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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Adriano Angelini

La nuova rabbia e il nuovo orgoglio

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Vorrei davvero che Oriana Fallaci fosse qui, tra di noi, probabilmente rimarrebbe schifata da un sacco di cose. Probabilmente ci sarebbero ancora i canterini della sinistra salottiera a lanciarle anatemi addosso. Probabilmente ci sarebbero i finti liberali della destra parlamentar-eversiva a fingere di applaudirla, di difendere le ragioni del femminile e poi tornati a casa pronti a rivestire i panni del paparino-padroncino di non lontana memoria crociana. Scrivo questo all'indomani di due episodi gravissimi, occorsi ieri in questo tratto di territorio che costituisce il pianeta Terra e che qualcuno chiama Italia. Il parlamento di questo territorio costituito in nazione ha votato contro la legge che stabiliva il reato di omofobia; un reato che all'indomani delle varie aggressioni contro persone con orientamento omosessuale avvenute soprattutto a Roma (l'ultima l'altro ieri a via del Corso contro una coppia di ragazzi rei di essersi vestiti in pelle) negli ultimi mesi si era pensato, male purtroppo, fosse necessaria. La legge è stata respinta. La maggioranza di centro destra ha sollevato le pregiudiziali di costituzionalità e la legge è stata affossata. Con la maggioranza ha votato parte del PD e anche la signora onorevole Paola Binetti, la cattolicissima deputata dello stesso Partito Democratico, quella che ha dichiarato di usare il cilicio (sì, come l'assassino del Codice Da Vinci che si fustigava per far contento Dio, e l'Opus Dei). Sentite le sue parole: «Per come era formulata la legge, le mie opinioni sull'omosessualità, e quelle di tante altre persone, potevano essere individuate come un reato». Reato è che lei sieda in parlamento, cara signora Binetti, non che lei esprima doverosamente un parere. Reato è che il suo pensiero influenzi la mia e la vita di tanti altri omosessuali che non sono più liberi di starsene per i fatti loro senza il rischio di venire assaliti da giustizieri incarogniti dalla società che anche lei ha contribuito a creare e che hanno la faccia da ragazzini di borgata deboli e quindi feroci.

Ma non è tutto. Sempre ieri, nella civilissima Padova, in quel civilissimo Veneto governato da quei mangia musulmani dei leghisti, un ragazzo maghrebino (e musulmano), ubriaco, ha aggredito due ragazze lesbiche che sostavano davanti a un bar 'gay friendly' e si baciavano. Avete capito bene; ne ha buttata una a terra e dopo averla malmenata ha sputato in terra affermando che al suo Paese sarebbero state lapidate. Mi chiedo: dove sta il governatore Galan, dove stanno i vari sindaci sceriffi che puliscono i vagoni dei treni dove siedono gli extracomunitari, dove stanno quei biliosi adoratori di Odino, perché non fanno sentire le loro roche voci da ubriaconi per denunciare l'inaccettabile, mastodontico gesto fatto da quell'insulso essere umano proveniente da quel pezzo di territorio del pianeta Terra chiamato (in italiano) Marocco? Dove stanno i comunicati indignati dei centri sociali che difendono a spada tratta ogni essere umano con carnagione scura purché serva loro per continuare a propagandare la loro ideologia precostituita che tra l'altro prevederebbe anche la difesa di tutti i diversi (vero Casarin?).

La situazione è di una gravità assoluta perché, sembra, che i fedelissimi delle varie religioni stiano fingendo di combattersi l'un l'altro e in realtà, insieme e tacitamente, stanno costruendo un mondo a forma di cella, la forma della loro povera mente, un mondo a forma di trincea e steccato, un mondo a forma di segnale di divieto, di lancia e scudo, armatura e idoli da riadorare ciecamente, che sia un crocefisso sotto la foto del presidente della Repubblica, un candelabro a sette braccia o una mezzaluna su una moschea. E noi siamo stanchi. Per questo voglio ispirarmi a Oriana, la grandissima Oriana Fallaci, e lanciare un nuovo grido di rabbia e di orgoglio. La rabbia è contro tutte le religioni, nessuna esclusa (non le nomino per disprezzo) e contro tutti i suoi accecati seguaci che stanno diffondendo odio su odio, che si nascondono dietro astratti valori e dogmi per giustificare le loro psicopatie e insoddisfazioni interiori. La rabbia è contro la non volontà dei laici (quelli che siedono in parlamento e decidono per le nostre vite e quelli che occupano posizioni di rilievo sociale) di opporre una vera resistenza, per pavidità e calcolo politico, per inettitudine o anche per malafede (vero signora Binetti?). La rabbia è contro un'idea di mondo che si vuole ancora e sempre duale; l'un contro l'altro armati diceva il poeta, divisi e sottomessi, soggiogati da un potere che se la ride sotto i baffi per riuscire, in ogni frangente, ad avere la meglio su chi, poveraccio, cerca una risposta all'insensatezza della sua vita e qualcun altro gliela porge come una scatoletta di tonno su uno scaffale. Bell'e pronta (testo sacro, atti penitenziali o preghiere che siano). Da mangiare o da scagliare contro il primo nemico immaginario. La rabbia è contro il Dio maschio, chiunque esso sia. Contro il principio archetipico paterno e autoritario che mutaforma come un rettile cangiante ma ritorna sempre, in ogni epoca e in ogni dove, a far schizzare il suo laido pene perpetrando, come l'infame dio Brahma, un incesto infinito e una nascita prematura che Shiva non riesce a fermare. La rabbia è contro la falsa salvezza propagandata dalle istituzioni religiose e dalla finta libertà venduta dalle multinazionali che governano il pianeta tramite i parlamenti. E l'orgoglio?

