ATTUALITA'
Stefano Torossi
L'asinossi
Non è un errore di battitura, è la testimonianza dell'immortalità del somaro, e più specificamente del somaro italico, e se vogliamo proprio entrare nello specifico, del "Cives Somarus Sum".
I fatti.
La farsa (involontaria, credeteci) va in scena lunedì 26 marzo al Teatro Quirino, secolare istituzione nel centro storico di Roma; l'orario (ipotetico, intendiamoci), sarebbe le sei e mezzo, in realtà la faccenda comincia alle otto; l'organizzazione (fantascientifica, scommetteteci) fa ridere i polli, oltre ai somari. Per dire: nel vicolo davanti al teatro, auto e moto parcheggiate alla romanesca, da non far passare una sedia a rotelle (poi si capirà perché facciamo questo esempio), e due vigili, siga-retta in bocca: "Aho! Ma nun l'hai chiamato er carro attrezzi?" "Io no, ma nun ce dovevi pensà tu?". Quando siamo usciti, verso le nove e mezzo, i due vigili erano sempre lì, la stessa cicca in bocca, le stesse macchine e moto piazzate nell'identico fantasioso modo.
Entriamo insieme ai vip, Roncato, Brilli, De Sica, Tognazzi, per assistere all'evento, che è la premiazione dei vincitori del Festival film corto a tema "Un sorriso diverso". Diverso nel senso dell'handicap, e della sedia a rotelle; ecco il riferimento alla difficoltà di accesso. Subito, gli organizzatori, dal palco, si premurano di farci sapere che (testuale): "La diversità colora il mondo che sennò sarebbe grigio". Avremmo voglia di chiedere a qualcuno dei presenti in carrozzina se si rende conto di quanto è fortunato a vivere in questo mondo colorato, invece di quello grigio della gente che va a spasso con le gambe, senza bisogno di ruote.
Poi comincia il balletto dei microfoni. Passalo a me, ma non funziona, allora lo riprendo e ti do il mio, adesso ne hai due, sono troppi. Finché, con un tocco di ruspante ribalderia, il presentatore la butta lì: "Pare brutto?", e si infila uno di questi microfoni itineranti nella tasca dei pantaloni. Per tirarlo fuori a ogni occasione e passarlo a questo e a quella. Avete presente la forma dei microfoni senza cavo, quelli che nell'ambiente si chiamano gelati? Un cilindro di una ventina di centimetri, con un rigonfiamento a bulbo a una estremità. Inutile il commento.
Molti i corti premiati proiettati in formato spot ma chissà perché senza sonoro, variatissime le motivazioni, troppe le assenze o gli scambi dei personaggi che dovrebbero ritirare i premi. Continuamente costretti i presentatori a invocare qualcuno, "C'è"? e poi rimanere ad aspettarlo, spesso invano. E moltissime e confusionarie le presenze di attori, registi o assessori chiamati a leggere di ogni filmato "la sinossi" (ecco dove abbiamo preso il titolo). Un bel bordello, evitabile con un minimo, davvero un minimo di organizzazione.
Utile e dilettevole lo show acrobatico di due signore spesso avvicendate (pare che la prestazione sia molto faticosa) nel comunicare a gesti ai diversi (veri) fra il pubblico quello che gli altri diversi (fasulli) dicono sul palco.
Due vallette giovani e graziose ci deliziano gli occhi portando i diplomi ai premiati. Ci hanno rallegrato anche durante la lunga attesa prima dell'inizio mentre giravano in platea nei loro eleganti abiti lunghi e scollati con niente sotto tranne mutande evidentemente troppo strette perché le abbiamo sorprese più di una volta sistemarsi l'elastico con pizzichi furtivi. Stendiamo un velo pietoso su un paio di imitazioni (Asia Argento drogata e Carla Bruni cantante) offerte allo sconcerto del pubblico e, ci è parso, anche degli altri presenti sul palco, da una sedicente attrice o, più probabilmente, un'amica di passaggio.
