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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

L'erotismo adolescenziale in Pier Antonio Quarantotti Gambini

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Qualcuno ha scritto che la letteratura triestina del dopoguerra era impegnata ad integrarsi, dopo la definitiva attribuzione di Trieste all'Italia, nelle linee più storicamente significative della cultura nazionale. Questa sorta di 'trascinamento' coatto di autori e temi in realtà non ha mai mostrato i segni di un adeguamento, perché le stesse storie avevano già in sé punti di contatto con la nuova patria e nello stesso tempo una rielaborazione della formazione mitteleuropea. Insomma un fluire naturale e rispettoso di stili e contenuti.

Tra i nomi che in qualche modo vissero quella stagione di trapasso, Pier Antonio Quarantotti Gambini è senz'altro uno dei più illustri e significativi. Ed è curioso che nelle giornate più calde di questo luglio 2009 sia personalmente incappato nel suo libro più bello e convincente e, permettetemi la boutade, fresco per capacità descrittiva e ambientazione geografica: L'onda dell'incrociatore.

E' un romanzo, come spesso si dice, di formazione, ma in Quarantotti Gambini questa formazione passa attraverso il tema ossessivo, perché quasi sempre presente nella sua opera, della scoperta della sessualità infantile. La trama non va raccontata, ma suggerita a tratti, sbocconcellata, sussurrata, perché il bello di questo romanzo è la vocazione dell'autore a sommare inquietudini e sospetti, faccende irrisolte e dubbi e ad inscenare drammi.

L'autore rende omaggio alla bellezza dell'infanzia con la storia di tre adolescenti, Ario, Berto e Lidia (con l'aggiunta dello statuario campione di canottaggio Eneo) che attraverso la loro fisicità e le loro curiosità, si trovano ad indagare nell'universo dei sensi (il racconto è fatto spesso di sguardi, di toccatine, di impulsi, di imboccate, di erotismo adolescenziale) e dei desideri. Storia che si salda col paesaggio proletario della Trieste portuale e di una umanità che vive sui barconi, tra acqua e moli, in un costante ed inquieto (tutto è inquieto ne L'onda dell'incrociatore) contatto con la natura.

A suggerire il titolo del romanzo fu Saba (amico e fonte di ispirazione di Quarantotti Gambini) a cui l'autore aveva inviato una primiera lettura: Caro amico, mentre mangiavo una fetta d'anguria (forse l'ultima di quest'anno) in piazza del Ponterosso, ho trovato – senza cercarlo – il titolo del tuo libro: L'onda dell'incrociatore. Guarda come apre e chiude bene – direi anche esattamente – la strana giornata nella quale si svolgono i fatti curiosi, nella realtà e nel ricordo. E il titolo, come ti dicevo, non l'ho, in nessun modo, cercato. La cosa è andata così: parlavo con me stesso, e mi domandavo: Chi sa quando potrò rileggere, stampato, il nuovo libro di... E stavo per dire il tuo nome, senonché mi sorpresi a dire invece quello che, a mio parere, è il titolo giusto dell'opera. Bene inteso, io non voglio affatto importi una mia interpretazione. Ma (ugualmente in piazza del Ponterosso) una cosa simile mi accadde, subito dopo l'altra guerra, per un gruppo di mie poesie che non avevano ancora ricevuto un titolo, e che, da quel momento in poi, si sono chiamate La serena disperazione. Scusami l'invadenza. Tuo Saba.

Tra quest'ultimo e Quarantotti Gambini vi fu un sodalizio affettuosissimo ed amichevole (nel 1965, lo stesso anno della sua morte, Gambini pubblicò il volume di poesie Racconto d'amore, dedicandolo proprio a Saba) ed è probabile (m'azzardo a suggerire) che certe atmosfere e certe pulsioni tipicamente adolescenziali de L'onda dell'incrociatore, si rifacciano al sentire sabiano.

