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Alfredo Ronci

John Fante: quell'abruzzese in America cantore della fuga

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Si dice che Jack Kerouac abbia detto del suo On the road:scrivo questo libro perché tutti dobbiamo morire. Parafrasandola, dalla bocca di John Fante potrebbe uscire questa frase: Scrivo questo libro perché tutti dobbiamo fuggire.

Lo scrittore americano, nato nel Colorado nel 1909 da una famiglia italiana emigrata in America, e scoperto da Vittorini solo nel 1948, è il cantore dell'affanno e della rinuncia, della ricerca assoluta di un'appartenenza. E' il cantore della fuga.

La felicità narrativa di Fante paradossalmente si scontra con un'omogeneità dei contenuti: i suoi romanzi s'assomigliano in modo impressionante. Le coordinate sono sempre le stesse: da una parte una famiglia di emigrati con al centro una madre-madonna e un padre-puttaniere e un contorno chiassoso e nevrotico di figli e parentele acquisite, dall'altra un io narrante (nella quadrilogia dedicata al personaggio Bandini, fante usa la terza persona nel primo capitolo della saga: Aspetta primavera, Bandini!) alla ricerca di una sostanza che lo allontani da un mondo immobile e sognatore.

Eravamo una casa piena di sognatori. La nonna sognava la sua casa nel lontano Abruzzo. Mio padre sognava di essere senza più debiti e di fare il muratore a fianco di suo figlio. Mia madre sognava la sua ricompensa celeste con un marito allegro che non scappava via (...) se chiudevo gli occhi riuscivo a sentire il ronzio dei sogni per tutta la casa (Un anno terribile).

Ma è probabile che di questi sogni Fante (o Bandini) non possa farne a meno e i tentativi che l'uomo fa di darsi delle risposte sono ingenui e controproducenti tali da indurlo ad una fuga perenne.

In Chiedi alla polvere il protagonista fugge da un amore che scoprirà troppo tardi essergli congeniale. E quando tenterà di riacciuffarlo, la polvere, quella del deserto Mojave, elemento-paravento di ogni illusione e disillusione, gli porterà via Camilla Lopez, cameriera chicana strafatta di marijuana, sorta di deus ex machina di un sentimentalismo straziante e beffardo. Quasi imprendibile.

Ma tutti i personaggi di Fante godono di quest'aura di inafferrabilità. L'inaccessibilità di un mondo che pare cadere nell'oblio dell'oscurità, ma risorgere nel trionfo dell'immortalità letteraria.

Sogni di Bunker Hill (l'ultimo atto della lunga avventura Bandini, scritta da Fante praticamente in punto di morte) offre un carosello d'umanità assolutamente sconvolgente: dalla tardona che maternamente decide di viversi la sua esperienza erotica col protagonista per poi rifiutarla e morire d'infarto; da Venda van der Zee che sopravvive solo come archetipo di un mondo di lustrini e frantumi, al duca di Sardegna, il piccolo e muscoloso lottatore che deve combattere non solo contro i suoi avversari, ma contro una società che non può e non vuole accettare che un uomo piccolo e scuro possa "liquidare" in quattro e quattr'otto il "senso estetico" del vivere civile rappresentato da un gigantesco atleta biondo. Ma anche davanti a questo sancta sanctorum della disperazione Bandini fugge. Fugge dalla tardona a cui sa di non poter dare tanto, ma rifiuta qualsiasi confronto diretto; fugge dalla hollywoodiana speranza di riscatto: Venda; fugge dall'amicizia disinteressata del piccolo lottatore a cui contrapporrà la propria donna.

E' la stessa voglia di fuggire di Dominic Molise, protagonista di Un anno terribile. Il ragazzo vuole evitare la morsa del provincialismo americano per tentare la carta della fama: raggiungere il ritiro dei Chicago Cubs, in California, e fare un provino per diventare un asso del baseball: (...) Piansi mio padre e tutti i padri, e anche per i figli, perché eravamo vivi in quell'epoca, per me stesso, perché sarei dovuto andare subito in California, e non avevo scelta, avrei dovuto farcela.

