RECENSIONI
Enrico Oliari
L'omo delinquente
Prospettiva, Pag. 217 Euro 12,00
"Dàr Pincio ar Vaticano / nun c'è più un buco sano", cantava Anna Magnani negli anni di guerra, così come fu ripresa da Visconti. Alludeva, la matronale soubrette: e però bisognerà ricredersi sul fatto che nelle morigerate epoche precedenti la nostra scollacciata vigesse il mutismo sugli scabrosi argomenti. Fede ne fa il testo che andiamo a presentare: una scorsa, lunga dall'unità d'Italia all'inizio del Novecento, su notevoli casi di cronaca riguardanti quell'amore che ai tempi non osava dire il proprio nome, e però ne riceveva a josa, e corredati di aggettivi non teneri, dagli addetti ai lavori e dal popolo grattaròlo.
Scorrendo Oliari, ci si può dunque abbandonare agli affetti più diversi: dal "che scemi erano i nostri antenati" - come se si trattasse di commentare l'uso del corsetto o le ingiurie alle prime donne in pantaloni -, al "si stava peggio quando si stava peggio" - sciolta tautologia degna di Wittgenstein e di Freak Antoni. In effetti, il semplice inventario di casi, di per sé utilissimo in quanto consente la memoria e perciò il confronto con l'oggi, dunque l'eventuale critica o il riconoscimento di tratti funesti che riemergono, più di tanto non concede al Lettore. E, prefacendo, Giovanni dall'Orto vanta, di Oliari, la non appartenenza a "quel tipo di ricerca accademica (...) che allo studio degli avvenimenti ha privilegiato finora il commento ai commenti": (p. 10) dunque una discreta "matter-o'-factness" è ricercata - l'Autore stesso si garantisce "acritico". (p. 123) Il che è un bene per gettare l'acqua sporca dei masturbatori mentali: tuttavia, bisogna stare attenti a non buttare, assieme, anche il bambino della piccola riflessione sui fatti esposti, in particolare quando si ravvisano collegamenti con l'oggi.
Mi proverò a fornire un campione di ciò che trovo manchi: si rileva nei cronisti dei tempi andati un ricorso a quell'aggettivazione pesante campale che pure oggi si riscontra, a diverso soggetto. E' tutt'un fiorire di "turpi individui", "turpissime cose", "delirii sadici", "mostruosa storia d'amore", "bestialità", "popolazioni raccapricciate", "notizie spaventevoli". Non mancano neppure l'ubriachezza e la narcosi per estorcere il rapporto, (p. 123) le "messe nere", (pp. 93, 107, 126) le "bande di degenerati", (p. 153) le foto oscene in generale e quelle a servire da "cataloghi" (p. 140, nota) per "il commercio di carne umana", (p. 138) e a tramare nell'ombra, al posto delle odierne "lobbies", le "logge massoniche". (p. 112) Chiudono la lista nera gli inviti al pestaggio e il "name and shame", (pp. 200-1) testimonianze del fatto che la madre dei badòla è sempre gravida.
E', tale, un lessico che ben si conosce dai quotidiani e dai periodici d'oggidì, il quale induce a considerare che, come la moneta cattiva caccia la buona, quando la parola satura d'emotività occupa tutte le nicchie espressive, impedisce l'evoluzione della parola ragionata. Ovvero: più si strilla, meno si pensa. Meno si pensa, meno ci si può accorgere se ciò per cui si strilla vale la pena. Difatti: quando si è cominciato a starnazzare di meno, ci si è accorti che gran parte dell'impalcatura ideologico-intellettuale che reggeva le accuse all'omosessualità d'esser crimine e malattia aveva i pilastri marci (e bastò una spintarella per farli cadere in polvere). E ho come l'impressione che ciò accadrà di nuovo, in futuro, per diverse inclinazioni ora oggetto di scherno o d'orrore: quando cioè salteranno i grimaldelli concettuali con i quali si serrano le porte della percezione e quindi dell'intelletto (ove, com'è noto, nulla è, che prima non fu ne' sensi), che son quelli d'allora e come quelli andranno a sbriciolarsi.
