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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

La "zavorra" del linguaggio. Lapsus e dimenticanze dell'età contemporanea.

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Leggo (e riporto fedelmente) sulla rubrica settimanale dell'Espresso "Cultura" del 6 luglio 2006 un pezzo di Fabrizia Ramondino a proposito dell'uscita del libriccino di W.G.Sebald Il passeggiatore solitario (piccolo saggio su Robert Walser), edito da Adelphi: Sebald confessa la sua affinità elettiva con Walser, al punto da considerarlo come uno di famiglia: ambedue sono nati e cresciuti nelle stesse zone alpine, l'uno in Baviera, l'altro in Svizzera; l'amato nonno di Sebald somigliava a Walser – e come usa Sebald in tutti i suoi libri non mancano le fotografie di entrambi.

L'articolo poi prosegue prendendo in esame la malattia mentale di Walser che lo portò, negli ultimi anni, a scrivere con caratteri talmente minuscoli che fu necessario, per capirli, una vera e propria opera di decifrazione.

Punto.

Scrivo "punto" perché in realtà non c'è niente altro. E da qui nasce la mia personale indignazione. Si sa, ormai i giornali, anche quelli che si occupano di cultura, non recensiscono più i libri, li segnalano soltanto, al più li "arricchiscono" con private "affinità elettive".

La Ramondino tace su un punto essenziale: la qualità della scrittura. In questo caso sulla qualità della scrittura di W.G.Sebald, scrittore straordinario, lucido indagatore delle rimozioni collettive. Chi ha avuto la fortuna di leggere il saggio Storia naturale della distruzione o i romanzi Vertigini o Austerlitz (tutti pubblicati da Adelphi) sa di cosa parlo. Soprattutto in quest'ultimo Sebald mischia con efficacia inusuale naturalismo e architettura e, ancora una volta, un senso della tragedia incombente. Costruisce una storia fatta di tasselli apparentemente sciolti, in realtà uniti dalla necessità di creare una ragnatela "esistenziale" dove ogni cognizione ed ogni dettaglio convergono verso l'acquisizione di un sé profondo, ma doloroso.

Ma non si scappa: tutto ciò avviene attraverso l'uso di una lingua febbrile ed efficace.

Anche io ho letto Il passeggiatore solitario e anch'io ho apprezzato la famigliare "ricostruzione" di un personaggio scomodo e fondamentale della cultura letteraria occidentale, Robert Walser appunto, l'autore, tanto per indicare un titolo, di Jacob von Gunten, ma in quelle sessanta pagine c'è molto di più: il senso ritmico della parola, (che se poi diventa affinità elettiva con qualcun altro è solo un circostanza secondaria), il coraggio di delineare non un profilo ingombrante, ma un profilo di sé raddoppiato. Come avrebbe detto Sandro Penna: Unir parole ad uomini fu il dono/ breve e discreto che il cielo mi ha dato.

Rubo un passaggio di una recensione della nostra Vera Barilla: Narratori. Scrittori. I primi raccontano storie: Stephen King. Per gli altri, prima del fatto, c'è il linguaggio che lo dice: Marcel Proust. Ovvio che le categorie non siano così nettamente separate: vedi Sandro Manzoni, l'"Alemanzo" Nazionale.

Nell'articolo della Ramondino c'è una criminale assenza di ogni riferimento linguistico. Mi chiedo perché, mi chiedo come si possa parlare di un libro e non aver rispetto delle parole.

Faccio tesoro, io, di quelle degli altri, e ancora una volta cito. Pavese, stavolta, che parla del Petrarca: ma la sua lingua è più dell'autore che della nazione.





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