, scarso di parole, come i suoi pezzi di note, ma ricco di beee, mmmm, uuuu, durante il quale abbiamo rischiato il coma. Coma vigile, niente paura) e ottimo buffet.

Fuori i dentini ora! Noi giriamo parecchio per Roma, e non molto tempo fa abbiamo cominciato a vedere sparsi per la città, tanti piccoli cartelli bianchi montati su pali con la scritta a smalto: "Auditorium" accompagnata da ondine sonore e una freccia per la direzione. Ormai ce n'è una miriade, incongruamente dappertutto, tanto che alle volte si trovano in punti così lontani nella sterminata periferia romana che neanche l'indicazione "Colosseo" avrebbe significato.

Che sia avanzata a qualcuno una partita di piccoli cartelli bianchi da smaltare, e smaltire?





Stefano Torossi



Stefano Torossi è musicista, borsa di studio al Williams College e a Brandeis University in USA, a suo tempo contrabbassista del glorioso complesso "The Flippers", poi compositore e produttore di musica di commento per le immagini (Raitrade, Fonit Cetra, Primrose, BMG, Curci, Leonardi, ecc.)

Traduttore delle note di copertina sugli LP della RCA, e di letteratura e saggistica (l'ultimo: Beneath the underdog" (Peggio di un bastardo), autobiografia di Charlie Mingus).

Infine ambasciatore del programma di sostegno per le iniziative artistiche di musicisti e attori promosso dall'IMAIE (Istituto per la tutela dei diritti degli esecutori).



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