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Il Paradiso degli Orchi
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Alfredo Ronci

Le baricconate, l'invasione degli ultracorpi e l'Africa famola strana

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Il 26 aprile scorso, presso la Scuola Holden, s'è svolto, ma ignoriamo con quali risultati, una sorta di Perfect Day della narrativa italiana. La crème de la crème dell'indigena letteratura (da Ammaniti a Lucarelli, da Carofiglio a Scurati, da Starnone a Veronesi) si è riunita, sotto le direttive del mastro Baricco, per confrontarsi, discettare, ascoltare e probabilmente divertisi (dipende alle spalle di chi). Il nano di Seta, temendo che il solo incontro tra assi della penna (o del pc, vedete voi) potesse ridursi ad un soporifero mettersi alla prova, ha avuto la brillante idea di consentire a 135 cittadini (centotrentacinque, numero questo che deve sicuramente avere un significato cabalistico, come le 144.000 persone che erediteranno la terra dopo il giudizio universale, secondo la dottrina dei Testimoni di Geova) di assistere a 4 delle 8 lezioni previste, con previo pagamento di un biglietto di ingresso di 120 euro (centoventi, anche questo numero di straordinaria portata arcana), e ancor più previo invio di uno scritto di 900 battute sul "proprio giorno perfetto" e di un CV (curriculum vitae).

Dicevamo: non sappiamo come siano andate le cose, né se siano corsi fiumi di alcool (ma c'erano ben due premi Strega!, Il pericolo esisteva), ma intuiamo a quale stress siano stati sottoposti i prescelti e giovani unti dal Signore di Castelli di rabbia. Ma iniziative del genere, nonostante l'allure baricchina, non sono nuove. Pur di contar soldi ai giovani malcapitati l'intellettualismo di grido partorisce originali excursus narrativi sotto l'emblema della "scrittura creativa". Ricordo ancora, tanto per tramandarlo al giudizio dei posteri, il corso che l'egregio (che chissà perché viene dal latino ex grege, fuori dal gregge... ma volentieri io ce lo farei stare dentro, a tutti e con tutti gli effetti) Roberto Cotroneo tenne in quel di Otranto per catturare la (e cito il comunicato stampa) linfa creativa dalle vie, dalle suggestioni, dalla luce abbagliante della città in cui ci troviamo.

Che equivaleva anche a sborsare (allora, ma eravamo a cavallo tra due secoli) 1 milione, spese di soggiorno escluse!

Al di là se le spese poi valgono le imprese, l'unico risultato che si è ottenuto con questi happening letterari è stato quello di vedere le librerie sommerse da una montagna di opere prime di esordienti che, tranne rarissime eccezioni, meriterebbero di finire nel girone dantesco dei ruffiani e seduttori.

Ma a ragion veduta, modificando un detto che mi pare appropriato, è meglio non parlar che parlar male. Eh sì perché si sbandiera ovunque il nuovo ingegno letterario giovanilista, ma alla resa dei conti, quel che spesso passa come punto di riferimento, e quindi valenza oggettiva, è la lezione dei classici. Che non sono i classici-classici, ma quelli che si son fatti un culo così nei passati decenni e ora, giustamente, ambiscono al cippo dell'immortalità.

Un caso per tutti. Recentemente ho partecipato al terzo anniversario dell'attività di una giovane casa editrice romana: la Giulio Perrone editore. Serata piacevole, accompagnata da musica jazz, in un locale, dalle parti di Ostiense, paraculo e quel tanto da non sembrare troppo finto, e allietata dalle letture dell'attrice Caterina Vertova.

Presenti gli scrittori che hanno dato lustro, con le proprie opere pubblicate, a questa nuova compagine editoriale: Lia Levi, Walter Mauro, Sandra Petrignani, Ugo Riccarelli. Insomma età media vicino ai settanta. E non me ne voglia nessuno, ma una vera e propria invasione degli ultracorpi.

E i giovani esordienti di una giovane casa editrice? Ho provato sherlockianamente a cercarli con la lente d'ingrandimento, ma ahimè, di loro niuna traccia. Non vorrei che scossi da siffatta indifferenza, i pargoli poi si ritrovassero ad intonare le celebri righe di un'immortale canzone napoletana: I' ch'aggio perzo patria, casa e onore, i' so' carne 'e maciello.

Il sospetto viene. Come se l'allegra macchina da guerra (rispolveriamo un vecchio motto democratico-comunista) non fosse altro che un richiamo della cinciallegra o peggio ancora uno specchietto per le allodole.

Ma noi che siamo donne (orchi maschi a parte) e paura non abbiamo, come invece diceva un inno femminista d'altri tempi, insistiamo sul virgulto letterario, ma non perché sia la panacea di tutti i mali, ma perché tra tanta mestizia qualcosa di buono lo si trova sempre. E chissà poi che non possa testimoniare, il virgulto, ad un prossima cerimonia di una prossima casa editrice, la propria statura culturale senza avere l'età della rivoluzione francese.

Ne abbiamo scelto uno: Simone Rossi. Ventiseienne di (presumiamo) Forlì, per i tipi Zandegù editore ha pubblicato La luna è girata strana (1). Strana perché se la ritrova a rimirare in quel di Etiopia, grazie ad un viaggio di piacere, turismo e volontariato insieme ad una amico già rodato.

Il virgulto (sempre in tema) ci sa fare: innanzi tutto, ed è un bene, s'industria a spiegarci perché scrive: Questa cosa del scrivo per me e basta mi ha sempre dato fastidio quando la sentivo detta da altri – miodDio – scrittori: dice Umberto Eco che l'unica cosa che scriviamo per noi stessi è la lista della spesa, ed evidentemente se mi prendo la briga di accendere il computer e stare attento alle virgole è perché ho piacere che qualcuno legga. Allora penso di aver capito che cosa intendiamo quando diciamo che scriviamo per noi stessi: semplicemente, non scriviamo per nessuno in particolare.

Poi passa a raccontarci il suo impatto con l'Africa, e non la fa, come invece lasciamo intendere dal titolo del presente pezzo, strana alla Verdone, ma umana e disgriziata come pensiamo che sia. Ma il tratteggio con cui ce la consegna tocca il cuore, come quando dice: Se c'è una cosa che mi fa paura sono gli occhi di una madre africana che mi guarda mentre mi avvicino a suo figlio: non credo che avrò bisogno di vedere leonesse. Oppure quando raccoglie sinteticamente il sentire del popolo africano: In Italia voi siete per il tempo, sempre di fretta, e vi scoppia il cervello perché non gli state dietro; in Africa il tempo è per noi, siamo noi quelli che decidono, capisci?

Evidentemente Rossi ha davvero capito e, in quel villaggio dove ogni mattina assiste all'alzabandiera di un gruppo di bambini radunati nel cortile a cantare l'inno nazionale con un'impostazione vagamente balilla (ci piace pensare che un ventiseienne abbia identificato un certo ordine, con un certo ordine di cose!), si trova a considerare anche una distanza che non è più temporalmente millenaria, tanto meno geografica: se c'è è perché la si vuole contare a tutti i costi.



(1)Simone Rossi

La luna è girata strana

Zandegù editore

Pag. 94 Euro 12,00







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