Insomma, per sopravvivere, a un certo punto ce ne siamo andati, mentre la faccenda ancora si trascinava penosamente. Il dilettantismo sembra un condimento obbligato di queste occasioni assistenziali e/o istituzionali. Aggiungiamo che poco ci è piaciuto scoprire che fra i diversi a cui era dedicata la manifestazione c'erano anche gli anziani!
Come risarcimento sabato sera siamo andati a vedere James Taylor all'Auditorium di Via della Conciliazione. Prima le buone notizie. Lo spettacolo è annunciato alle ventuno, e alle ventuno comincia. Teatro gremito. Pubblico benissimo disposto. Applausi esagerati perfino quando Taylor annuncia l'intervallo. Tutti conoscono i pezzi e alla prima nota già si scatenano. Il tempo lo accompagnano in levare. Le spiritosaggini in inglese sono comprese e apprezzate. Non un'esitazione negli attacchi. Tutto provato e riprovato. Così fanno gli artisti americani; i professionisti, insomma. Potrebbero farlo anche gli italiani ma ci vorrebbe qualcuno di pratico.
Adesso le notizie cattive. Fa un caldo esagerato. Niente aria condizionata. Troppo presto per la stagione? La temperatura dei concerti è spesso un'incognita, e quasi sempre un disagio. Il prossimo evento a gradazione giusta vi promettiamo di evidenziarlo. L'altra notizia cattiva è l'artista. Fin dagli anni ottanta, noi ci ricordavamo Taylor come uno dei cantanti più noiosi del panorama. Questa sera ci si è confermato il giudizio. La noia è sottile. Le canzoni sono uguali, molte anche nella stessa tonalità. Garbate, prevedibili, ben confezionate e ben cantate. Ma alla quinta non se ne può più. Lui è sobrio, qualche volta moderatamente spiritoso. La sua voce non si, e non ci emoziona mai. E' elegante, magro, diritto e decorosamente pelato. Immobile quanto basta, e quando cambia chitarra sembra che sposti un fragile vaso di Murano. Insomma, anche da qui, per sopravvivere ce ne siamo dovuti andare prima della fine.
I fatti.
La farsa (involontaria, credeteci) va in scena lunedì 26 marzo al Teatro Quirino, secolare istituzione nel centro storico di Roma; l'orario (ipotetico, intendiamoci), sarebbe le sei e mezzo, in realtà la faccenda comincia alle otto; l'organizzazione (fantascientifica, scommetteteci) fa ridere i polli, oltre ai somari. Per dire: nel vicolo davanti al teatro, auto e moto parcheggiate alla romanesca, da non far passare una sedia a rotelle (poi si capirà perché facciamo questo esempio), e due vigili, siga-retta in bocca: "Aho! Ma nun l'hai chiamato er carro attrezzi?" "Io no, ma nun ce dovevi pensà tu?". Quando siamo usciti, verso le nove e mezzo, i due vigili erano sempre lì, la stessa cicca in bocca, le stesse macchine e moto piazzate nell'identico fantasioso modo.
Entriamo insieme ai vip, Roncato, Brilli, De Sica, Tognazzi, per assistere all'evento, che è la premiazione dei vincitori del Festival film corto a tema "Un sorriso diverso". Diverso nel senso dell'handicap, e della sedia a rotelle; ecco il riferimento alla difficoltà di accesso. Subito, gli organizzatori, dal palco, si premurano di farci sapere che (testuale): "La diversità colora il mondo che sennò sarebbe grigio". Avremmo voglia di chiedere a qualcuno dei presenti in carrozzina se si rende conto di quanto è fortunato a vivere in questo mondo colorato, invece di quello grigio della gente che va a spasso con le gambe, senza bisogno di ruote.