Fughe apparentemente diverse, ma faccia di una stessa medaglia: rifiuto di un mondo standard, di un incasellamento civile e morale che avrebbe potuto uccidere qualsiasi voglia di riscatto.

La confraternita del Chianti (che non fa parte della quadrilogia, ma è uno dei più bei libri sul rapporto padre-figlio) sembra offrire una spiegazione a questo desiderio quasi selvaggio di correre (Fante non anticipa Kerouac, non anticipa Springsteen, la sua corsa non è verso un nulla disperante o verso fuggitivo sogno americano... Born to run, paradossalmente è una corsa verso la riappropriazione di una responsabilità generazionale): il fuggire da mogli e figli e reimmergersi in un concentrato reazionario come quello di San Elmo, il paese dove suo padre poteva starsene a briglia sciolta, e la sera la gente lo sentiva caracollare verso casa lungo le strade deserte, producendosi in pessime versioni di 'O sole mio' e dove sua madre è costretta fino alla fine dei suoi giorni a correre dietro ad un marito che fugge (pure lui!) i doveri coniugali.

L'essiccatoio per pelli di cervo che il padre ostinatamente ha deciso di costruire con l'ausilio fisico e morale del figlio, sembra appartenere al mondo delle metafore. In realtà crollerà la costruzione, impresa titanica di due affaccendati lillipuziani, venuta su sghemba ed informe, ma non l'ultimo, estremo tentativo, di dar corpo ad un rapporto tra figlio e padre che solo la morte di quest'ultimo aprirà la strada ad una legittima consacrazione.

La confraternita del Chianti sembra chiudere un cerchio: la fuga e la rincorsa di un mondo diverso sembra riportare l'autore al punto di partenza. Come se fante avesse deciso di far della sua vita non un'estenuante maratona, ma semplicemente un giro di pista. Per dimostrare agli altri l'assoluta incapacità di sottrarsi alle proprie responsabilità.

E questo breve viaggio nell'arte dello scrittore americano ci riporta agli inizi della storia: Aspetta primavera, Bandini! Il romanzo,pubblicato nel 1938, primo della serie dedicata al suo "alter ego", contiene già l'essenza dei futuri messaggi. Il ritorno a casa di Svevo, il capostipite di tutti i padri letterari di Fante, dopo una presunta love story con Effie Hildegard, stagionata possidente del luogo (ci sono sempre personaggi molto al di sopra della miseria nelle vicende di Bandini e famiglia!), ritorno che è doglianza e olocausto del cuore, rappresenta una riappropriazione del proprio destino e della propria dignità. Così come per Henry, l'eroe de La confraternita del Chianti, il ritorno tra le mura domestiche rappresenta la riconquista di una realtà che né i sogni, né la ragione, tanto meno le fughe avevano potuto allontanare.

Nemmeno la conquista del successo da parte di Fante-Bandini può scalfire quell'attaccamento alle proprie origini, alla propria appartenenza, che supera le distanze tra l'essere americano e l'essere figlio di italiani.

Pier Vittorio Tondelli, nella bella introduzione al romanzo Sogni di Bunker Hill, si chiedeva come mai negli ultimi scritti fante avesse in qualche modo "ripudiato" la saga familiare per raccontare le sue avventure di scrittore di cinema. E dà una precisa risposta: Sceglie Hollywood per salutare il mondo (...). Il fine ultimo del protagonista diviene quello di annullarsi nella folla, locusta fra le locuste, oppure appartarsi e svanire nell'alcolica contemplazione del sé.

Ma più che un desiderio di autodistruzione è il desiderio di un'anima in fiamme di ritrovare la strada per chiudere il cerchio.

Ci risulta che fante negli ultimi tempi intendesse scrivere una sceneggiatura per Federico Fellini: ci appare una sorta di nemesi esistenziale. Un bagno nell'arte che ha il potere di purificare e vivificare. Noi che amiamo tutti e due già immaginiamo la scena madre: una Gradisca d'oltre oceano che soffoca tra le braccia i resti di un uomo diviso tra il desiderio della carne e quella di una propria, umana, deificazione.





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