Questo, dicevo, va per quel che non c'è: ma anche quel che è dato suscita perplessità. L'Autore, introducendosi, prima considera che "la percezione sociale del reato cambia dal 1859 al 1889 (1): gli italiani non denunciano più all'autorità i casi di omosessualità, a meno che non sia coinvolto un bambino. Di fatto, quindi, la società italiana aveva già, per conto suo, "depenalizzato" l'omosessualità". (p. 19) Ma poco dopo (p. 24) si legge: "non bisogna dimenticare che a lungo i gay e le lesbiche continuarono a subire il peso di una riprovazione sociale che non aveva certo bisogno di leggi per manifestarsi". Insomma, fermo restando che è da dimostrare che gli italiani non denunciassero i froci anche solo in quanto froci, (2) è possibile che nel Bel Paese si "riprovasse socialmente" senza che nessuno, ma proprio nessuno dei "riprovatori sociali" si pigliasse la briga di farsi tutta una corsa fino in questura per mettere, finché si poteva, nero su bianco? Dico: per gli ebrei c'era una "riprovazione sociale" molto inferiore. Eppure, fatte le leggi razziali, non pochi denunciarono - a vergogna loro e della nazione.
Oppure c'è un errore di prospettiva: si vuol anticipare un atteggiamento favorevole, che l'Autore medesimo dice improbabile e che non è del tutto fondato nemmeno adesso, (3) per mostrare che anche all'epoca si sapeva che l'"omo delinquente" non era tanto l'"omo", quanto altri. Spiacevole corollario: se non ci fossero stati quelli (o se magari qualcuno li avesse tolti dalle palle all'"omo perbene") la questione omosessuale si sarebbe risolta eoni fa.
Sia come sia, Oliari ci ricasca: riferendo dello scandalo Krupp (proprio l'industriale dell'acciaio per antonomasia), cita Peyrefitte e Norman Douglas che esaltano la disponibilità dei nativi di Capri e di Ausonia tutta. In sé, l'omaggio è retorico e sballato, e sta bene. Però l'Autore licenzia la seguente invettiva: "più probabilmente, i gentiluomini, i letterati e i borghesi sapevano di poter tranquillamente approfittare dello stato di povertà dei giovani e delle loro famiglie che, specialmente al Sud, pagavano il prezzo di politiche sbagliate e di un'unità non ancora compresa...". (p. 79) Che questa considerazione sia estranea allo spirito del tempo, lo mostrano le fonti stesse citate da Oliari, che parlano sì di sfruttamento, e approfitto - ma dei quali la "vittima" è Krupp!(4) A che pro, allora, la nota? Se non fatta per render conto dell'antico, non resta che dàrla per soddisfare il moderno: è chiaro che qui si ragiona di turismo sessuale, questo Tyrannosaurus Sex che divora i proletari del Terzo Mondo, ed è campanella pavloviana al suono della quale bisogna salivare la risposta esatta. Che è l'articolo del catechismo P.C. che recita "t.sex.=sfruttamento (approfitto) dei tristi tropici" - e che rimanda il Lettore alle cosacce che l'"omo perbene" non fa, e quegli altri sì. E ancora una volta il cerchio si stringe attorno a questi.
Non è questo il luogo per discutere d'un affare che spazia dalla legislazione, all'economia, agli usi o abusi dei popoli, ai caratteri e alle psicologie dei singoli. Mi chiedo solo: quale principale requisito occorre per appioppare la patacca di spennagrulli ai "gentiluomini, letterati", ai Roger Perfide, agli Anormal Douglas e simil fango - non vi va subito, emuli di Hanns Johst, (5) la mano al revolver? A voce di vocabolario (Zanichelli, X ed.) "approfittare" significa o trarre profitto, o avvantaggiarsi sconvenientemente. Ma qui l'unico profitto tangibile l'avevano i cortigiani - i pàtici paganti semmai traevano godere -, e a loro il mestiere per nulla sconveniva, anzi. E dove c'è propria convenienza, è raro si possa far carico a terzi di speculazione.
