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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

L'esibizione di Lady Gaga equivale ad una 'bella' recensione.

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Carlo Giovanardi, a proposito dell'Europride di sabato 11 giugno, ha dichiarato che 500.000 persone hanno gioiosamente manifestato per le vie di Roma (detto da lui!), mentre altre 55.000 non hanno fatto altro che offendere con slogan e atteggiamenti il Papa e Santa Romana Chiesa.

Io non ho partecipato alla manifestazione, ma se è vero quel che l'ex ministro afferma, avrei voluto essere tra quei 55.000. Solo per rendere la pariglia ad un'istituzione che si è sempre distinta per la violenza con cui ha affrontato la 'questione omosessuale' (e a questo punto mi rimane indigesta la proposta della 'prezzolina televisiva' Luxuria Vladimira che s'augura un incontro tra il 'popolo' – sic! – gayo ed il papa dopo l'incontro di quest'ultimo con la comunità zingara. Domanda: ma per raccontargli cosa?).

Da questo, per la legge transitiva della vita, credo, ne derivi un personalissimo biasimo per l'esibizione, fuori luogo e inappropriata, di Lady Gaga. Intendiamoci, inappropriata non perché politicamente scorretta, anzi, ma per la rinuncia di questa, nonostante un abito Versace non certo misurato, ma tutto sommato brutto, ad una mise confacente alle sue performances provocatorie e nello stesso tempo mercantili.

Ha pagato lo scotto di doversi figurare di fronte ad una vasta platea, ma anche e soprattutto al cospetto di una comunità cattolica che, attraverso i suoi rappresentanti più estremisti (leggi Buttiglione e lo stesso Giovanardi) aveva paventato chissà quali blasfemie a furor di popolo?

Sorpreso piacevolmente dalle capacità vocali della Gaga (bel contralto, non c'è che dire!), ho trovato disdicevole la sua prova da collegio delle orsoline: non solo nella misura del 'taglio' dell'abito, ma nell'atteggiamento stesso e nell'assoluto ridimensionamento dell'attitudine dell'artista a stupire volgarmente. Avrei di molto preferito una mignottona isterica ad un passo dalla possessione luciferina.

Mi si suggerisce invece che l'atteggiamento dell'artista sia stato civile e consapevole, soprattutto nella considerazione di future prese di posizioni sia di chi aborre le unioni di fatto e di chi invece s'augura un adeguamento agli standard europei. Per il dettato che la pax civile sia molto meglio della guerra, sempre civile. Dunque, se vuoi ottenere qualcosa nella vita non è sufficiente scendere a compromessi, ma che quest'ultimi siano accompagnati da una maschera di circostanza che copre l'inganno e lo sputtanamento. Come a dire, in questo caso specifico, che basta un abito – ripetiamo brutto - del defunto Versace per ottenere quello che i PACS, i DICO, o qualsivoglia acronimo sia stato selvaggiamente lanciato, non sono mai riusciti a conquistare?

Sempre per legge transitiva della vita di cui sopra, è allora lecito che simili prospettive siano equiparate ad altri campi dell'intelletto? Metti che so al lavoro del recensore? Mi spiego ancora meglio: è consigliabile, in un ambiente compromesso come quello editoriale, dove per muoversi a volte è necessario lo sdogamine, mantenere un'equidistanza per evitare il distacco definitivo dal Gotha dei potentati?

Non è questione pellegrina, soprattutto per il sottoscritto che recentemente si è visto attribuire peculiarità non proprio urbane in ambito recensorio (ma non è colpa mia, sono gli altri che mi disegnano così). Di più: quanto la stroncatura può essere semplicemente sfogo (se non addirittura invidia) e quanto una sacrosanta invettiva contro un ambiente lassista e recidivo? E' sufficiente che il libro, brutto o bello che sia, in quanto prodotto dell'intelletto umano (se non addirittura fatica) sia dispensato da quasivoglia barbarie? O dobbiamo credere alle iperbole degli uffici stampa che producono capolavori a ritmo industriale senza peraltro il buon senso di confrontarsi?

Mettetevi dunque, lettori, nei panni di chi scrive, anzi, di chi vuol esaminare, senza null'altro a pretendere, come avrebbe detto Totò, un testo recente, romanzo, saggio o qualsivoglia fatica intellettuale. Quale deve essere il suo atteggiamento? Quello 'gaghiano', con o senza vestito Versace, che finge qualche strillo d'effetto, ma poi partorisce una soluzione che sta alla lagnanza come le estasi di Santa Teresa d'Avila stanno alla letteratura erotica, o quello, tutto sommato onesto, di chi ha il coraggio di distinguere il grano dal loglio e di conseguenza, come è d'uso, bruciare quest'ultimo e sfruttare a dovere il primo?

Sul Fatto quotidiano di qualche giorno fa il 'critico' Riccardo Chiaberge si stupefaceva della marchetta di Sandro Veronesi a favore dell'ultimo romanzo di Veltroni, nobilitando l'arte dello scrittore, in quanto scrittore ovvio, non in quanto marchettaro, e un po' meno quella del politico. E rimbrottando la critica letteraria nostrana ormai ridotta a rango di zia borbottona.

Ecco noi orchi non siamo così: meglio, vista l'accusa a me rivolta, l'orco direttore non è così.

Preferirei rimanere nudo piuttosto che esporre mercanzie adatte solo ad una rappresentazione ipocrita della vita e quindi anche dell'arte.

Se un libro fa schifo, e personalmente ritengo che le librerie sono piene di schifezze indigeribili, ho il diritto di suggerirlo. Poi posso anche cantare, come ha fatto – e bene – la Lady Gaga. Perché se lei è un'ottima contralto io ho eccellenti predisposizioni tenorili (e non tenorinali, come avrebbe detto Totò, senza null'altro a pretendere!).











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