L'orgoglio è quello di continuare a sentirsi, nonostante tutto, persone libere davvero. Liberi di poter apprezzare o disprezzare ogni cosa senza vincoli e condizionamenti politico ideologici o religiosi, liberi di aderire alle proprie o alle altrui tradizioni, o semplicemente rifiutarle. Liberi di essere (non fare gli) iconoclasti. Di perdere giorno dopo giorno le proprie certezze, di abbandonare tutte le verità precostituite, liberi di amare il dubbio, l'assurdo e l'insensatezza. Liberi, seppure, di non dover mai schierarsi né col presunto bene tanto meno col presunto male. E' l'orgoglio di chi rivendica un distacco che altri temono e contro cui spergiurano. Distacco da questo mondo come ce l'hanno messo davanti e come vogliono continuare a vendercelo. Liberi di amare la vita e la morte insieme o nessuna delle due. Liberi di essere o di non essere oppure di avere per dover essere o non essere. L'orgoglio è poter dire di essere libero quando si ha il coraggio di ridere del proprio modo di stare al mondo, di metterlo in discussione, di non prendersi mai sul serio. Liberi dal pregiudizio del non si può dire se no. Per questo, vorrei tornare ancora, in ultimo, sull'episodio, gravissimo, di Padova. Vorrei capire cosa dice la sinistra radicale di questa enormità, vorrei capire come si fa a non vedere che non è più accettabile che si combatta un crociato inviperito come papa Ratzinger e non si ha il coraggio di prendere i mullah per i capelli e sbatterli a calci in culo fuori dal Paese, visto che per liberarsi del Vaticano ci vorrebbero gli eserciti e i trattati internazionali. E', quello di Padova, un episodio che si inquadra in un clima pericoloso, di tutti contro tutti, a tutti i livelli, che anche nell'eterno livore degli 'opposti estremismi' (vero Fanfani?) qualcuno sta cercando di rinfocolare. Ha ragione Pansa, ieri sul Corriere della Sera; denunciava la minaccia di un riaccendersi di un clima di anni'70 che i soliti Picconatori che siedono nell'ombra sanno tramare ad arte. E riescono benissimo nel loro intento. Stanno riportando le persone a non ammettere l'esistenza dell'altro. A Roma i fascistelli si scagliano contro i froci (bersaglio facile direi!). Oppure uccidono a coltellate un giovane che esce da una serata in un locale alternativo di Focene (qualcuno ricorda nel 2006 l'uccisione di Renato Biagetti?). A Pistoia e Napoli vengono attaccate le sedi di Casa Pound. A Padova, appunto, un marocchino picchia una lesbica. E nella stessa città, nel liceo pubblico del centro storico, la preside decide che gli alunni, anche quelli delle medie, porteranno una divisa (casual e moderna ma sempre divisa, notizia di ieri del Tg2 Costume &Società). Bastoni, carote, divisioni e guerre tra poveri. Come si vede, non si fanno distinzioni. La società multirazzista (prendo a prestito questo bellissimo neologismo coniato da Gianluca Iannone di Casa Pound) è in marcia e sembra che nessuno possa fermarla. Per fermarla servono, adesso è praticamente impellente, nuove voci, rabbiose e orgogliose, che sveglino le coscienze e che superino gli steccati; che ci proiettino, come diceva Pier Paolo Pasolini in quel capolavoro in versi che è (guarda caso) "La Rabbia", nel cosmo, a cui apparteniamo per davvero (dice Pasolini: interrotte o chiuse o sanguinanti, le vie della Terra, ecco che si apre, timidamente, la via del cosmo): non le nazioni, gli stati, le ideologie, le religioni, o gli ideali politici. Non l'odio di chi, sperduto e claudicante, non sa alzare le testa in alto e guardare la meraviglia sopra di lui che non ha nome né colore né razza e tanto meno un Dio. Anzi, quest'ultimo men che meno. E seppure ci fosse e fosse davvero come ce lo hanno descritto, per riprendere un altro pezzo di storia della letteratura, verrebbe voglia di avvicinarglisi piano piano per sputargli in un occhio (grazie Henry Miller).







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