Ricorderei inoltre, per dare un'idea delle possibili complesse implicature da esaminare prima di tirar dritto al giudizio, che si dàn casi di "ragazzi di famiglia", non spinti dunque dal bisogno, presi a trafficare con i froci - anche a scopo di rapinarli e ricattarli. (6) Che non tutti i poveri sono arrendevoli ai quattrini degli omosessualisti. (7) Che anche tra poveri c'erano scambi omoerotici, e che non sempre era questione di soldi: "A volte vogliono solo il maschio. A volte hanno l'amante fisso. A volte, per arrotondare, ci scappa la marchetta da poche lire". (8) Da che è ben possibile che poveri coi mal protési nervi andassero coi ricchi perché eran già froci del loro, e che i soldi fossero o scusa ("lo faccio solo per quattrini!") o ciliegina sulla torta.
Si evince allora dall'esaminato, che è perlomeno fuori luogo dire, come fa Dall'Orto, che "il commento di Oliari, che essendo un esponente del movimento di liberazione gay italiano non può ovviamente essere quello dei cronisti dell'epoca, è in genere assai discreto, proprio per lasciare maggior spazio al punto di vista di allora". (p. 11) E manco male che è discreto! Inoltre, quell'essere "esponente" ("membro" no, pareva brutto) del gay's lib. italiano (ma esiste ancora?) dà alle sue posizioni un tocco di ufficialità che rende ancor più imbarazzanti i suoi inserti.
Insomma: malgrado le mutande di ghisa fornite dal buon prefatore e alacremente sfoggiate da Oliari, questo libro non entusiasma, e in ciò è diretta testimonianza dello stato attuale dell'arte del gay saber. Da riassumersi, parafrasandolo, con un celebre slogan: "Credevo che il mio passato fosse bianco...","Sì, ma il mio è lavato con "omo"!"
1) il primo gennaio 1890 entrò in vigore il codice Zanardelli, che toglieva l'omosessualità dal novero dei reati;
2) Oliari riporta (cfr. cap. VI) il caso (anno 1883) di due "giovani omosessuali" i quali finirono "ar gàbbio" su denuncia di un tizio che nemmeno li aveva visti dàrsi in culo, ma solo sentiti attraverso la parete della camera d'albergo attigua a quella dei due beati caciaroni. E si deve menzionare che la caccia agli omosessuali in Italia s'è fatta anche e persino in mancanza di titolo di reato - cfr. G. Goretti e T. Giartosio, La città e l'isola, Donzelli, Roma 2006;
3) "Che orrore vedere quella gentaglia del corteo gay insultare il Papa e la Chiesa e che ribrezzo quei genitori che hanno portato i loro bambini. Che vergogna per quei cattolici di sinistra e per quei ministri presenti al corteo". Così un tal Max, in "E-polis", quotidiano gratuito romano, del quattordici marzo 2007. Presumo che il nostro pocogentiluomo si riferisca alla manifestazione (non corteo) unitaria (non gay) sui PACS-DICO, del dieci marzo u.s.. Non solo maleducato, ma anche distratto;
4) "Dei giovinotti hanno ottenuto di fare il volontariato di un anno, con i quattrini del signore, dei pescatori hanno costruito case e ville con i denari di lui, e i pezzi grossi del paese hanno accumulate le centinaia di migliaia (di lire, nota mia) sfruttando lo schifoso ma ricco uomo"; "i soliti abituati a vivere sulle spalle dei ricchi stranieri, gli si fecero intorno.Avevano odorati i milioni, avevano trovato l'uomo"; (pp. 82-3)
5) scrittore e drammaturgo, dal 1935 presidente della Camera per il teatro del Reich, e dell'Associazione degli Scrittori tedeschi. Gli è attribuita la famosa frase alla quale ci si riferisce;
6) Lo rammenta Oliari a p. 118;
7) cfr. don Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, Libreria editrice fiorentina, Firenze 1974, p. 445;
8) La città..., op. cit., p. 23.