Poi comincia il balletto dei microfoni. Passalo a me, ma non funziona, allora lo riprendo e ti do il mio, adesso ne hai due, sono troppi. Finché, con un tocco di ruspante ribalderia, il presentatore la butta lì: "Pare brutto?", e si infila uno di questi microfoni itineranti nella tasca dei pantaloni. Per tirarlo fuori a ogni occasione e passarlo a questo e a quella. Avete presente la forma dei microfoni senza cavo, quelli che nell'ambiente si chiamano gelati? Un cilindro di una ventina di centimetri, con un rigonfiamento a bulbo a una estremità. Inutile il commento.
Molti i corti premiati proiettati in formato spot ma chissà perché senza sonoro, variatissime le motivazioni, troppe le assenze o gli scambi dei personaggi che dovrebbero ritirare i premi. Continuamente costretti i presentatori a invocare qualcuno, "C'è"? e poi rimanere ad aspettarlo, spesso invano. E moltissime e confusionarie le presenze di attori, registi o assessori chiamati a leggere di ogni filmato "la sinossi" (ecco dove abbiamo preso il titolo). Un bel bordello, evitabile con un minimo, davvero un minimo di organizzazione.
Utile e dilettevole lo show acrobatico di due signore spesso avvicendate (pare che la prestazione sia molto faticosa) nel comunicare a gesti ai diversi (veri) fra il pubblico quello che gli altri diversi (fasulli) dicono sul palco.
Due vallette giovani e graziose ci deliziano gli occhi portando i diplomi ai premiati. Ci hanno rallegrato anche durante la lunga attesa prima dell'inizio mentre giravano in platea nei loro eleganti abiti lunghi e scollati con niente sotto tranne mutande evidentemente troppo strette perché le abbiamo sorprese più di una volta sistemarsi l'elastico con pizzichi furtivi. Stendiamo un velo pietoso su un paio di imitazioni (Asia Argento drogata e Carla Bruni cantante) offerte allo sconcerto del pubblico e, ci è parso, anche degli altri presenti sul palco, da una sedicente attrice o, più probabilmente, un'amica di passaggio.
Insomma, per sopravvivere, a un certo punto ce ne siamo andati, mentre la faccenda ancora si trascinava penosamente. Il dilettantismo sembra un condimento obbligato di queste occasioni assistenziali e/o istituzionali. Aggiungiamo che poco ci è piaciuto scoprire che fra i diversi a cui era dedicata la manifestazione c'erano anche gli anziani!
Come risarcimento sabato sera siamo andati a vedere James Taylor all'Auditorium di Via della Conciliazione. Prima le buone notizie. Lo spettacolo è annunciato alle ventuno, e alle ventuno comincia. Teatro gremito. Pubblico benissimo disposto. Applausi esagerati perfino quando Taylor annuncia l'intervallo. Tutti conoscono i pezzi e alla prima nota già si scatenano. Il tempo lo accompagnano in levare. Le spiritosaggini in inglese sono comprese e apprezzate. Non un'esitazione negli attacchi. Tutto provato e riprovato. Così fanno gli artisti americani; i professionisti, insomma. Potrebbero farlo anche gli italiani ma ci vorrebbe qualcuno di pratico.
Adesso le notizie cattive. Fa un caldo esagerato. Niente aria condizionata. Troppo presto per la stagione? La temperatura dei concerti è spesso un'incognita, e quasi sempre un disagio. Il prossimo evento a gradazione giusta vi promettiamo di evidenziarlo. L'altra notizia cattiva è l'artista. Fin dagli anni ottanta, noi ci ricordavamo Taylor come uno dei cantanti più noiosi del panorama. Questa sera ci si è confermato il giudizio. La noia è sottile. Le canzoni sono uguali, molte anche nella stessa tonalità. Garbate, prevedibili, ben confezionate e ben cantate. Ma alla quinta non se ne può più. Lui è sobrio, qualche volta moderatamente spiritoso. La sua voce non si, e non ci emoziona mai. E' elegante, magro, diritto e decorosamente pelato. Immobile quanto basta, e quando cambia chitarra sembra che sposti un fragile vaso di Murano. Insomma, anche da qui, per sopravvivere ce ne siamo dovuti andare prima della fine.
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