ATTUALITA'
Alfredo Ronci
La legge Biagi e il gay-pride
Lunedi 18 Giugno, sulle pagine del Corriere della Sera il giuslavorista Pietro Ichino, tra l'altro uno dei nomi indicati dalle BR come possibile bersaglio, definiva "leggende" (1) le critiche alla legge Biagi, peraltro sempre più corpose negli ultimi tempi (andate, a riguardo, sul sito di Beppe Grillo e scaricate gratuitamente il libro inchiesta Schiavi moderni. Il precario nell'Italia delle meraviglie) e, conti alla mano, esplicitava il suo dissenso riguardo l'eventuale responsabilità di quel decreto.
Non sta a me, soprattutto in questo contesto, verificare o meno l'attendibilità o la correttezza di certi "conti" e controbattere. Però, e mi si passi l'espressione "cinica" l'operazione è riuscita, ma il paziente è morto (il lavoratore precario s'intenda), quel che ci sta attorno e che possiamo toccare con mano, giorno dopo giorno, non ha nulla a che vedere con le istanze di certi economisti.
Ho citato l'articolo di Ichino perché il suo modo di esporre motivazioni e perplessità rappresenta un perfetto esempio di quel che si definisce "far politica" in Italia. L'assenza quasi totale di un riscontro oggettivo al di là dei dati (lo so, può sembrare un paradosso) che possano essere portati a sostegno di una tesi.
Non ho nessuna intenzione di parlare di economia, non avendo nemmeno i mezzi necessari, ma l'articolo del giuslavorista sulle colonne del Corsera mi serve d'aggancio: cosa ha di oggettivamente realistico una legge come quella dei Dico se confrontata con un movimento e con una forza che il recente gay-pride ha dimostrato?
La stipendiata della Confindustria, Lucia Annunziata, , subito dopo il family day, sulle pagine della Stampa (2) suggeriva alla sinistra di tener conto sia della grossa manifestazione e sia, ovvio, delle richieste di quella "parte" della società che si era così diligentemente e operosamente espressa e convogliata. Non mi risulta, ma vorrei essere smentito, che la giornalista abbia avuto lo stesso slancio "altruistico" riguardo al gay-pride che, stando ai numeri e alle immagini dei telegiornali non di regime, ha avuto un riscontro ben più partecipativo.
Mi preme dirlo però: accanto alla deplorevole censura, quando si parla di froci, degli organi di informazione (il Tg1 di Gianni Riotta è sempre più scuola Bernabei), vi è nella società e nella cultura italiane un'assenza quasi totale di un intellighenzia omosessuale di appoggio che proponi istanze ed alzi la voce per rivendicare diritti sacrosanti per sé e per il movimento.
Mi suggerisce questa considerazione l'uscita di recente di un libro di interviste fatta dal buon Francesco Gnerre e da Gian Pietro Leonardi ad un gruppo nutrito di scrittori omosessuali (3).
Bene: quanti di questi, che non esitano ad apparire quando si tratta di celebrarsi e pubblicizzarsi, erano sabato 16 giugno a sfilare al gay-pride?
Personalmente sono stufo di vedere in Tv il "rivistaiolo" Busi ancheggiare sempre più spesso per gli studi Mediaset e poi imbestialirsi quando si affronta il problema dell'omosessualità come se la sua fosse una "forma" originale e doc (peraltro Busi, ça va sans dire, assente nel libro di Gnerre-Leonardi).
Sono stanco di assistere al "razzismo-amico", sempre più subdolo e pericoloso, di quelle "frange" omosessuali che, per apparire sempre più normali ed edificanti (quanto aveva ragione Pasolini nel detestare la così detta tolleranza cristiana. Ha fatto più danni quest'ultima che la violenza squadrista) emarginano le "porzioni" più festaiole e colorate, per non dire "pericolose", del movimento.
Sul palco del gay-pride è uscita fuori una sacrosanta verità: le organizzazioni gay, tutte insieme e con pochissimi mezzi, sono riuscite nel miracolo di portare in piazza dalle cinquecentomila al milione di persone (secondo differenti stime, ma che non è riuscito al movimento cattolico, in occasione del family-day, disponendo peraltro dell'appoggio delle migliaia e migliaia di parrocchie presenti sul nostro territorio e dell'appoggio incondizionato della stampa).
Perché disperdere un patrimonio (mi verrebbe da dire matrimonio) siffatto? E perché dunque, ed insisto, l'assenza vergognosa di una cultura gay che c'è, esiste, è presente, ma che sa difendere solo e soltanto le proprie fortezze di privilegio?
Ci dobbiamo forse aspettare, come ha fatto Ichino sul Corsera, un articolo di Fassino, magari su La Repubblica, che ci ricordi la bontà di una legge iniqua e anacronistica come quella dei Dico, quando tutt'attorno il mondo va verso altre direzioni?