Scriveva Mario Lavagetto nell'introduzione a Tutte le poesie dell'autore di Ernesto: L'omosessualità è riconoscibile non solo e non tanto per i temi (che nel Canzoniere non sono certo 'esclusivi'), ma per elementi più sottili come quelli che ci ha insegnato a riconoscere Proust: è anche un fatto di stile, una traccia più o meno marcata ma inconfondibile che si coglie nella lingua...

E tracce ne L'onda dell'incrociatore vi sono e nemmeno tanto velate. E' la scena della lotta tra Ario e Berto: Si stupivano l'uno della forza dell'altro. Era da molto, da anni, che non si picchiavano e non lottavano più. Si ritrovavano, ora, muscolosi, quasi adulti; e cominciarono a provare, avvinti a quel modo, un piacere e un'ammirazione reciproca.

Il romanzo, come si diceva prima, è fatto essenzialmente di sguardi, spesso rubati alla persona a cui son destinati. Nella scena di un ricordo indelebile si legge: Ario si ricordò a questo punto – e sentì come allora una folata calda al petto e in viso – di quel giorno che s'era incontrato con Eneo nell'andito della doccia, ed era in mutandine da bagno, ed Eneo, con le pupille che parevano due righe di luce tra le palpebre socchiuse, gli aveva abbracciato in uno sguardo rapido tutta la persona.

Quel che si scorge nel romanzo è una tensione continua legata alla scoperta della sessualità e la figura di Lidia, centralissima nello sviluppo della trama (attorno a lei ruotano tutte le ambiguità della storia: è davvero una che si concede a tutti? Ma esattamente di chi è figlia? Cos'è quel suo avvicinare e nello stesso tempo distanziare le persone?) è l'anello di congiunzione con le pulsioni di Berto e soprattutto di Ario: Non la vedeva più bambina in nulla (quasi non fosse più lei: l'antica compagna di giochi, poco maggiore di lui e di Berto); ma donna, e lanciata in una sua vita che sfuggiva per sempre a loro.

Anche qui, azzardando, suggerirei una fuga da Lidia non solo perché ha scelto sessualmente di stare dalla parte dell'atletico Eneo, ma perché la distanza erotica tra lei e gli altri due si configura anche diversamente.

Di questo libro si è detto anche altro: per esempio Gianfranco Franchi in 'Lankelot' suggerirebbe addirittura una chiave politica. La tragedia che 'completa' il libro, una sorta di scherzo infantile che finisce nel modo più drammatico, e la considerazione che la vicenda narrata fa riferimento ad un giorno di festa per la campagna d'Africa, insieme alla continua ricerca della carne del corpo di Lidia (è lei l'oggetto del desiderio di tutti) indicherebbe in Quarantotti Gambini un incoscio e un incontrovertibile aut aut nei confronti dell'imperialismo italiano, che avrebbe decimato i nostri figli e impoverito e precipitato nella sudditanza la nostra Nazione.

Affascinante tema, ma forse, come lo stesso Franchi scrive, si forza troppo la mano.

E' vero, lo scrittore, nato a Pisino d'Istria nel 1910, si trovò a vivere personalmente le vicende dolorose di Trieste (negli anni cinquanta prenderà posizione contro l'annessione della zona A del Territorio Libero di Trieste all'Italia e della zona B alla Slovenia comunista, caldeggiando la costituzione di uno stato indipendente) e dedicò alla città il saggio Primavera a Trieste (la cronaca dei quaranta giorni che vanno dal primo maggio 1945, data dell'ingresso a Trieste delle truppe del maresciallo Tito, al 12 giugno, il giorno che segna invece l'evacuazione degli jugoslavi, in seguito agli accordi fra angloamericani e governo di Belgrado, e il conseguente passaggio dell'amministrazione cittadina all'esercito alleato) ma siamo certi che nel caso de L'onda dell'incrociatore (che nel 1960 fu un film Les Régates de San Francisco, diretto dal regista francese Claude Autant-Lara) le tematiche siano altre: si diceva all'inizio, il tema ossessivo della sessualità adolescenziale che i tre protagonisti rappresentano, in una sorta di carosello neorealista, in modo ambiguo e quindi, proprio perché adolescenziale, paradossalmente perfetto.









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