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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

La santificazione e l'etichettatura dei 'poeti'.

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Si sa, il caldo fa male alla testa e rende nervosi e tra l'altro temevamo una notizia del genere, perché secondo il detto andreottiano, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina.

E quale sarebbe la notizia in piena afa? La riporta il portale Ansa in data 4 agosto. La trascrivo integralmente: Profuma di pesto e non potrebbe essere altrimenti. Ma anche di mirto, pasta fresca lavorata a mano, fiori di zucca, lepre al salmì. E' il libro delle ricette di Fabrizio de André, ereditato da Tonina Puddu e Agostino Zizu, i cuochi dell'Agnata, l'agriturismo di Tempio Pausania fondato dal cantautore genovese e dalla moglie Dori Ghezzi. A loro come segno di amicizia e stima l'autore di 'Via del Campo' scomparso nel 1999, aveva regalato il suo ricettario scritto a mano, a penna blu, e custodito in un quaderno con la rilegatura ad anelli. Contiene una trentina di istruzioni, spiegate passo dopo passo, di tutte le fasi della preparazione delle specialità liguri, ma anche della tradizione sarda. Testimonia preziosa della passione gastronomica del grande cantautore genovese che scelse la Sardegna come terra d'adozione. "Guai se mancavano le pastelle, erano la sua passione - raccontano i suoi amici cuochi - Per ogni piatto inventava una ricetta diversa, era spesso in cucina per dare indicazioni e suggerimenti e carpire i segreti dell'arte culinaria di questa isola che amava". Scorrendo il quaderno si trovano infatti accanto a ravioli alla genovese, ortaggi ripieni, fagiolini fritti, fiori di zucca, lepre al salmì, uova affogate, anche 'su trataliu' (coratella di agnello allo spiedo) o il liquore di mirto. Ora questo documento è conservato gelosamente tra i mille ricordi che l'artista ha lasciato durante il suo buen retiro gallurese. Tonina questo ricettario se lo tiene ben stretto, ogni tanto prova a rifare un piatto seguendo le indicazioni dell'autore. Tra le sue ricette preferite, racconta, ci sono i ravioli alla genovese con le animelle di agnello e il rosmarino. Ecco ingredienti e preparazione secondo il genio culinario di De André. Ravioli alla genovese per 60 persone: farina kg 5, 20 uova, cinque chili di carne magra di bue, olio, strutto, cipolla, aglio, rosmarino, vino rosso tre bicchieri colmi, pomodori freschi, erbette, 20 arance, dieci cervelli di agnello o maialetto, un chilo di animelle di agnello, un chilo di salsiccia fresca, parmigiano grattugiato, venti cucchiai di latte cagliato, maggiorana. Per la pasta: mettere sul tavolo cinque grammi di farina, dieci uova intere, sale e aggiungere man mano acqua, per ottenere una pasta molto morbida - segnalava l'artista - occorreranno quindici bicchieri di acqua. La ricetta contiene anche le indicazioni dettagliate per sugo e ripieno.

Ora, quando noi si diceva che l'esagerate celebrazioni post-mortem di De André avrebbero portato prima o poi alla pubblicazione della lista della spesa, non eravamo molto lontani dalla verità. Non mi pare che tutto questo sia stato fatto per Battisti (non era un poeta? E meno male!), quindi dove sta il problema? (Semmai problema esista e qualcuno ci perda anche il sonno?). Molto probabile nella figura e nell'azione della Dori Ghezzi che, non avendo fatto un cazzo nella sua vita tranne che cantare Casatchok, far coppia col povero Wess ed essersi accompagnata con l'illustre cantautore, si diletta ora in operazioni scellerate. Verrebbe da consigliarle, nel suo bene ancorché nel nostro, di chiudere, come si suol dire, il rubinetto e farla finita con simili castronerie (Fazio permettendo).

