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Alfredo Ronci

La fantascienza romantica di Ray Bradbury: 'Cronache marziane'.

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Ha ragione chi dice che Bradbury è un autore 'prestato' alla fantascienza: non vi è nulla in lui che possa vagamente ricordare il classico scrittore di storie future o addirittura di distopie. Il suo è un mondo poetico fatto di improvvisi abbagli, di intuizioni anche giocose e di un'umanità derelitta: chissà, ma I pascoli del cielo di John Steinbeck, è quanto di più 'consanguineo' gli si possa accostare.

Cronache marziane, nel 1950, fu praticamente l'esordio romanzesco dello scrittore: in un clima da guerra fredda, col terrore di un disastro nucleare sempre incombente, Bradbury racconta la storia della colonizzazione di Marte, come sorta di necessità, ci verrebbe da dire quasi fisiologica, degli uomini di riappropriarsi di una verginità di fondo. Il pianeta rosso (che nel libro non lo è mai, anzi, a volte è addirittura grigio) non solo come emblema della conquista dello spazio da parte della collettività evoluta, ma anche la chiave di volta di una nuova rappresentazione del genere umano.

Ma l'occupazione di questo mondo non risolve le questioni di fondo del vivere civile e dell'etica: Bradbury, autore di morale adamantina rifiuta la visione di un antropocentrismo invadente. Di un controllo sistematico di una razza sull'altra. Dunque rifiuta improbabili superiorità genetiche: al contrario spezza una lancia a favore di un rispetto universale per le diversità.

Lo scontro è evidente quando nel dialogo tra due militari che sono scesi su Marte, uno dice all'altro: Non ci pensate. Lasciate piuttosto che vi faccia una domanda. Che cosa fareste se foste marziani e un popolo straniero venisse nella vostra terra e cominciasse a straziarla?

Il problema è a monte: non riguarda soltanto la presunta idea di un'egemonia 'terrestre', quanto il modo di vedere il mondo e le sue qualità minate alla base. Il problema del nazismo per esempio non era quello di propugnare una superiorità razziale, quanto l'incapacità ad adeguarsi alle differenze. Alle sue 'parzialità'. In questo Bradbury è assolutamente convincente nel rappresentarci una cultura limitata: I marziani conoscevano l'arte di mescolare il bello alla vita indissolubilmente. L'arte invece per gli americani è sempre stata una cosa a sé. Una cosa, l'arte, che gli americani tengono di sopra, nella camera del figlio picchiatello. Qualcosa da prendere a dosi domenicali, mescolata con un po' di religione, magari. In Cronache marziane Bradbury anticipa il tema che sarà essenziale nel suo libro di maggior successo: Farenheit 451. Quello del sapere visto come elemento perturbante. Anche qui si immaginano roghi di libri e di scrittori 'fastidiosi': Lui, e Lovecraft e Hawthorne e Ambrose Bierce e tutti i racconti di terrore, fantasia, orrore, sì, i racconti avveniristici sono stati bruciati a furor di popolo, Bigelow. Spietatamente. Era stata approvata una certa legge. Oh, l'inizio era stato quasi inavvertito. Tra il 1950 e il 1960, poco più di un granello di sabbia. Si cominciò col passare sotto censura i libri di vignette umoristiche, poi i romanzi gialli e, naturalmente, i films, questa o quella tendenza, questo o quel gruppo, ideologie politiche, pregiudizi di carattere religioso, pressioni sindacali; c'era già una minoranza, che aveva paura di qualche cosa, e una maggioranza che aveva paura del buio, paura del passato, paura del futuro, paura del presente, paura di sé e della propria ombra per giunta.

Cronache marziane è ambientato in un periodo che va dal gennaio 1999 (L'estate del razzo) fino all'Ottobre 2026 (La gita di un milione di anni) E quest'ultimo 'frammento' racconta la struggente sopravvivenza dell'ultima famiglia 'terrestre' rimasta su Marte (nel frattempo tutta la popolazione che era arrivata sul pianeta è ripartita per la Terra, richiamata dalla scoppio di una guerra atomica) che specchiandosi nell'acqua di un canale capisce che ormai gli unici 'marziani' sono proprio loro: E i marziani rimasero là, a guardarli dal basso, per molto, molto tempo, in silenzio, a guardarli dall'acqua che si increspava lieve....

Il libro contiene inevitabili ingenuità, vuoi per il trascorrere del tempo, vuoi perché Bradbury essendo 'solo' scrittore e non scienziato, come poteva essere all'epoca un Asimov, aveva una visione parziale di probabili sviluppi (ve lo immaginate un uomo che nel 2005 chiama al telefono e si sente rispondere: La signorina Helen Arasumian non è in casa. Vuol lasciare un messaggio sul rocchetto metallico...), ma tutto ciò non toglie nulla ad una storia profondamente toccante e poetica e per certi versi anche profetica. E insegna che il destino degli uomini è segnato non dalla forza, ma dalla capacità di adattamento alle leggi di natura. Al di la di qualsiasi servilismo.









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