di Marco Lanzòl
Scorrendo Oliari, ci si può dunque abbandonare agli affetti più diversi: dal "che scemi erano i nostri antenati" - come se si trattasse di commentare l'uso del corsetto o le ingiurie alle prime donne in pantaloni -, al "si stava peggio quando si stava peggio" - sciolta tautologia degna di Wittgenstein e di Freak Antoni. In effetti, il semplice inventario di casi, di per sé utilissimo in quanto consente la memoria e perciò il confronto con l'oggi, dunque l'eventuale critica o il riconoscimento di tratti funesti che riemergono, più di tanto non concede al Lettore. E, prefacendo, Giovanni dall'Orto vanta, di Oliari, la non appartenenza a "quel tipo di ricerca accademica (...) che allo studio degli avvenimenti ha privilegiato finora il commento ai commenti": (p. 10) dunque una discreta "matter-o'-factness" è ricercata - l'Autore stesso si garantisce "acritico". (p. 123) Il che è un bene per gettare l'acqua sporca dei masturbatori mentali: tuttavia, bisogna stare attenti a non buttare, assieme, anche il bambino della piccola riflessione sui fatti esposti, in particolare quando si ravvisano collegamenti con l'oggi.
Mi proverò a fornire un campione di ciò che trovo manchi: si rileva nei cronisti dei tempi andati un ricorso a quell'aggettivazione pesante campale che pure oggi si riscontra, a diverso soggetto. E' tutt'un fiorire di "turpi individui", "turpissime cose", "delirii sadici", "mostruosa storia d'amore", "bestialità", "popolazioni raccapricciate", "notizie spaventevoli". Non mancano neppure l'ubriachezza e la narcosi per estorcere il rapporto, (p. 123) le "messe nere", (pp. 93, 107, 126) le "bande di degenerati", (p. 153) le foto oscene in generale e quelle a servire da "cataloghi" (p. 140, nota) per "il commercio di carne umana", (p. 138) e a tramare nell'ombra, al posto delle odierne "lobbies", le "logge massoniche". (p. 112) Chiudono la lista nera gli inviti al pestaggio e il "name and shame", (pp. 200-1) testimonianze del fatto che la madre dei badòla è sempre gravida.
E', tale, un lessico che ben si conosce dai quotidiani e dai periodici d'oggidì, il quale induce a considerare che, come la moneta cattiva caccia la buona, quando la parola satura d'emotività occupa tutte le nicchie espressive, impedisce l'evoluzione della parola ragionata. Ovvero: più si strilla, meno si pensa. Meno si pensa, meno ci si può accorgere se ciò per cui si strilla vale la pena. Difatti: quando si è cominciato a starnazzare di meno, ci si è accorti che gran parte dell'impalcatura ideologico-intellettuale che reggeva le accuse all'omosessualità d'esser crimine e malattia aveva i pilastri marci (e bastò una spintarella per farli cadere in polvere). E ho come l'impressione che ciò accadrà di nuovo, in futuro, per diverse inclinazioni ora oggetto di scherno o d'orrore: quando cioè salteranno i grimaldelli concettuali con i quali si serrano le porte della percezione e quindi dell'intelletto (ove, com'è noto, nulla è, che prima non fu ne' sensi), che son quelli d'allora e come quelli andranno a sbriciolarsi.