La santificazione ci è sempre stata sugli zebedei ed il fatto che venga fatto per un artista che proprio per la sua grandezza meriterebbe un monumento al silenzio, perché quello che aveva da dire l'ha ampiamente espresso in vita, ci rende ancora più insofferenti.

E a proposito di insofferenze: ancor più fastidiosa è la prassi dell'etichettar poeti, anime modeste. In questi anni 'vittima' del morbo suddetto, che piace tanto agli esegeti della poesia della domenica, del poetume incomprensibile ed ermetico, è stato in campo musicale Rino Gaetano. Artista di per sé prescindibilissimo ora passa per anticipatore e lucido indagatore degli animi umani, nonché, ça va sans dire, poeta fine ed educato. L'autore degli immortali versi Gianna Gianna Gianna non cercava il suo pigmalione, Gianna Gianna Gianna difendeva il suo salario dall'inflazione, Gianna Gianna, Gianna non credeva a canzoni e ufo, Gianna aveva un fiuto eccezionale per il tartufo ora è spesso affiancato a spiriti che, tempo fa, si credeva di altezze più 'alte'. E si cita anche Modugno, sulla cui grandezza anche qui ci sarebbe da concionare.

E concioniamo: sulla bellezza incontestabile di alcune sue composizioni, nulla da dire, personalmente ritengo Dio come ti amo, il pezzo con cui vinse Sanremo nel 1965, una delle canzoni più emozionanti del nostro panorama musicale, ma sere fa, in un programma riempitivo dell'estate Rai, mi sono imbattuto nella di lui partecipazione al festival di Sanremo del 1972. Nello stesso anno in cui un cantante-poeta, quello sì, Lucio Dalla, eseguiva Piazza Grande, il Mimmo nazionale cantava (e riporto testualmente) siffatti, anch'essi immortali, versi:

Da anni sono qui, incatenato a questa scrivania, mentre laggiù, oltre la nebbia, si allarga l'orizzonte, e sono qui.

Non è festa, però in ufficio non andrò. Ogni giorno sempre li, ma perché, ah, ma per chi.

Stamattina non mi va, voglio dare un calcio a tutta la cittá.

Amore mio, vieni anche tu, il capufficio lasciamolo su.

Lasciamolo su.

Che hanno fatto di me, sono un semplice lacchè che da anni dice si, sempre si, si sono qui.

Stamattina nei polmoni no, non voglio l'aria dei termosifoni.

Amore mio, vieni anche tu, il capufficio lasciamolo su.

Lasciamolo su.

La campagna dov'è, voglio il verde intorno a me, il profumo della sera quando torna primavera.

Questa volta faccio senza della pastasciutta stanca della mensa.

Amore mio, vieni anche tu, il capufficio lasciamolo su.

Lasciamolo su.

Ma che facciamo, ma dove andiamo tutti incolonnati in queste nostre maledette macchinette.

Oggi c'è il sole.

Non lo timbrate il cartellino, non la firmate la presenza.

Ma da quanti anni non vi arrampicate su un albero.

Tutti in campagna a cogliere margherite.

Libertà, libertá. Libertà.

La la la la la la la......

Questa volta faccio senza della pastasciutta stanca della mensa.

Amore mio, vieni anche tu, il capufficio lasciamolo su.

La la la la la la la...


Da prenderlo a selciate sulle gengive. Ma sempre il Mimmo nazionale si sarebbe espresso ancor più fulgidamente anni dopo con la mitica Piange il telefono. Sorta di lamento nazional popolare in un paese affetto da frenesie divorziste.

Su Modugno, fior fiore di critici e giornalisti ha sempre espresso un amore ed una considerazione praticamente unanime. Mi permetto, nel mio piccolo, di dissentire. Se si è poeti, si è poeti sempre. La senilità nel 'poetare' non esiste, semmai è qualcos'altro: arteriosclerosi.

Non me ne vogliano i puristi del canto e gli esegeti del poetar cantando ma Modugno, negli ultimi anni, era assai rimbecillito.







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