(1) Le leggende sulla Biagi – Corriere della Sera – 18 Giugno2007
(2) Sinistra, ascolta San Giovanni – La Stampa – 14 maggio 2007
(3) Noi e gli altri. Riflessioni sullo scrivere gay – Il dito e la luna - 2007
Non sta a me, soprattutto in questo contesto, verificare o meno l'attendibilità o la correttezza di certi "conti" e controbattere. Però, e mi si passi l'espressione "cinica" l'operazione è riuscita, ma il paziente è morto (il lavoratore precario s'intenda), quel che ci sta attorno e che possiamo toccare con mano, giorno dopo giorno, non ha nulla a che vedere con le istanze di certi economisti.
Ho citato l'articolo di Ichino perché il suo modo di esporre motivazioni e perplessità rappresenta un perfetto esempio di quel che si definisce "far politica" in Italia. L'assenza quasi totale di un riscontro oggettivo al di là dei dati (lo so, può sembrare un paradosso) che possano essere portati a sostegno di una tesi.
Non ho nessuna intenzione di parlare di economia, non avendo nemmeno i mezzi necessari, ma l'articolo del giuslavorista sulle colonne del Corsera mi serve d'aggancio: cosa ha di oggettivamente realistico una legge come quella dei Dico se confrontata con un movimento e con una forza che il recente gay-pride ha dimostrato?
La stipendiata della Confindustria, Lucia Annunziata, , subito dopo il family day, sulle pagine della Stampa (2) suggeriva alla sinistra di tener conto sia della grossa manifestazione e sia, ovvio, delle richieste di quella "parte" della società che si era così diligentemente e operosamente espressa e convogliata. Non mi risulta, ma vorrei essere smentito, che la giornalista abbia avuto lo stesso slancio "altruistico" riguardo al gay-pride che, stando ai numeri e alle immagini dei telegiornali non di regime, ha avuto un riscontro ben più partecipativo.
Mi preme dirlo però: accanto alla deplorevole censura, quando si parla di froci, degli organi di informazione (il Tg1 di Gianni Riotta è sempre più scuola Bernabei), vi è nella società e nella cultura italiane un'assenza quasi totale di un intellighenzia omosessuale di appoggio che proponi istanze ed alzi la voce per rivendicare diritti sacrosanti per sé e per il movimento.
Mi suggerisce questa considerazione l'uscita di recente di un libro di interviste fatta dal buon Francesco Gnerre e da Gian Pietro Leonardi ad un gruppo nutrito di scrittori omosessuali (3).
Bene: quanti di questi, che non esitano ad apparire quando si tratta di celebrarsi e pubblicizzarsi, erano sabato 16 giugno a sfilare al gay-pride?
Personalmente sono stufo di vedere in Tv il "rivistaiolo" Busi ancheggiare sempre più spesso per gli studi Mediaset e poi imbestialirsi quando si affronta il problema dell'omosessualità come se la sua fosse una "forma" originale e doc (peraltro Busi, ça va sans dire, assente nel libro di Gnerre-Leonardi).
Sono stanco di assistere al "razzismo-amico", sempre più subdolo e pericoloso, di quelle "frange" omosessuali che, per apparire sempre più normali ed edificanti (quanto aveva ragione Pasolini nel detestare la così detta tolleranza cristiana. Ha fatto più danni quest'ultima che la violenza squadrista) emarginano le "porzioni" più festaiole e colorate, per non dire "pericolose", del movimento.
Sul palco del gay-pride è uscita fuori una sacrosanta verità: le organizzazioni gay, tutte insieme e con pochissimi mezzi, sono riuscite nel miracolo di portare in piazza dalle cinquecentomila al milione di persone (secondo differenti stime, ma che non è riuscito al movimento cattolico, in occasione del family-day, disponendo peraltro dell'appoggio delle migliaia e migliaia di parrocchie presenti sul nostro territorio e dell'appoggio incondizionato della stampa).
Perché disperdere un patrimonio (mi verrebbe da dire matrimonio) siffatto? E perché dunque, ed insisto, l'assenza vergognosa di una cultura gay che c'è, esiste, è presente, ma che sa difendere solo e soltanto le proprie fortezze di privilegio?
Ci dobbiamo forse aspettare, come ha fatto Ichino sul Corsera, un articolo di Fassino, magari su La Repubblica, che ci ricordi la bontà di una legge iniqua e anacronistica come quella dei Dico, quando tutt'attorno il mondo va verso altre direzioni?
(1) Le leggende sulla Biagi – Corriere della Sera – 18 Giugno2007
(2) Sinistra, ascolta San Giovanni – La Stampa – 14 maggio 2007
(3) Noi e gli altri. Riflessioni sullo scrivere gay – Il dito e la luna - 2007
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