Questo, dicevo, va per quel che non c'è: ma anche quel che è dato suscita perplessità. L'Autore, introducendosi, prima considera che "la percezione sociale del reato cambia dal 1859 al 1889 (1): gli italiani non denunciano più all'autorità i casi di omosessualità, a meno che non sia coinvolto un bambino. Di fatto, quindi, la società italiana aveva già, per conto suo, "depenalizzato" l'omosessualità". (p. 19) Ma poco dopo (p. 24) si legge: "non bisogna dimenticare che a lungo i gay e le lesbiche continuarono a subire il peso di una riprovazione sociale che non aveva certo bisogno di leggi per manifestarsi". Insomma, fermo restando che è da dimostrare che gli italiani non denunciassero i froci anche solo in quanto froci, (2) è possibile che nel Bel Paese si "riprovasse socialmente" senza che nessuno, ma proprio nessuno dei "riprovatori sociali" si pigliasse la briga di farsi tutta una corsa fino in questura per mettere, finché si poteva, nero su bianco? Dico: per gli ebrei c'era una "riprovazione sociale" molto inferiore. Eppure, fatte le leggi razziali, non pochi denunciarono - a vergogna loro e della nazione.
Oppure c'è un errore di prospettiva: si vuol anticipare un atteggiamento favorevole, che l'Autore medesimo dice improbabile e che non è del tutto fondato nemmeno adesso, (3) per mostrare che anche all'epoca si sapeva che l'"omo delinquente" non era tanto l'"omo", quanto altri. Spiacevole corollario: se non ci fossero stati quelli (o se magari qualcuno li avesse tolti dalle palle all'"omo perbene") la questione omosessuale si sarebbe risolta eoni fa.
Sia come sia, Oliari ci ricasca: riferendo dello scandalo Krupp (proprio l'industriale dell'acciaio per antonomasia), cita Peyrefitte e Norman Douglas che esaltano la disponibilità dei nativi di Capri e di Ausonia tutta. In sé, l'omaggio è retorico e sballato, e sta bene. Però l'Autore licenzia la seguente invettiva: "più probabilmente, i gentiluomini, i letterati e i borghesi sapevano di poter tranquillamente approfittare dello stato di povertà dei giovani e delle loro famiglie che, specialmente al Sud, pagavano il prezzo di politiche sbagliate e di un'unità non ancora compresa...". (p. 79) Che questa considerazione sia estranea allo spirito del tempo, lo mostrano le fonti stesse citate da Oliari, che parlano sì di sfruttamento, e approfitto - ma dei quali la "vittima" è Krupp!(4) A che pro, allora, la nota? Se non fatta per render conto dell'antico, non resta che dàrla per soddisfare il moderno: è chiaro che qui si ragiona di turismo sessuale, questo Tyrannosaurus Sex che divora i proletari del Terzo Mondo, ed è campanella pavloviana al suono della quale bisogna salivare la risposta esatta. Che è l'articolo del catechismo P.C. che recita "t.sex.=sfruttamento (approfitto) dei tristi tropici" - e che rimanda il Lettore alle cosacce che l'"omo perbene" non fa, e quegli altri sì. E ancora una volta il cerchio si stringe attorno a questi.
Non è questo il luogo per discutere d'un affare che spazia dalla legislazione, all'economia, agli usi o abusi dei popoli, ai caratteri e alle psicologie dei singoli. Mi chiedo solo: quale principale requisito occorre per appioppare la patacca di spennagrulli ai "gentiluomini, letterati", ai Roger Perfide, agli Anormal Douglas e simil fango - non vi va subito, emuli di Hanns Johst, (5) la mano al revolver? A voce di vocabolario (Zanichelli, X ed.) "approfittare" significa o trarre profitto, o avvantaggiarsi sconvenientemente. Ma qui l'unico profitto tangibile l'avevano i cortigiani - i pàtici paganti semmai traevano godere -, e a loro il mestiere per nulla sconveniva, anzi. E dove c'è propria convenienza, è raro si possa far carico a terzi di speculazione.
Ricorderei inoltre, per dare un'idea delle possibili complesse implicature da esaminare prima di tirar dritto al giudizio, che si dàn casi di "ragazzi di famiglia", non spinti dunque dal bisogno, presi a trafficare con i froci - anche a scopo di rapinarli e ricattarli. (6) Che non tutti i poveri sono arrendevoli ai quattrini degli omosessualisti. (7) Che anche tra poveri c'erano scambi omoerotici, e che non sempre era questione di soldi: "A volte vogliono solo il maschio. A volte hanno l'amante fisso. A volte, per arrotondare, ci scappa la marchetta da poche lire". (8) Da che è ben possibile che poveri coi mal protési nervi andassero coi ricchi perché eran già froci del loro, e che i soldi fossero o scusa ("lo faccio solo per quattrini!") o ciliegina sulla torta.
Si evince allora dall'esaminato, che è perlomeno fuori luogo dire, come fa Dall'Orto, che "il commento di Oliari, che essendo un esponente del movimento di liberazione gay italiano non può ovviamente essere quello dei cronisti dell'epoca, è in genere assai discreto, proprio per lasciare maggior spazio al punto di vista di allora". (p. 11) E manco male che è discreto! Inoltre, quell'essere "esponente" ("membro" no, pareva brutto) del gay's lib. italiano (ma esiste ancora?) dà alle sue posizioni un tocco di ufficialità che rende ancor più imbarazzanti i suoi inserti.
Insomma: malgrado le mutande di ghisa fornite dal buon prefatore e alacremente sfoggiate da Oliari, questo libro non entusiasma, e in ciò è diretta testimonianza dello stato attuale dell'arte del gay saber. Da riassumersi, parafrasandolo, con un celebre slogan: "Credevo che il mio passato fosse bianco...","Sì, ma il mio è lavato con "omo"!"
1) il primo gennaio 1890 entrò in vigore il codice Zanardelli, che toglieva l'omosessualità dal novero dei reati;
2) Oliari riporta (cfr. cap. VI) il caso (anno 1883) di due "giovani omosessuali" i quali finirono "ar gàbbio" su denuncia di un tizio che nemmeno li aveva visti dàrsi in culo, ma solo sentiti attraverso la parete della camera d'albergo attigua a quella dei due beati caciaroni. E si deve menzionare che la caccia agli omosessuali in Italia s'è fatta anche e persino in mancanza di titolo di reato - cfr. G. Goretti e T. Giartosio, La città e l'isola, Donzelli, Roma 2006;
3) "Che orrore vedere quella gentaglia del corteo gay insultare il Papa e la Chiesa e che ribrezzo quei genitori che hanno portato i loro bambini. Che vergogna per quei cattolici di sinistra e per quei ministri presenti al corteo". Così un tal Max, in "E-polis", quotidiano gratuito romano, del quattordici marzo 2007. Presumo che il nostro pocogentiluomo si riferisca alla manifestazione (non corteo) unitaria (non gay) sui PACS-DICO, del dieci marzo u.s.. Non solo maleducato, ma anche distratto;
4) "Dei giovinotti hanno ottenuto di fare il volontariato di un anno, con i quattrini del signore, dei pescatori hanno costruito case e ville con i denari di lui, e i pezzi grossi del paese hanno accumulate le centinaia di migliaia (di lire, nota mia) sfruttando lo schifoso ma ricco uomo"; "i soliti abituati a vivere sulle spalle dei ricchi stranieri, gli si fecero intorno.Avevano odorati i milioni, avevano trovato l'uomo"; (pp. 82-3)
5) scrittore e drammaturgo, dal 1935 presidente della Camera per il teatro del Reich, e dell'Associazione degli Scrittori tedeschi. Gli è attribuita la famosa frase alla quale ci si riferisce;
6) Lo rammenta Oliari a p. 118;
7) cfr. don Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, Libreria editrice fiorentina, Firenze 1974, p. 445;
8) La città..., op. cit., p. 23.
di Marco Lanzòl
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